Spazio, la rincorsa delle grandi potenze tra militarizzazione e arsenalizzazione

Di Vincenzo Santo*

Come sempre, la geopolitica, non cambiando la geografia fisica, pone in primo piano, quali sue variabili, il comportamento umano e l’azione politica di un determinato attore in relazione a quelle di altri attori, tutti volti a soddisfare, mediante reazioni pacifiche e no, i propri interessi. Nelle parole più crude con le quali Strausz-Hupè cercava di convincere gli americani a non sottostimarla perché altri, si riferiva ai nazisti, non lo avrebbero fatto “Geopolitik is the master plan designated to tell those who wield the instrument what to conquer and how…”, c’è quanto basta per comprendere come la lotta per sostenere i propri interessi non può avere confini.

Interessi che scaturiscono dalle nostre necessità (o desideri), che si raffrontano con i limiti o i vantaggi posti dalla geografia fisica stessa e dai cambiamenti pur minimi ma incessanti e veloci che l’uomo e la natura stessa impongono; cioè variabili in termini di geografia climatica e meteorologica, di geografia delle risorse, di geografia delle rotte e delle vie di comunicazione terrestri e delle innovazioni tecnologiche di ogni tipo. Oggi come in passato. Si pensi all’invenzione della locomozione a vapore, alle ferrovie, al Canale di Suez o a quello di Panama, all’aeronautica, al nucleare, alla cibernetica. Ma anche allo spazio e alla geografia delle orbite spaziali. Il “minuscolo” ha generato spaventosi miglioramenti della tecnologia, inclusa quella militare, per cui il tempo e lo spazio tendono a collassare. Ciò creerà prima o poi una crisi di spazio e nello spazio, re-innescando competizioni strategiche di diversa dimensione che, in una loro manifestazione più fantastica, vedrà il riemergere di una rinnovata politica di potenza in una più pervicace corsa verso un diverso spazio. Lo spazio, proprio quello sopra di noi.

Corsa che, dalla fine della Guerra Fredda ha visto un significativo cambiamento da eminentemente militare a commerciale, almeno in apparenza. Cambio dovuto ad una decisa deregulation attuata dagli Stati Uniti e dalla svolta commerciale che Russia e Ucraina, eredi del potenziale della ex Unione Sovietica, vi avevano imposto. Con l’aggiunta di Cina, Giappone e altri concorrenti asiatici, quali Sud Corea e India. E, infine, Corea del Nord e Iran.

La cooperazione nella scienza spaziale, e più specificatamente nei laboratori e nelle stazioni spaziali, è stata una costante sin dagli anni settanta. Anche con situazioni paradossali, come la necessità “strategica” americana di dover acquistare i motori per razzi RD-180 russi per i suoi Atlas-5 e non solo.

L’anno scorso, il Pentagono si oppose alla cancellazione, nel quadro delle sanzioni contro la Russia, dell’acquisto di 18 di questi motori. Gli esperti militari dissero allora che gli Stati Uniti non sarebbero stati in grado di produrne di propri prima del 2021. Ma negli anni novanta gli americani fecero uso persino di razzi cinesi(1). Tuttavia, man mano che più Paesi avviano programmi nuovi, quelli già al vertice della ricerca entreranno in competizione per dare la propria assistenza. E controllarne gli sviluppi e fare proselitismo diplomatico che, come accennato più avanti, aiuta.

Va da sé che la tecnologia è fondamentale per scopi militari legati per esempio allo sviluppo della missilistica intercontinentale, alle comunicazioni e alla sorveglianza. Il dominio di quota, comandamento tattico, vale sempre.

Lo scorso 7 maggio, dopo aver trascorso quasi due anni in orbita nella sua quarta missione, lo “spazioplano” (o drone?) americano X-37B OTV (Orbital Test Vehicle) è atterrato. Missione di carattere militare? Potrebbe essere, data la più alta segretezza che circonda queste attività. Il programma è gestito dall’Air Force Rapid Capabilities Office, assieme al 45th Space Wing, e prevederebbe la possibilità di far atterrare, rifornire e lanciare nuovamente la navetta dallo stesso centro spaziale, il Cape Canaveral Air Force Station. Il velivolo, per completezza, viene lanciato con un vettore Atlas 5 ed atterra come un aeroplano. Come faceva lo Shuttle, al quale somiglia parecchio. Il maggior vantaggio consiste nel fatto che è riutilizzabile. Non poco! L’Air Force prevedrebbe una quinta missione verso la fine del 2017. E, dato che ognuna è stata più lunga della precedente, è ipotizzabile che anche la quinta lo sarà. Quindi un obiettivo è quello di mantenere in orbita l’oggetto (o più di uno) per il tempo più lungo possibile. Chiaro!

Ampio sfogo alle teorie cospirative, ovviamente. Sviluppato dalla Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) l’Agenzia del Pentagono per i progetti avanzati di ricerca, potrebbe essere usato come sistema spia dallo spazio, per recuperare o aggiustare satelliti rotti o anche, il più fantascientifico, come una sorta di “bombardiere spaziale”. Tutte le ipotesi sono possibili, ma non serve farne tante. È un programma pilotato da un’agenzia militare, quindi non è fatto per fare beneficienza o verificare lo scioglimento dei ghiacci o se gli orsi bianchi riescano a sopravvivere oppure dove migrino le balene. Ce ne sono già in orbita di satelliti in grado di dirci tutto e di più su come il nostro pianeta stia morendo, come ci fanno capire in molti. Quindi, intanto, rimane un programma militare a tutti gli effetti. Inutile girarci intorno. Ma, soprattutto, potrebbe rientrare a pieno titolo tra i possibili armamenti più sofisticati che gli USA vorranno mettere in orbita. Sapere ciò che potrà fare sarebbe interessante, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per uscire dalle vaghe supposizioni e avere idee più chiare sulla sua o sulle sue missioni.

Comunque, viene precisato, una cosa è militarization, un’altra è weaponization dello spazio.

Ora, ben lungi dal mitizzare l’esistenza di stazioni spaziali in grado di incenerire con una sola rasoiata di laser uno o più satelliti oppure una centrale nucleare iraniana, lo spazio è già militarizzato di fatto. Lo è stato sin dal lancio del primo satellite per le comunicazioni.

Infatti, atteso che “l’Outer Space Treaty” vieterebbe soltanto la messa in orbita di armi di distruzione di massa, le piattaforme orbitanti fungono da force multiplayer per le operazioni militari sulla superficie terrestre. Per esempio per l’acquisizione di immagini termiche, per la guida nel targeting, per le comunicazioni classificate e così via. Quindi, non solo per raggiungere un ristorante il sabato sera con l’aiuto di un navigatore. L’evoluzione del dopo Guerra Fredda, inoltre, ha visto lo sviluppo di satelliti spia(2). Ma i satelliti sono fondamentali anche per individuare per tempo lanci di missili, anche tattici, per localizzare eventuali esplosioni nucleari e, inoltre, per mettere allo scoperto le pur complesse operazioni che precedono un esperimento nucleare, come per le osservazioni fatte sui siti nord-coreani o iraniani.

L’uso pacifico dello spazio(3), quindi, include inevitabilmente e paradossalmente anche quello militare, persino quanto di ciò che veramente pacifico non lo è affatto. Nonostante tutti gli sforzi internazionali(4).

Come accennato, si dovrebbe procedere a una distinzione tra militarization e weaponization. In italiano, potremmo tentare di tradurli rispettivamente in militarizzazione e arsenalizzazione dello spazio. Della prima abbiamo già fatto cenno. La seconda è più complessa da definire, e più costosa. Nella realtà, quasi ogni cosa potrebbe essere considerata un’arma; anche un detrito o un satellite artificiale lasciato alla deriva potrebbero esserlo. Nella teoria, si tratterebbe di piazzare in orbita qualsiasi cosa che abbia capacità distruttive. Esperti del settore asseriscono che armamenti basati a terra, ma destinati a colpire oggetti in orbita, rappresentino pur essi un armamento spaziale. Tra questi sistemi potrebbero essere inclusi molti elementi della ballistic missile defense americana, in via di sviluppo.

Non si dimentichi che nessuna altra nazione è legata allo spazio più degli Stati Uniti. Come risultato, ed è comprensibile, gli USA intendono difendere i propri satelliti. Cosa che non può che essere assicurata per via militare, con lo sviluppo di un proprio sistema di difesa satellitare. Sistema tra i più complessi ma che, di riflesso, sarà anche in grado di colpire i satelliti altrui. Insomma, è una corsa a detenere una più convincente leva deterrente nei confronti dei potenziali avversari.

Forse per questo, tanto la Cina quanto la Russia stanno premendo per un dibattito su un possibile trattato che impedisca la corsa a rendere lo spazio un luogo pericoloso (Prevention of an Arms Race in Outer Space – PAROS). Qualcosa che gli americani non dimostrano di gradire, se tale accordo debba poi impedire loro lo sviluppo del già citato Missile Defense System nazionale che, come detto, è di fatto anche un sistema ASAT (Anti-Satellite)(5). Secondo alcuni esperti, infatti, gli assetti deputati alla Ballistic Missile Defense (BMD), che includono anche ICBM a lungo raggio, possono essere considerati quali sistemi ausiliari in grado di distruggere oggetti orbitanti. La principale differenza tra i due sistemi (BMD e ASAT), dicono risieda essenzialmente nel software e negli algoritmi di controllo, utilizzati per individuare, seguire e indirizzare il missile sul bersaglio. Dobbiamo crederci.

Ma la capacità di colpire da terra i satelliti è già alla portata dei tre(6). Tuttavia, il poterlo fare già dallo spazio e muovendosi in esso è altra cosa. Forse questo è il senso di avere un programma come l’X-37B space plane. Qualcosa di più agevole da manovrare, da riutilizzare con carichi differenti a seconda della missione. Inoltre, un assetto che potrebbe essere più difficile rilevare da terra nella fase di attacco, quindi politicamente meno compromettente. Soprattutto, cosa non da poco, senza rilasciare detriti pericolosissimi.

Del resto, è difficile verificare se quello che viene detto comunemente dai rappresentanti dei vari paesi, che cioè non esistono armi in orbita, sia vero. Perché molti di quegli oggetti sono dual use, hanno cioè funzioni “civili”, normalmente, ma con un semplice switch possono divenire robot assassini.

Essendo in evidente vantaggio in questi sviluppi, agli americani quel PAROS non piace, ovvio!

Ma gli altri non stanno a guardare, Cina in testa.

Dal suo primo lancio nel 1970, la Cina è divenuta un protagonista nella corsa allo spazio, anche se solo nel 2003 fu in grado di spedirvi, autonomamente, degli esseri viventi. Tra i suoi piani c’è la Luna per il 2018 e l’invio di una sonda su Marte per il 2020. La Cina vuole divenire protagonista in questo dominio(7). A parte gli Stati Uniti, chi sta osservando con molta attenzione il cammino verso lo spazio del dragone cinese sono il Giappone e l’India. Neanche loro sono rimasti a guardare. Come detto, tutti sfruttando l’apparente innocuo dual use dei satelliti.

Ma deve essere chiaro che il sogno cinese di un’affermazione nello spazio rappresenterebbe un vantaggio strategico sotto l’aspetto militare. Esattamente come per gli altri concorrenti. Ovvio che in caso di conflitto, la prima cosa da fare è quella di negare all’avversario – che nella veste degli USA è un avversario che conta molto sulle tecnologie spaziali – l’acquisizione di informazioni strategiche e l’uso comodo dei sistemi C4ISR. Per i cinesi, quindi, lo scopo strategico è quello di poter degradare le capacità americane in termini di comunicazioni e di informazioni. Tra queste ultime, quelle che potrebbero compromettere il proprio deterrente nucleare, grazie alla sezione spaziale del sistema missilistico statunitense. Una proiezione verso l’alto della capacità di A2-AD (Anti-access Area denial) da sviluppare a difesa delle sue aspirazioni egemoniche regionali.

Ancorché abbia ereditato un’invidiabile dotazione spaziale dall’Unione Sovietica, la Russia appare ancora in ritardo rispetto agli altri due, Cina e USA. Il giorno di Natale del 2013, nel silenzio, dopo 31 anni dal primo test ASAT, la Russia ha lanciato un piccolo satellite d’ispezione in low orbit, nascondendolo in un sistema di satelliti per le comunicazioni. Altri due analoghi lanci si sono succeduti nei due anni successivi. Alcuni esperti dicono che hanno potuto osservare manovre che ne tradiscono una natura offensiva, d’attacco. “You can probably equip them with lasers …” sottolinea Anatoly Zak(8) riferendosi all’oggetto russo, “… maybe put some explosives on them”.

Qualcosa di simile hanno fatto i cinesi, che al test del 2007, a seguito del quale venne distrutto un proprio satellite(9), ne hanno fatto seguire un altro più di recente, questa volta ad una quota molto prossima a quella geosynchronous dove orbitano molti satelliti ISR americani, ma pare con l’uso di un satellite killer miniaturizzato(10), dotato di braccio robotico. Tuttavia, sembra che essi non abbiano le medesime capacità di controllo e guida degli americani, i quali si avvalgono di un ben più complesso space-awareness system, anche grazie alle integrazioni che possono essere garantite dagli alleati e alle possibilità che questi offrono nel posizionare appositi sensori all’interno dei propri territori, sulle proprie navi o persino sui propri satelliti. Il maggiore isolamento diplomatico per cinesi e russi non aiuta, evidentemente.

Osservare e seguire gli altrui satelliti è cosa facile, non richiede costi aggiuntivi ed è, tutto sommato, pacifica. Ma, a quanto è dato sapere, gli Stati Uniti hanno in orbita almeno sei oggetti spaziali che sembra possano manovrare e avvicinare un satellite “avversario” e persino danneggiarlo. E posseggono un bel numero di navi equipaggiate con il sistema Aegis, con centinaia di missili SM-3 in grado di raggiungere la low Earth orbit e distruggere in una sola salva almeno una cinquantina di satelliti russi e cinesi lì posizionati. Lo hanno già fatto con un proprio satellite(11). “Aegis ships could be positioned optimally …”, Laura Grego della Union of Concerned Scientists ha scritto nel 2011, “… to stage a ‘sweep’ attack on a set of satellites nearly at once”.

Gli americani hanno in orbita poco più di 500 satelliti attivi, più o meno quanti ne ha il resto del mondo. Almeno 100 di questi sono esclusivamente militari in natura; scrutano la terra. Quindi, in teoria, gli Stati Uniti sono quelli che più di altri hanno militarizzato lo spazio e, probabilmente, vi detengono più armi.

Ci sono ragioni inconfutabili. In un suo articolo di qualche anno fa, Peter Brookes(12) sottolineò che “… failure to protect our space infrastructure would only invite a Pearl Harbor in space, leaving us deaf, dumb and blind – and at war. Maintaining America’s military pre-eminence – in space as on land, at sea and in the air – is a necessity”. Una necessità strategica, talmente fondamentale da richiamare alla mente quella tragedia dell’ultimo conflitto mondiale nel Pacifico. Sia chiaro, sarebbe una tragedia anche per noi. Forse una delle poche cose in cui i nostri obiettivi di sicurezza coincidono sul serio con quelli americani. Per forza di cose!

Una guerra tra le orbite, infatti, distruggerebbe un delicato e sensibile sistema satellitare, sul quale l’intero mondo conta per la navigazione, le comunicazioni, la ricerca e l’osservazione scientifica del globo, non soltanto per le esigenze militari. Un salto nel passato come ebbe modo di sottolineare il Generale John Hyten nella primavera del 2015, allora al comando dell’U.S. Space Command, precisando “… you go back to World War Two … you go back to the Industrial Age …”.

Il mondo verrà sempre più dominato dall’alto. La lotta per lo spazio, che fino a ieri si è sviluppata sulle più consuete tre dimensioni, si andrà via via declinando lungo una direzione ulteriore, più lontana dalle nostre abitudini fisiche di ogni giorno, persino invisibile, sotto traccia, ma che connessione diretta ha invece sui risvolti “molto” cibernetici della nostra realtà fisica quotidiana. Un’altra dimensione, insomma, che fa aprire lo sguardo su una diversa geografia, più oscura, più sfuggente, qualcosa che non siamo abituati a pensare, ma che invoca un’analisi geopolitica ancora più complessa e articolata. Ma necessaria.

Riabituiamoci subito a guardare in alto … anzi, a pensare più (in) alto.

*Generale C.A. (Riserva)

1() Per anni, pur guardando con sospetto i progressi cinesi nel settore, Washington ha permesso a compagnie americane di utilizzare sistemi di lancio cinesi per mettere satelliti in orbita. La cosa buffa fu che a seguito di un lancio fallito nel 1996, la conseguente commissione di inchiesta composta da ingegneri occidentali rilevò delle pecche nel sistema di guida, informazioni che furono pari pari passate a Pechino. I successivi miglioramenti apportati dai cinesi al Long March 3B consentirono loro di mettere in orbita geostazionaria i propri satelliti, specie per le comunicazioni. Ma i miglioramenti furono preziosi anche per la tecnologia missilistica militare. Una delle meno conosciute fughe di notizie.

2() Con il lancio nel 1976 del primo satellite spia, KH-11 Kennan, equipaggiato con un sensore digitale, fu possibile trasmettere immediatamente le immagini ad una base a terra. Oggi, gli USA dovrebbero avere almeno una quindicina di tali satelliti capaci di garantire una risoluzione molto prossima ai quindici centimetri. Il programma, ovviamente, è classificato. Tuttavia, esistono ragioni per ritenere che la serie KH-13 sia già operativa.

3() “The exploration and use of outer space … shall be for peaceful purposes and shall be carried out for the benefit and in the interest of all countries, irrespective of their degree of economic or scientific development. … [The] prevention of an arms race in outer space would avert a grave danger for international peace and security” – Prevention of an arms race in outer space, United Nations General Assembly Resolution, A/RES/55/32, January 2001. Nel 2002, Bush denunciò l’accordo con la Russia in merito allo sviluppo di un sistema antimissili balistici (trattato ABM). Una mossa che, sebbene ufficialmente volta a difendersi contro le eventuali intemperanze missilistiche nord-coreane, dette il via a questi sistemi di difesa basati a terra o su nave, che potrebbero essere usati anche come sistemi anti-satellite (vds. nota 6), ma che minò anche il consenso sull’uso strettamente pacifico dello spazio.

4() Gli attuali accordi in atto sono:

  • 1963 Treaty Banning Nuclear Weapon Tests In The Atmosphere, In Outer Space And Under Water,

  • 1967 Outer Space Treaty (formally titled as the Treaty on the Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and Other Celestial Bodies),

  • 1968 Rescue Agreement (formally titled as the Agreement on the Rescue of Astronauts, the Return of Astronauts and the Return of Objects Launched into Outer Space),

  • 1971 Agreement Relating To The International Telecommunications Satellite Organization “Intelsat” (with annexes and Operating Agreement,

  • 1972 Liability Convention (formally titled as the Convention on International Liability for Damage Caused by Space Objects),

  • 1975 Registration Convention (formally titled the Convention on the Registration of Objects Launched into Outer Space),

  • 1979 Moon Agreement (formally entitled the Agreement Governing the Activities of States on the Moon and Other Celestial Bodies),

  • 1985 Convention On The International Maritime Satellite Organization (INMARSAT) with Annex and Operating Agreement (1976); as amended 1985; with Protocol (1981).

5() Il dibattito sul tema è ancora aperto. Brian Weeden, del Secure World Foundation, afferma questa mancanza di differenze tra i due. Egli sottolinea che “… because midcourse ballistic missile systems are intended to destroy warheads traveling at speeds and altitudes comparable to those of satellites, all midcourse ballistic missile defense systems have inherent ASAT capabilities …”. I sistemi BMD, ne è convinto, sono più effettivi come sistemi anti satellite che come mezzi per la difesa anti-missile, i satelliti sono più facili da individuare, seguire e colpire che non i missili intercontinentali, persino quando questi sono equipaggiati con testate MIRV (Multiple Independently targetable Reentry Vehicles).

6() L’URSS distrusse un proprio satellite già nel 1982. Gli Stati Uniti seguirono a ruota nel 1985. Infine, nel gennaio 2007, anche la Cina distrusse un proprio satellite. Fu questo evento che probabilmente spinse gli USA a far vedere che cosa fossero in grado di dare anche loro. Il 20 febbraio del 2008, l’incrociatore Lake Erie, equipaggiata con il sistema Aegis, lanciò un missile anti-missile balistico, modificato per l’occasione, distruggendo un satellite risultato malfunzionante appena dopo il lancio avvenuto qualche tempo prima.

7() Il Micius, satellite lanciato dai cinesi nel 2016, è stato il primo ad essere equipaggiato con tecnologia a “quanti”, spianando la strada per tecnologie della comunicazione satellitare a prova di hackeraggio.

8() Autore di “Russia in Space: Past Explained, Future Explored”.

9() Vedi nota 6.

10() Mezzi di questo genere sono più “silenziosi” e nell’operare non generano quelle migliaia di detriti che metterebbero a rischio la sicurezza di altri satelliti orbitanti, inclusi i propri.

11() Vedi nota 6.

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