Libia, Michela Mercuri (Università di Macerata): “Il Paese attende le elezioni ONU del 2018, in un clima pericoloso”

Di Marco Pugliese 

Tripoli. La Libia è uno scatolone di sabbia per definizione storica, oggi però quelle sabbie sono sempre più mobili. Il sindaco di Misurata, Mohamed Eshtewi è stato assassinato. Il fratello è gravissimo ma stabile. Al momento non è arrivata nessuna rivendicazione ma i sospetti sono indirizzati verso le milizie islamiste della città. All’ex sindaco era stato chiesto di dimettersi per il sostegno del Governo d’unità nazionale di Tripoli.

Il sindaco di Misurata, Mohamed Eshtewi è stato assassinato

Per comprendere meglio il mosaico libico la professoressa Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi Mediterranei all’Università di Macerata, autrice del volume “Incognita Libia. Cronache di un Paese sospeso” (edito dalla Franco Angeli) ha spiegato a Report Difesa che “la Libia attende le elezioni ONU del 2018 in un clima diviso e liquido, ovviamente pericoloso. Questi episodi non fanno altro che cercare di spostare gli equilibri, già precari, del Paese nordafricano”.

Misurata è una città importantissima ed è logico si cerchi di portarla dalla propria parte. “Lo scenario – aggiunge la docente – è complesso quanto frastagliato, le alleanze posso cambiare e mutare in ogni momento. Il braccio di ferro tra Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar durerà ancora a lungo e questi episodi dimostrano quanto sia precario l’accordo internazionale che dovrebbe regolamentare l’unità nazionale libica. All’orizzonte anche il ritorno della famiglia Gheddafi, tutt’altro che fuori dai giochi”.

Il premier filo occidentale Al Serraj

 

Un funzionario locale coperto da anonimato, invece, ha suggerito che i responsabili potrebbero essere i sostenitori di Gheddafi o dell’uomo forte della Cirenaica, il Generale Khalifa Haftar, oppure l’ISIS, rilevando che tutti e tre avrebbero tratto beneficio dalla sua morte, ovviamente tale indiscrezione (riportata anche dall’ANSA) è tutta da confermare.

Il Generale Al Haftar

Quello che è sicuro è che il Paese non ha ancora intrapreso una via pacifica verso le elezioni. Creare caos e poi porsi come soluzione (in Egitto Al Sisi utilizzò questa strategia) del ginepraio sembra la tattica adottata da tutti gli attori in campo.

In questa situazione quale è il ruolo dell’Italia? Il nostro Paese ha deciso di non intervenire direttamente in campo, nonostante nel 2015 l’allora ministro degli esteri Paolo Gentiloni avesse espresso la volontà di farlo. Il capo del Governo dell’epoca, Matteo Renzi aveva parlato con il Presidente, Barack Obama che aveva benedetto l’intervento europeo e della NATO a comando italiano.

Era un periodo in cui all’esodo dei profughi si pensava di metter fine con una missione militare in loco. Nel 2016 però lo scenario mutò ed il Governo italiano decise di non rischiare i propri militari (la missione sarebbe stata di guerra) e si adoperò per la soluzione diplomatica.

Palazzo Chigi avrebbe voluto disimpegnarsi in Afghanistan per intervenire in Libia, in primis con i Reparti speciali. Alla fine si optò per una missione soft e la messa in sicurezza di tutte le installazioni atte a “preservare l’interesse nazionale italiano”.

Con l’arrivo all’Eliseo del Presidente francese Emmauel Macron  – e del Presidente russo, Vladimir Putin tramite l’ Egitto – si ebbe una svolta che portò all’accordo di “blocco” in loco del flusso migratorio verso l’Italia. Il nostro Paese ha lavorato più di  intelligence e di truppe speciali e di diplomazia, ottenendo il massimo risultato con il minimo sforzo.

Durerà questo precario equilibrio? Le elezioni libiche – a copertura delle Nazioni Unite – saranno un banco di prova fondamentale.

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