CONTRASTO AL TERRORISMO ISLAMICO, ORA BASTA TEORIA, SI PASSI ALLA PRATICA

Di Vincenzo Santo* e Alessandro Gentili**

Roma. Giorni fa, sul quotidiano LaVerità, è comparsa un’intervista a firma di Capezzone in cui si enfatizzava il pericolo ancora vivo del terrorismo. Tanto per non cambiare, come si è usi fare a seguito di un evento terroristico, anche sull’ultimo di Strasburgo di stampo islamico, si è parlato dei pericoli che si corrono e che, si è voluto sottolineare, anche noi siamo in guerra … Non abbassiamo la guardia”. È vero, ma scoraggia che lo si debba ripetere agli italiani e il doverlo fare ogni volta che qualcosa di questo genere accade.

I Carabinieri vigilano su Piazza San Pietro

Stucchevole, inoltre, dover sentire e leggere le stesse cose, che anche il più ingenuo tra gli italiani dovrebbe aver imparato ormai a memoria. Mi riferisco a: “era un lupo solitario (la variante è cane sciolto); si era radicalizzato in carcere; era motivato religiosamente; è un problema di emarginazione, però proveniva da una buona famiglia, benestante; era già segnalato alla polizia o attenzionato; era già stato condannato per reati minori; sembrava un bravo ragazzo; pare che non abbia agito da solo; si stanno cercando i complici; pare sia approdato in Italia; era già stato espulso; la matrice del terrorismo deve essere confermata; aveva combattuto in Siria (o in Iraq o in Afghanistan); ci aspettiamo una risposta decisa dall’Islam moderato; non c’entra la religione (o invece sì); i terroristi vengono insieme agli immigrati (oppure no); i terroristi si finanziano con il mercato degli immigrati; il denaro gira grazie al sistema dell’hawala; grazie a Dio i nostri servizi e la nostra Polizia sono eccezionali”.

E così via. Ce n’è per tutti e in tutte le salse. Insopportabile cantilena! Ecco, ci si può mettere a tavolino e divertirsi nel comporre tanti diversi profili. Ma poi? A che serve scrivere ancora tutte queste cose? Ormai a niente, è il vizietto di noi occidentali che temiamo di dare il nome vero alle cose e agli eventi.

Semplicemente perché rimaniamo ancorati alla teoria e ci compiacciamo di farlo giocando sulle emozioni che si suscitano nel lettore magari aggiungendo di tanto in tanto qualche pizzico di sale, come l’attenzione da porre alla Puglia come luogo “… ponte tra Africa; Medio Oriente e Europa …” (roba di intelligence che probabilmente arriva dalla NATO, che non ha una propria struttura informativa, ma si avvale delle singole nazioni e, quindi, in realtà valutazione generata dai nostri Servizi. Chiusura del cerchio) o come la ripartizione che l’intervistato di Capezzone fa in merito ai tre livelli di attentato.

Forze antiterrorismo a Londra

E qui non ci si può non soffermarsi per rimarcare che quando ci si ostina a fare teoria spot almeno si sappia di che cosa si sta parlando. Sotto l’aspetto concettuale, infatti, risulta francamente opinabile la suddivisione che l’intervistato, forse troppo influenzato dai volteggi concettuali della NATO, nonché della ormai consueta “fatica cerebrale” dell’Alleanza (improntata sul sum ergo cogito più che suo opposto), traccia troppo accademicamente nel definire questi livelli, etichettandoli di fatto sulla base di una locazione geografica. Roba inutile e qualche motivo c’è perché non sia proprio così.

In campo “operativo”, infatti, dovendo semplificare, ma volendo anche chiarire perché ai comandi militari si assegnino tali funzioni, il livello strategico fissa l’end state, cioè cosa si vuole conseguire, il risultato finale, e le risorse per conseguirlo; l’operativo gli effetti da conseguire; il tattico le conseguenti azioni da condurre per soddisfare quegli effetti. Un processo Top-down che richiede comunque un continuo flusso nel senso contrario per verificarne la conformità ai vari livelli.

È un aspetto concettuale – e di sostanza anche – che riguarda quindi le attribuzioni di comando, non necessariamente vincolate queste all’estensione geografica e certamente non alla locazione geografica. Qualcosa di cui comunque questi terroristi – e qui si configura una prima importantissima differenza – adesso non hanno affatto più tanto bisogno.

Anche il lupo solitario conosce bene, e non ha bisogno che glielo si ripeta, l’effetto da conseguire, cioè il terrore tout court, e conosce che cosa lui e gli altri come lui, coordinati o meno, hanno come scopo finale (l’end state): la sconfitta e il ritiro di una coalizione, l’instaurazione di un Califfato con la sua sharia oppure, infine, un tranquillo mondo pur occidentale ma multiculturale, dove rivivere il proprio credo con la legge che esso impone, e così via. C’è tutto il tempo che si vuole per arrivarci e le risorse per questo genere di guerra se le può ormai procurare persino da solo, basta un coltello oppure un’ascia e gridare Allah akbar al momento di colpire. Persino l’obiettivo se lo può scegliere da solo e non abbisogna che qualcuno glielo convalidi. Come invece accadrebbe in una struttura convenzionale.

Ora, come detto, se le funzioni di comando convenzionali rifuggono per principio da una rigida logica di locazione ed ampiezza geografiche, questo non solo vale anche per i terroristici islamici (e non solo), ma questi sono ormai persino saliti di livello, potendo attaccare, diciamo, per linee interne, perché vivono tra noi, conoscono perfettamente il territorio, le nostre piccole abitudini e le nostre paure, le avvertono.

E possono attaccare in modo autonomo, per libera iniziativa, anche senza un controllo bottom-up. In questo sta il loro grande vantaggio strategico (adesso lo possiamo usare questo termine). Vantaggio forse incolmabile, laddove ci si continui a crogiolare nella consumata teoria e ad arricchirla con spunti pseudo-dottrinali superflui, rimandando pericolosamente, per timore di apparire troppo determinati, la pratica.

Vale la pena ripeterlo: noi siamo in guerra e ancora per chissà quanto tempo. Tra il dirlo e il farlo credere, è vero, c’è di mezzo la nostra quotidianità, nell’illusoria certezza che tanto nulla ci potrà capitare, osservando che la politica indirizza l’azione dei propri organi esecutivi come se non fossimo in un’emergenza. Si tratta di incoscienza oppure di presunzione di essere moralmente superiori, spinti da un’inguaribile politically correctness con il cui registro narrativo il “sonno progressista” ci vieta di pronunciare ogni critica all’Islam, costringendo l’Occidente persino a genuflettersi dinanzi alla religione più retrograda ed oscurantista del nostro tempo, religione che ha partorito una tale degenerazione in questi esseri umani da farli divenire discepoli di un nichilismo assassino.

Le omissioni e le manipolazioni politiche, nonché le pazzie del multiculturalismo e le favole sull’integrazione spingono il cittadino a non realizzare in che mondo viviamo veramente e che in questo mondo lui deve essere parte attiva del sistema difesa. Deve imparare a osservare e riportare: un primo passo in termini di pratica!

Infatti, il principale problema in questo conflitto consiste nella nostra congenita debolezza nel voler sentirci comunque al sicuro, illudendoci che lo schierare un po’ di soldati dove si ritiene esserci la mente strategica possa bastare, e il farlo in sé non significhi per noi essere parte di una guerra, oppure credendo che la sconfitta dell’ISIS in Iraq o Siria sia finalmente la fine di un incubo. Viviamo purtroppo il sogno secondo cui noi italiani, per principio, non abbiamo nemici, sono gli altri che ci vedono come tali. Follia!

In questo l’intervistato ha ragione. Tuttavia, il limitarsi a teorizzare che occorra “… porre contrasto a ogni tipo di criminalità … limitare l’immigrazione incontrollata … rinvigorire rispetto e sostegno alle Forze Armate e alle Forze di Polizia” rischia di essere solo una vuota elencazione di intenti che, come tali, ove non declinati in azioni, risulterebbero inutili. Fanno parte di quella teoria di cui ci siamo francamente rotti! La cosa peggiore sarebbe ritrovarsi a dire “ah, se solo avessimo …”!

Una pattuglia dell’Esercito vigila il Colosseo

Per quanto attiene all’immigrazione, a quanto pare confermato da più parti una strada utilizzata da terroristi veri o potenziali, si dovrebbe comprendere la necessità di attuare un blocco navale, o come lo si vuole chiamare, al largo delle coste libiche, se davvero si vuole porre fine a tale fenomeno carsico, che anche l’attuale episodio della spagnola “Open Arms” sta confermando come tale. Non basta chiudere, o far finta di farlo, i porti. Lo abbiamo già scritto su queste pagine qualche mese fa, ma ne riparleremo a breve in un successivo articolo sullo specifico argomento.

In secondo luogo, c’è da lavorare, e molto, sul piano delle azioni di polizia e su quello giuridico. Tanto per cominciare, la prima cosa da eliminare dalla narrativa è di gongolare per il fatto che possiamo contare su un sistema di sicurezza perfetto. Ora, ammesso che si tratti di un ottimo sistema, fatto da personaggi in gamba, questo non basta.

La sicurezza, come insegna lo Stato di Israele, è innanzi tutto un problema di cultura, vi si è fatto cenno prima. É un modo di essere. Senza una vera cultura della sicurezza tutti gli apparati di intelligence, le attività di Polizia e delle Forze Armate sono dei corpi senz’anima! Ecco, in Italia siamo in questa spiacevole condizione: eccellenti servizi di informazione e sicurezza, Forze Armate moderne ed addestrate, con l’impiego ininterrotto nei vari Teatri operativi a partire dal Libano primi anni ’80, forze di Polizia moderne e molto preparate, però per un impiego mai risolutivo, ma solo di contenimento delle varie turbative dell’ordine e della sicurezza pubblica. Si sa, a governo debole non può che corrispondere un’azione di polizia altrettanto debole e mai risolutiva dei problemi di competenza. E qui da noi i governi sono deboli da tempo, troppo tempo.

Il tutto aggravato da un sistema giustizia – nazionale ma anche sovranazionale – che insegue un assurdo modello astratto di tutela di parti deboli che, purtroppo, non comprendono solo chi occupa abusivamente una casa, l’inquilino moroso, la moglie che chiede alimenti a seguito di separazione o divorzio, il tossicodipendente che spaccia per potersi comprare lo stupefacente per uso personale ma anche il ladro o il rapinatore che trova le vittime designate irose e reattive e, perché no, anche l’islamico radicalizzato sospettato di essere pronto a far saltare la Basilica di San Pietro e tutte le chiese che trova sul suo cammino con tutti i loro occupanti!!!

Sì, è disorientante apprendere ogni tanto che le Forze di Polizia hanno individuato questo radicalizzato o quell’iman predicatore che aizza odio ma che questo o quel magistrato non ritiene quasi mai sufficienti gli indizi e le prove a carico per poi adottare misure restrittive ovvero è sempre pronto ad accogliere ricorsi contro i provvedimenti di espulsione dell’autorità di Polizia. D’altronde anche in Francia dopo ogni strage si apprende che l’autore era noto e classificato come pericoloso.

Dunque, siamo chiari. Ci piace essere presi in giro e anche agli organi di Polizia piace evidentemente essere raggirati da un sistema che però – sicuramente non volendo – il terrorismo lo agevola in ogni modo. Poi non ci si capacita che da noi – nonostante tutto – continui a non succedere nulla di eclatante (ci riferiamo agli attentati con le stragi annesse), trascurando invece, perché ormai assuefatti e rassegnati, le migliaia e migliaia di reati predatori giornalieri (denunciati in minima parte), di taglieggiamenti, piccole e grandi violenze ad opera di chi, se non è già radicalizzato, è comunque pronto a diventarlo alla prima occasione.

Quindi che fare? Beh! “À la guerre comme à la guerre”! Il terrorismo è operato da un nemico invisibile che opera in modo imprevedibile senza rispettare alcuna regola etica, né tantomeno è privo di immaginazione in termini di “tecniche di combattimento”. Bene, esso va combattuto ad armi pari, frapponendo alla ferocia del terrorista una determinazione implacabile, usando ogni strumento possibile, senza limiti operativi (ricordare ad esempio le ritorsioni di Israele nei confronti dei familiari dei kamikaze) e nessuna pietà, per i terroristi, per i fiancheggiatori, per i familiari, con tecniche di indagine e di interrogatorio finalizzate alla neutralizzazione del rischio e dei terroristi. Questa è la pratica!

In Italia, le nostre Forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza) sono già dotate da tempo di reparti specializzati e preparatissimi – con vertici altrettanto preparati e qualificati – per la lotta al terrorismo: sia dato loro il mandato di procedere, precludendo con provvedimento formale però qualsiasi intervento della magistratura, che non ha alcun titolo per coordinare o addirittura dirigere in modo efficace una vera lotta al terrorismo. In guerra, e lo siamo, i reparti combattenti non sono mica coordinati dai magistrati!

Infine, prendendo esempio dall’Australia, e da ultimo anche dalla piccola Danimarca (che nessuno ha criticato), si inizi a rastrellare la marmaglia di immigrati clandestini che inondano le nostre contrade e a confinarli nelle numerose isole dello Stato (Asinara, Pianosa, ecc.) richiedendo alla CRI e all’ONU di provvedere al loro sostentamento e al rimpatrio degli interessati che non avranno più interesse a permanere in Italia.

E questo, tanto per cominciare. Ogni altra ipotesi di soluzione è pura presa in giro! Insomma, non è che non dobbiamo abbassare la guardia, il fatto è che non l’abbiamo mai alzata!

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris.) 

**Generale di Brigata Carabinieri (Ris.) 

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