Caos Europa, cronache di un Continente che fugge (da se stesso)

Di Marco Pugliese

Londra. L’ Europa si riunisce a Cardiff per la conclusione del suo evento calcistico principe e nel frattempo viene sconfitta a Londra e Torino. Nella capitale inglese è il solito modus operandi: mezzo sulla folla, piccolo commando di uomini disposti al martirio (sgozzando ed accoltellando persone a caso) e panico generale.

A Torino, dal punto di vista mentale è ancora peggio: la psicosi da attentato manda all’ospedale più di mille persone che assistevano alla finale del calcio. In pratica lo Stato Islamico coglie una vittoria semplicemente aleggiando sulla folla come un macabro fantasma. Un triste capolavoro.

Basta uno scoppio, un rumore, per generare panico diffuso e calca. Mentre le classi dirigenti, da mattina a sera, si prodigano nell’affermare i soliti ritornelli, “ dall’unità dalla solidarietà” e la musica si erge a barriera contro il fanatismo (a Manchester un secondo concerto blindato) l’ europeo medio vive talmente sul rasoio che ad un batter di ciglia scappa e corre.

Una mentalità ormai dedita al “si salvi chi può”. Questo genere di ragionamento è pericolosissimo. Mettere sullo stesso piano terrorismo e fatalità significa non inquadrare il bersaglio, non vedere, o peggio capire, che esiste un nemico da combattere. Mentre negli hangar europei ammuffiscono super jet, tecnologie d’avanguardia e sistemi di difesa avanzati, il nostro concetto culturale d’ integrazione va completamente in tilt. Senza lungimiranza e continti di poter gestire ciò che forse non riusciamo a gestire, abbiamo permesso che la povertà e l’ignoranza si concentrassero solo in alcune zone delle nostre Ville Lumière.

A ciò va aggiunta la criminalità che trova nel disagio economico e culturale un vivaio floridissimo. In queste zone europee il concetto di democrazia occidentale non esiste, ci si affida al predicatore religioso di turno che talvolta utilizza perfino la scuola per l’indottrinamento. Ovviamente la religione praticata è unica e dominante, come una lingua di fatto ufficiale e di conseguenza una sola etnia. Il tutto culturalmente mono, corazzato, impenetrabile, ingestibile. Un mondo talmente particolare e separato da non somigliare nemmeno ai paesi d’origine dei migranti.

Chi pensa a Little Italy o China Town  sbaglia, non comprende. Nella realtà sono luoghi simili al Bronx impenetrabile degli anni ’70 e ’80 ma con aggiunta di fanatismo religioso ed infiltrazioni di milizie estere. Un mix esplosivo, che odia il Paese ospitante e che tenta di rovesciarlo e stabilizzarlo con azioni di vario tipo.

Non è integrazione Molenbeek in Belgio ma monocultuta che rifiuta tutto il resto. Esiste però una larga fetta di persone laiche, una quasi maggioranza silenziosa – da non confondere con i musulmani moderati – che ancora non prende una vera e propria posizione. Queste si, persone integrate, che hanno abbracciato il modello occidentale, che rimpiangono i Paesi arabi “aperti” degli anni ’70 ed ’80, ove le donne a larga maggioranza non erano velate.

L’ Europa deve far in modo questi nuovi europei isolino gli estremismi, li rifiutino ed antepongano la legge dello Stato a quella religiosa. Gli europei però hanno un limite: lo scarso coraggio nell’ interfacciarsi seriamente con queste persone, anzi, a volte ammiccano clamorosamente con i gruppi sbagliati, anche in Italia, ove esiste una corsa senza cervello nell’infilare nei partiti personaggi spesso particolari ed ambigui. Il tutto in nome di una fallimentare multiculturalità. Essere cosmopoliti non significa annullarsi. Gli Usa sono campioni di cosmopolitismo ma non per questo smantellano il proprio esser americani. Il motto è “sei bravo, vali, ti accettiamo, sei dei nostri ma il 4 luglio è sacro ora anche per te…”.

L’ Europa invece rischia la disintegrazione (non ha ancora chiaro che il resto del mondo lavori ad annientarla ) e quasi l’applaude, per paura d’esser bollata, anche se ormai appare più bollita.

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