Afghanistan, un Paese dai tanti nemici e dove proliferano i movimenti terroristici. Sullo sfondo le prossime elezioni politiche e locali

Di Daniela Lombardi

Kabul (dalla nostra inviata). Una città caotica e solo apparentemente distratta, in cui tutti notano tutto cercando però di fingere indifferenza. “Lei non è di qui, vero?”, chiede un venditore di anelli, in pashto, al mio interprete riferendosi a me. Ha osato esprimere il dubbio che altri hanno tenuto per sé ma, per fortuna, solo per consigliarmi di andare via presto. “Prendile come le parole di un padre, Kabul non è un posto sicuro per te. Neanche per noi, ma noi siamo nati qui”.

Uno dei tanti attentati in Afganistan

Mi consola l’idea che qualcuno, nonostante non mi conosca, si preoccupi di darmi un suggerimento che potrebbe salvarmi la vita. Un po’ meno consolatorio è invece il pensiero che, pur avendo indossato il velo ed un abito tradizionale ed aver fatto di tutto per rimanere sempre due passi indietro rispetto all’uomo che mi accompagna, io sia stata riconosciuta, diventando in poco tempo un bersaglio appetibile.

La possibilità di essere rapiti, per quei pochi occidentali che circolano a Kabul, è elevatissima. Qui, come in tutto l’Afghanistan, c’è fame di soldi, non solo per sopravvivere ma anche per interessi più grandi. Finanziare i numerosi movimenti terroristici che inquinano il territorio afghano è uno di questi. Il rischio più grande è quello dei sequestri, insieme alla altissima probabilità di rimanere coinvolti in un attentato e rimetterci la vita.

In questi ultimi mesi concitati e febbrili a causa delle imminenti elezioni, i pericoli sono cresciuti. Il processo di stabilizzazione e il dialogo tra Governo e talebani ristagnano, mentre prendono piede quelli che qualcuno, in modo ampio, definisce “i nemici dell’Afghanistan”.

Sono tanti, i nemici di questo Paese che era e resta un osso che fa gola a molti cani, alcuni di grossa taglia, altri di dimensioni minori ma ugualmente agguerriti e pronti a sbranare. Le influenze esterne di Paesi che intendono mantenere e guadagnare posizioni sullo scacchiere asiatico hanno gioco facile sui già fragili equilibri interni, messi continuamente alla prova da divisioni etniche e dalla presenza di circa trenta movimenti terroristici, tra i quali spiccano per capacità distruttiva i più radicati talebani e gli “emergenti” membri del DAESH.

Il ramo afghano dell’ISIS, il Wilayat Khorasan, è in piena forma mentre il suo “genitore” perde colpi in Siria e Iraq. In vista degli appuntamenti del 2018, con le elezioni parlamentari e distrettuali e del 2019, con quelle presidenziali, gli attentati da parte di questi due gruppi dominanti si moltiplicano.

E sempre a causa del clima elettorale, vengono lanciati proclami destinati ad essere subito dopo smentiti. Il Presidente afghano Ashraf Ghani, sicuro candidato nella prossima competizione presidenziale, ha infatti dichiarato in più occasioni pubbliche che l’ISIS, grazie alla sua amministrazione, è stato eliminato dall’Afghanistan.

Il Presidente afgano, Ashraf Ghani

Gli ultimi attentati, rivendicati proprio dal DAESH (il più recente a Kabul, che aveva come obiettivi un centro culturale sciita e l’agenzia di stampa Sadai Afghan ha provocato 40 morti) dimostrano invece che questo rimane forte e penetrante anche nella capitale oltre che in numerose province.

Le “bandiere nere” continuano, insomma, nella missione di non far dimenticare la loro esistenza e pericolosità, mentre periodicamente anche i talebani fanno sentire la loro presenza con azioni di guerriglia in tutto il territorio nazionale. Il risultato è che gli attentati vengono ormai vissuti come eventi inevitabili anche dalla già sfibrata popolazione.

“Ogni volta che esco di casa, saluto mia madre con un bacio e mi salgono le lacrime agli occhi, perché so che potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo”, dice un ragazzo che lavora come tassista a Kabul.

I numeri delle perdite tra civili e militari, in questo clima di ordinario terrore, salgono. Più di 200 membri delle Forze di Sicurezza afghane sono morti solo di recente, nel tentativo di proteggere la popolazione. Circa 1.700 civili hanno perso la vita nel primo semestre del 2017 e almeno tremila sono i feriti. Impossibile non comprendere come questa recrudescenza degli attacchi sia legata a doppio filo agli scenari elettorali, che si delineano ogni giorno di più.

L’attuale Presidente Ghani intende presentarsi per il prossimo mandato, sempre più appoggiato dalla NATO che incoraggia la sua politica filooccidentale. Sul fronte interno, però, le azioni anticorruzione di Ghani hanno creato non poco malcontento, in tutti i ministri e governatori di provincia che sono stati “epurati” proprio in nome della lotta alla corruzione dilagante, cavallo di battaglia del presidente per gli scontri elettorali del 2018 e 2019.

Le strade della capitale sono state tappezzate, oltre che dai ritratti dell’eroe della resistenza antirussa Massoud, di cartelli che definiscono “islamici ipocriti e finti credenti” coloro che intascano soldi illegalmente. Diversi politici sono stati allontanati perché accusati di avere chiesto tangenti e cumulato ricchezze di provenienza poco chiara. Dietro le quinte, i “defenestrati” tramano per vedere spodestato Ghani. Nel caos, diverse figure note della politica afghana tentano la scalata al potere o il ritorno in auge. Riappare, ad esempio, in veste antiamericana, l’ex Presidente Hamid Karzai, che aveva lasciato nel 2014 dopo due mandati in cui ha goduto pienamente dell’appoggio degli Usa e, mordendo la mano che lo ha nutrito per anni, oggi definisce gli States “sostenitori del Daesh”, mentre si prepara a tornare in competizione nel 2019.

Sulla sua persona vengono concentrate le attenzioni della Russia, che non ha mai smesso di desiderare di riacquisire il controllo sul Paese dal quale fu cacciata a suo tempo. Karzai, dal canto suo, non smette di elogiare gli antichi oppressori dell’Afghanistan ogni volta che ne ha l’occasione. Gli equilibri, influenzati anche da altri attori esterni quali Iran e Pakistan, vengono spostati continuamente tramite la guerriglia. A mantenere il loro potere sulle periferie come a Kabul restano i talebani, che però soffrono la scissione interna al movimento, seguita all’offerta di un accordo di pace da parte del Presidente Ashraf Ghani, supportato dagli Usa di Trump. L’ala combattente non intende scendere a patti e accusa di tradimento i “moderati” che strizzano l’occhio al Governo e, dunque, all’America. Altra fonte di dissapori è dovuta al ruolo da “mediatore” con i talebani assegnato da Ghani e Usa al “boia di Kabul”, Gulbuddin Hekmatyar, ex leader dei mujaheddin nella resistenza contro la Russia e fondatore del gruppo paramilitare Hezb-i-Islami.

Tra coloro che intendono dare una spallata all’attuale Presidente e che spargono veleni su una sua eventuale riconferma, un ruolo lo sta conquistando il governatore della provincia di Balkh, Atta Mohammad Noor, uno degli epurati da Ghani proprio sulla base del piano anticorruzione. Noor rifiuta di lasciare il suo posto e profetizza, nel caso in cui sia costretto a farlo, tempi duri per l’Afghanistan. Il governatore può godere di forti appoggi, visto che il suo partito, Jamiat-i-islami, detiene la metà dei seggi nel governo di coalizione. Lo scontro più violento e che sta scuotendo i palazzi del potere è tra lo stesso Noor e il suo ex compagno di partito e attuale primo ministro del governo Ghani, Abdullah Abdullah. Noor accusa Abdullah di essere una serpe in seno da cui sono partite le accuse di corruzione nei suoi confronti. Per questo, ha più volte minacciato di “rompergli i denti”. Un tipo di intimidazione che potrebbe sembrare più adatto ad una rissa tra bambini se non fosse che Noor è già accusato di azioni particolarmente odiose.

Il governatore della provincia di Balkh, Atta Mohammad Noor

Il politico avrebbe fatto rapire un suo oppositore, Asif Momand, membro del consiglio provinciale di Balkh che lo accusava proprio di diversi episodi di malversazione. Dopo essere stato prelevato con la forza dall’aeroporto di Mazar-i-Sharif, l’oppositore Momand sarebbe stato violentato e uno dei figli di Noor gli avrebbe mangiato una parte dell’orecchio. Noor ha risposto più volte che questa storia è stata completamente inventata dalla presunta vittima. In attesa di riscontri, che si tratti di “leggenda” o meno, il tenore delle dichiarazioni di tutte le parti in causa fa chiaramente comprendere come la lotta politica stia prendendo una piega estremamente violenta e come l’Afghanistan sia un luogo off limits almeno fino a dopo il 2019.

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