Mafia, i Carabinieri del ROS e del Comando provinciale di Palermo scoprono il nuovo sistema di elezione del reggente di un clan

Palermo. Operazione Falco, oggi a Palermo, dei Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale contro un clan locale. I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 27 persone indagate per partecipazione ad associazione di tipo mafioso (famiglia di Cosa Nostra di Santa Maria di Gesù), estorsione, traffico di stupefacenti, rissa, furto, trasferimento fraudolento di valori ed esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa.

Operazione antimafia, oggi a Palermo

I Carabinieri hanno anche sequestrato, preventivamente, sempre a Palermo, un bar, con inclusa attività di esercizio delle scommesse, del valore di 200 mila euro.

Nel corso dell’indagine è emerso che gli arrestati avevano curato la riorganizzazione dell’articolazione mafiosa e le relative elezioni dei vertici, avevano profuso ogni sforzo per ottenere un ferreo e penetrante controllo del territorio, avevano fatto ricorso sistematico alla violenza come strumento per la realizzazione dei loro obiettivi, avevano operato per ottenere un completo assoggettamento all’estorsione delle varie entità economico-commerciali del territorio. Ed infine avevano sostenuto e dato mutua assistenza ai sodali, compresi i detenuti, con la distribuzione dei proventi delittuosi.

Questa indagine si assomma ad un’altra fase dell’inchiesta, avviata nel 2011 dal ROS sul mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù – Villagrazia e che, sviluppata progressivamente con le indagini Torre dei Diavoli, Brasca e Bingo Family ha consentito di documentare la perdurante operatività e di individuare i vertici e gli appartenenti.

In particolare, grazie all’indagine Torre dei Diavoli, conclusa l’11 dicembre 2015 con l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura Distrettuale di Palermo nei confronti di 6 indagati, cui seguiva una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 10 indagati, è stato accertato il coinvolgimento di alcuni degli indagati di oggi, Natale Giuseppe Gambino, Salvatore Profeta, Antonino Profeta, Francesco Pedalino, Gabriele Pedalino e Lorenzo Scarantino. nell’agguato mortale che il 3 ottobre 2015 colpì Salvatore Sciacchitano e ferì Antonino Arizzi. Inoltre, quell’indagine, spiegano i Carabinieri, ha visto Giuseppe Greco diventare il reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù.

Con l’indagine Brasca, conclusa il 16 marzo 2016, con  l’emissione di un provvedimento cautelare nei confronti di 62 indagati, è stato scoperto l’organigramma mandamentale con al vertice Mario Marchese detto Mariano.

Mentre con l’attività investigativa Bingo Family, conclusa il 1 luglio 2016 con un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 3 indagati sono state accertate estorsioni aggravate dal metodo mafioso ai danni dei responsabili di una importante sala Bingo di Palermo. Con il coinvolgimento, evidenzino i Carabinieri, dell’odierno indagato Cosimo Vernengo, del fratello Giorgio e di Paola Durante.

Le attività tecniche svolte nell’ambito dell’indagine Falco hanno consentito di individuare con precisione ruoli, gerarchie, dialettiche e controversie della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, nonché di documentare diversi reati  commessi dagli indagati.

Grazie all’utilizzo delle intercettazioni è stato possibile scoprire come si muove la nuova mafia

L’odierna indagine ha consentito di riscontrare l’intero processo di riorganizzazione della famiglia di Santa Maria di Gesù che vede tra gli affiliati Giuseppe Greco (già condannato per associazione mafiosa, arrestato dal Ros nell’indagine Torre dei Diavoli come reggente della citata famiglia), Gaetano Messina (consigliere della famiglia), Natale Giuseppe Gambino (sottocapo), Salvatore Profeta (di fatto consigliere del reggente), Antonino Profeta, Giuseppe Contorno, Francesco Pedalino (capo decina), Cosimo Vernengo (del 1964) Cosimo Vernengo (del 1966) Salvatore Lo Iacono, Salvatore Gregoli e Girolamo Mondino.

In particolare è stata documentata un’attività tipica di Cosa nostra, in passato descritta solo dai primi collaboratori di giustizia, ovvero l’elezione dei rappresentanti con un sistema a cui hanno aderito tutti gli uomini d’onore della famiglia.

Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, a settembre 2015 sono state documentate le fasi precedenti, concomitanti e successive ad un’importante riunione svoltasi il 10 settembre di quell’anno in un ristorante palermitano, durante la quale sono state formalizzate le cariche interne della famiglia di Santa Maria di Gesù.

Alla presenza di almeno 12 uomini d’onore, Giuseppe Greco veniva confermato reggente mentre Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina divenivano rispettivamente sottocapo e consigliere. Mentre Francesco Pedalino e Mario Taormina venivano nominati capodecina.

Antonino Profeta, pur in assenza di un incarico formale, veniva presentato come rappresentante di Giuseppe Greco e Salvatore Profeta sceglieva di mettersi da parte sia l’età avanzata che per non sottrarre posti agli altri.

I Carabinieri sono riusciti ad acquisire un’ampia ed importantissima documentazione investigativa delle fasi delle elezioni del reggente (definito “il principale”). La vigenza di tale pratica era emersa solo nei riferimenti dei primi collaboratori di giustizia degli anni ’80: Tommaso Buscetta, Vincenzo Marsala, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia. Le procedure di elezione, ad imitazione delle vere competizioni politiche, sarebbero tuttora basate su una preliminare attività di propaganda a favore dei candidati, anche se in realtà non vi sarebbe stato nella circostanza un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco. Il quale, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto da subito il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta che si è offerto di appoggiarlo probabilmente per la sua parentela con il collaboratore Vincenzo Scarantino, ritenuta certamente ingombrante, e per via dell’età avanzata.

Dopo l’attività di propaganda è stata scoperta la vera e propria elezione. In sintesi essa è avvenuta attraverso il voto di tutti gli affiliati che esprimerebbero la preferenza a scrutinio palese (“ad alzata di mano… per vedere l’amico”) anche se nel passato si ricorreva ad urne consegnate ai capodecina per la raccolta tra i soldati. La procedura elettiva avverrebbe, oggi, solo per le cariche di capofamiglia/reggente e consigliere, mentre le nomine per i ruoli di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso principale in precedenza eletto.

Se la base dell’organizzazione esprimerebbe i vertici, il capofamiglia-reggente designerebbe a suo insindacabile giudizio i propri collaboratori. Secondo tale principio si inquadra l’assegnazione ad Antonino Profeta di un incarico fiduciario al di fuori delle funzioni tradizionali ed alle dirette dipendenze del vertice che l’avrebbe autorizzato ad eludere le rigide regole della gerarchia mafiosa e l’obbligo di informazione dei quadri immediatamente superiori.

Il quadro investigativo si è arricchito di interessanti riferimenti al periodo precedente la seconda guerra di mafia, quando le elezioni costituivano un mero fatto formale, essendo la carica di capofamiglia (e capomandamento) di pertinenza esclusiva dello storico esponente Stefano Bontate detto principe di Villagrazia e/o il Falco (ucciso il 23 aprile 1981). Il ricordo della assoluta autorità di Bontate, benché vittima del tradimento dei suoi stessi collaboratori schieratisi con i corleonesi, si è rivelata circostanza ancora presente a distanza di molti anni tra gli attuali indagati che hanno stigmatizzato come “il generale non ne ha vinto mai guerra senza soldati”, esaltando la forza della famiglia come entità (tutti siamo utili e nessuno è… indispensabile!) in grado di imporsi all’interno ed all’esterno (l’unica legge che conosci tu… è quella del più forte!).

Il riordino dell’organizzazione era divenuto necessario dopo l’eliminazione violenta nel settembre 2011 di Giuseppe Calascibetta, a seguito di contrasti nella cattiva gestione della cassa comune, con la contestuale carica protempore assunta da parte di Giuseppe Greco.

Le fasi di fibrillazione registrate in quel frangente avevano determinato la necessità di una formalizzazione dello status quo, in modo da legittimare i rapporti di forza interni alla famiglia.

Era divenuta imprescindibile l’esigenza di palesare la capacità di estrinsecazione della forza da parte del gruppo di vertice, in modo sia di congelare la posizione di supremazia annichilendo eventuali oppositori sia di riaffermare il controllo sul territorio di influenza, punendo anche iniziative di soggetti legati alla medesima compagine mafiosa senza che fossero preventivamente autorizzate.

In merito sono stati documentati violenti atti intimidatori, sfociati in risse e financo in un omicidio.

La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù è stata in grado di esercitare a pieno il controllo del territorio, perpetrando con pervicacia la pratica dell’estorsione, senza che nessuna delle vittime abbia denunciato le imposizioni subite.

Del pari, il riconoscimento esterno dell’associazione è stato espresso anche da imprenditori che, in linea con la ricostruzione giurisprudenziale della figura dell’ “imprenditore colluso”, hanno fatto ricorso agli indagati per ottenere la commissione di lavori presso terzi.

Le intercettazioni, eseguite in luoghi considerati assolutamente sicuri dagli indagati, hanno inoltre consentito di avere cognizione del ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di cosa nostra.

La rigidità del dettame mafioso è estesa, nelle indagini, all’operoso sostentamento dei detenuti e dei familiari, in ossequio ad un dovere imprescindibile, a cui poter assolvere attraverso gli introiti provenienti dalle estorsioni.

Le intercettazioni, infine, hanno rivelato l’esistenza di una cassa comune gestita per conto dell’intera famiglia.

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