Libia, parla Michela Mercuri: “La miopia della politica internazionale italiana ha fatto perdere il vantaggio acquisito con il vertice di Palermo”

Di Marco Pugliese

Tripoli. In queste ore la Libia è tornata d’attualità. Ma perché il Paese nord africano è cosi importante per l’Italia? Dal 2011, ovvero dall’attacco occidentale (fortemente voluto da Parigi, che alla fine convinse il Presidente americano Barack Obama) il paese cardine dell’economia mediterranea italiana è nel caos, spaccato in due.

Da una parte c’è al-Sarray (appoggiato da Italia e comunità internazionale) e dall’altra Haftar (sostenuto da Francia, Emirati arabi unti, Arabia Saudita ed altri).

Fayez al Sarraj

Il nostro Paese poco o nulla ha fatto, prima con Silvio Berlusconi ha subito gli eventi, poi con Mario Monti ed Enrico Letta li ha congelati. Matteo Renzi ha avuto in mano la situazione per qualche scorcio del 2015.

Sull’onda degli attentati e con DAESH alle porte anche il mite Paolo Gentiloni (allora ministro degli Esteri) si lasciò scappare uno strano “ Siamo pronti a combattere”.

Ma l’ Italia era veramente pronta a farlo nel febbraio 2015? Pareva proprio cosi. Lo Stato Islamico occupò Sirte ed il nostro Governo, tramite appunto Gentiloni, si lasciò scappare la battuta, che in realtà nascondeva uno scenario particolare.

Preoccupavano le installazioni ENI a rischio DAESH e gli enormi investimenti italiani in loco, quantificabili in almeno 5 miliardi d’euro annui. L’ ONU, nel frattempo, falliva su tutta al linea.

John Kerry incontrò Matteo Renzi e gli fece il punto: gli Usa avrebbero garantito appoggio navale e logistico, droni, basi e una forza militare mobile ma il grosso della missione sarebbe stato a carico di Roma.

L’obiettivo? Occupare (con la cooperazione delle milizie libiche tramite accordi confezionati con l’ENI) le principali città libiche ed i porti.

Iniziavano i massicci flussi migratori verso l’Italia, milizie e terrorismo di fatto ebbero da quel momento una fonte di guadagno garantita con il traffico d’ esseri umani. Matteo Renzi non avrebbe dovuto far altro che dare il via libera, avrebbe messo in sicurezza gli interessi italiani e soprattutto bloccato un crescente malcontento (che poi pagherà a livello elettorale) derivante da una gestione non eccezionale dei migranti in arrivo in ingenti numeri dalla Libia.

Un gruppo di migranti

La differenza tra normale politico e lo statista la si vede in queste situazioni. Lo statista rischia, perchè vede oltre al momento. A Matteo Renzi mancò lo slancio finale e fu di fatto la fine del suo successo politico.

Da quel momento la sfiducia nel suo operato iniziò a crescere fino a farlo cadere nel dicembre del 2016 tramite un referendum che divenne di fatto un voto politico. Mai più si presentarono condizioni cosi favorevoli. Archiviato Matteo Renzi fu il turno di Paolo Gentiloni che di fatto s’affidò al ministro dell’Interno Marco Minniti, il quale bloccò, con una serie d’accordi, i flussi migratori.

Ma l’ Italia, formalmente almeno, non smise d’appoggiare al-Sarraj ed evitò Haftar (appoggiato invece da Parigi).

Un recente incontro del capo del Governo Conte con Al Sarraj

L’ attuale Governo ha ereditato la matassa ma non molto ha fatto per sbrogliarla. Da più parti anzi, emerge, che la non rapida azione di dovute spiegazioni da parte Giuseppe Conte nella querelle “Via della Seta” agli Usa abbia di fatto congelato l’appoggio in Libia (promesso nell’ultimo bilaterale prima della Cina) di Donald Trump. Con gli Usa pronti ad isolare al-Sarraj, e di conseguenza l’ Italia, Haftar ha tentato il colpo di queste ore per riconquistare il Paese.

Un incontro tra Haftar ed i suoi ufficiali

L’Italia ovviamente ha tutto da perderci.

Partendo da questi ragionamenti, Report Difesa ha fatto il punto con Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università degli Studi di Macerata e Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano.

La professoressa Michela Mercuri

Professoressa Mercuri, l’Italia cosa deve augurarsi da questa situazione in Libia?

Che vinca Al-Sarraj.  Ma è utopia. Haftar non cambierà cavallo in corsa, visto che ha alleati di un certo tipo e assai disposti a finanziare le sue mosse. In primis Emirati arabi uniti e Arabia saudita. Perchè cambiare?

Cosa può fare allora il nostro Paese?

L’ Italia ad ora non può fare molto, rimane l’amaro in bocca perchè il nostro Paese organizzò una Conferenza sulla Libia (con Haftar) a Palermo, nel novembre dello scorso anno. In quel momento avevamo conquistato posizioni importanti, ma ce le siamo fatte scappare. Adesso non rimane, ma è arduo e anche pericoloso cercare una sponda con Misurata (una sorta di città-Stato) e con le tribù (che ad esempio hanno accordi bilaterali con Eni) tentando di riagganciare Haftar.

Dobbiamo escludere un intervento militare italiano?

Sì. Bisogna farsi sentire all’interno della comunità internazionale. Ci tocca stare alla finestra e, spiace dirlo, sono eventi fuori dal controllo italiano.

Da dove nasce questa crisi?

La crisi è partita per una prova di forza di Haftar. Mostrare i muscoli per portare più tribù a Gadames dalla sua parte. Ricordiamo come la Libia sia una costellazione di milizie tribali. Fa riflettere che Haftar non sia solo, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti lo sostengono finanziariamente e politicamente. Bisognerà, prima o poi, confrontarsi con questi Paesi.

Militari di Haftar

Se l’Italia soffre, la Francia ride?

La Francia è alleato storico di Haftar. I francesi però sono stati spiazzati dal colpo militare, ho questa fonte. Parigi avrebbe preferito una via diplomatica. Ma se tutto si concludesse a favore di Haftar, La Francia con le sue imprese – Total in primis – ne gioverebbe e sarebbe assai complesso per l’ Italia.

Intanto, l’ENI ha richiamato il suo personale…

Lo ha fatto per motivi precauzionali. Non è la prima volta che la compagnia ritira il proprio personale. L’ENI rimane comunque l’unica compagnia internazionale ad operare nel Paese. Ricordiamo che ha una propria autonomia sulle trattative con le milizie e una sua politica internazionale “a parte”.

Come definirebbe invece la politica internazionale italiana? Miope e poco lungimirante?

Miope. Il nostro Paese (in qualche modo) avrebbe dovuto intervenire prima, avevamo sia il placet russo che americano. Saremmo dovuti intervenire ed appoggiare Haftar, invece abbiamo preferito aspettare.

Con il caos in corso, i flussi migratori sono rimessi in discussione?

Non è un caso che la Tunisia abbia rafforzato i confini, il rischio d’implosione e conseguente riapertura massiccia dei flussi è concreta, sarebbe una doppia sconfitta per l’Italia che si ritroverebbe a gestire problemi creati da altri sul proprio suolo nazionale.

E con una Libia targata Haftar, quale dovrebbe essere la nostra posizione?

Cadesse Tripoli, l’ Italia finirebbe dietro ad altre nazioni da un punto di vista diplomatico. Haftar ci snobberebbe e la Total con l’appoggio della Francia potrebbe prendere il posto di ENI. Sarebbe un grave danno per il nostro Paese che però ad oggi non può fare molto.

Rischia qualcosa il nostro contingente a Misurata?

I nostri militari sono a Misurata, in questa sorta di città- Stato. E’  l’unica che ha i mezzi militari per opporsi ad Haftar. In questo momento nessun pericolo, ma va letto bene lo scenario. Può accadere di tutto ed in questo momento nessuno pare avere controllo e certezze.

 

PER APPROFONDIRE

La missione italiana in corso è di assistenza e supporto al Governo di Accordo nazionale libico. Fu creata da due diverse operazioni: l’Ippocrate e la Mare Sicuro. Il tutto era finalizzato all’addestramento della Marina e della Guardia Costiera Libica. Il compito specifico è quello di sostenere le autorità libiche nel processo di riunificazione e pacificazione sotto la guida del Governo di Tripoli con la presenza, al massimo di 400 militari e di 130 mezzi terrestri, navali e aerei. (https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/Pagine/default.aspx)

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