Manchester: serve veramente un servizio di intelligence europeo?

di Alexandre Berthier

22 morti e 59 feriti a Manchester (UK), aggiornati alle nove di oggi 23 maggio 2017, tanta confusione, tante chiacchiere, tutto come sempre. Ancora una volta, l’inquietante interrogativo di sempre: ma è l’intelligence che manca? Serve un organo di informazione e sicurezza europeo, che coordini quelli dei 28 paesi membri dell’UE? No. Credo proprio di no. Chi sostiene la necessità di maggior coordinamento dei servizi di intelligence, ed un organo comunitario che se ne occupi, probabilmente non sa di cosa sta parlando.
In Italia, abbiamo un sistema di coordinamento delle forze di polizia codificato sin dal 1981, che pure talora incontra difficoltà di effettiva attuazione, e un sistema di coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza interno ed esterno, dopo che dal SIM (Servizio informazione militare, del Regno d’Italia), dal SIFAR (Servizio informazioni forze armate) e dal SID (Servizio informazione difesa, istituito nel 1966) si decise nel 1977 di democraticizzare i servizi segreti sdoppiandoli (prima Sismi e Sisde con il Cesis, poi Aise, Aisi con il Dis) e mettendoli in coordinamento tra loro, nonché con i ministri competenti e cointeressati ed i comitati parlamentari: anche qui, difficile non intravedere la ricerca politica di soluzioni decisamente indefinite, ma soprattutto idonee a non identificare mai i responsabili veri di inefficienze o inconvenienti. D’altronde in un paese che in 70 anni di Repubblica è riuscito ad avvicendare ben 67 governi, sarà difficile che si ritenga veramente necessario avere polizie forti e servizi segreti efficenti; sarebbe un incomprensibile risultato. E’ noto infatti che a governi forti corrispondono polizie forti e a governi deboli si attagliano bene polizie deboli! E’ così in tutto il mondo, da sempre.
Proiettiamo questo assetto italiano, che con forme più o meno variegate si ripete ovunque (in natura – e in politica – nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si copia) nei 28 paesi dell’Unione, e ci rendiamo subito conto che voler coordinare efficacemente queste realtà sarebbe più che fantascienza. Ricordo solo un attimo la fine della CED (Comunità europea di difesa) ed il suo oblio totale: l’Italia la propose con l’avallo della Francia, che si rimangiò subito il sostegno perché in alcun modo voleva una presenza militare della Germania di Bonn! E ancora oggi nessuno si pone seriamente il problema di creare un esercito europeo, anche se capi di Stato e di governo ripetono continuamente ed in coro la litania del “siamo in guerra”! Sarà anche vero, però da come reagiamo non si direbbe. Anzi . . .
Chi sostiene la necessità di creare una agenzia europea di informazioni e sicurezza (in sintesi di intelligence) non sa o fa finta di non sapere che i servizi segreti (questo sono, o dovrebbero essere. Per il resto ci sono le polizie) per loro stessa natura sono segreti, sono occulti, operano senza il controllo preventivo della ormai onnipresente magistratura e, spesso, al limite della legalità, talora con poteri speciali e non dovrebbero rendere conto né a parlamenti né a comitati ministeriali e organismi similari. Ovunque, i servizi segreti rendono conto –o almeno dovrebbero – ai capi del governo, e solo ad essi. E quando i servizi segreti si mostrano inadeguati o corresponsabili di gravi inconvenienti se ne licenzia il capo o perde il posto il capo del governo, o entrambi, evitando possibilmente di mettere in piazza, sui giornali e nelle aule di tribunale, i segreti di un paese, minandone la sicurezza. Questo vorrebbe il buon senso ma anche la consuetudine internazionale. Troppe volte dimentichiamo che l’esigenza di fare giustizia e il diritto di informare e di essere informati (l’opinione pubblica è definita un “mostro insaziabile”) finisce invece per informare il nemico e gli offre elementi di favoreggiamento nella sua azione criminale e terroristica.
Un grande e consolidato stato federale, gli Stati Uniti d’America sono la prova provata che un famoso ed importantissimo servizio di intelligence federale, la CIA (Central intelligence agency), non ha saputo e potuto evitare la tragedia dell’11 settembre 2001: attenzione, non fu un solo attentato, ce ne furono ben quattro, quasi contemporaneamente! Diciannove terroristi, fondamentalisti islamici, dirottarono quattro aerei facendone schiantare due sui famosi grattacieli di New York, dirigendone uno sul Pentagono a Washington e tentando di veicolarne un quarto o sul Campidoglio o sulla Casa Bianca, ma che per l’intervento di coraggiosi passeggeri precipitò in un campo nella Pennsylvania. Morirono 2.996 persone, di settanta diverse nazionalità! Bene, gli USA hanno la CIA, lo USSS (United stated secret service, si occupa della sicurezza del Presidente, della Casa Bianca e contrasta la falsificazione del dollaro) e l’FBI (Federal bureau investigations), la importante polizia federale. E pur con questo imponente e potentissimo apparato non ha saputo prevenire quegli attentati. Non solo, lo sviluppo di quegli atti terroristici ne registrò anche l’impotenza a reagire, pure quando il controllo dello spazio aereo segnalò le rotte irregolari dei quattro velivoli civili e commerciali. Insomma, per un interminabile arco di tempo nessuno decise nulla e nessuno reagì!!!
Ad ogni buon conto l’Unione Europea, per come essa è intesa e accettata dai suoi partners, è fin troppo organizzata, almeno sul piano ordinativo. Anzi, ha tanti di quegli organismi che si interessano – o cercano, o fanno finta di interessarsi – di sicurezza che ne risulta evidente, di fronte ad esigenze concrete e a gravi eventi, l’impossibilità di una sintesi. L’UE dispone, come noto, dell’ufficio dell’ Alto rappresentante dell’unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, deputato alla guida della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea, come mandatario del Consiglio dell’Unione stessa. Dall’Alto rappresentante, dal 2010, istituito dal Trattato di Lisbona, dipende il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) che si avvale del Joint Situation centre (Sitcen). Dopo gli attentati di Madrid, del 2004, il Consiglio creò anche la figura del Coordinatore antiterrorismo che si avvale del Centro per l’antiterrorismo europeo (ECTC), struttura che tuttavia risulta debole e senza concrete capacità operative. L’Unione dispone, altresì. di un importante database noto come Schengen Information System (SIS) che purtroppo è alimentato da pochi paesi e ignorato da molti altri. L’unica realtà, con una sua dimostrata, efficace operatività è EUROPOL, l’agenzia europea di polizia, con quartier generale a L’Aja (NL), istituita nel 1999 per combattere la criminalità organizzata, il traffico internazionale di stupefacenti ed il terrorismo. Ha circa 1.000 dipendenti ed un budget di 94 mln di euro. Tuttavia questa agenzia non può condurre autonomamente nessuna operazione, ma può solo affiancare con proprio personale le polizie nazionali, coordinarne le operazioni, da svilupparsi in diversi paesi dell’Unione e contribuire con apporti finanziari o tecnologici. Lo scopo principale di Europol è agevolare lo scambio di informazioni tra le polizie e dispone di un Centro analisi di intelligence (Intcen). Completa l’assetto informativo dell’Unione il Direttorato per l’intelligence dello Stato Maggiore UE (EUMS).
Tornando alle ventilate esigenze di disporre di un servizio di intelligence europeo va ricordato che, in questo campo, quello che c’è basta e avanza. Due parole sugli organismi creati per facilitare lo scambio di informazioni tra i servizi segreti ( se li chiamiamo intelligence potremo continuare a non capire di cosa si parla): primo fra tutti il Club di Berna, nato nel 1971, vede l’adesione dei 28 paesi dell’Unione più Svizzera e Norvegia. Si concretizza con l’annuale conferenza dei Direttori. Poi abbiamo il Club Brenner, riunisce i servizi di sicurezza occidentali; Megatonne, istituito per la lotta al terrorismo islamico; il Gruppo Star, il Med Club, il Gruppo Kilowatt istituito da Israele dopo l’attentato di Monaco del 1972. Inoltre, operano i gruppi di cooperazione tra corpi di polizia, quali il Gruppo di Vienna ed il TREVI (Terrorism, radicalization, extremism & political violence), poi assorbito dal JHA (Justice and Home affairs dell’UE) nonché il Police Working Group on Terrorism che riunisce i paesi dell’Unione con Svizzera e Norvegia.
Una nota inevitabile, da sottoporre al lettore, è che prima dell’attuale Alto rappresentante per gli affari esteri, l’italiana Federica Mogherini, la carica dal 2009 al 2014 era affidata alla britannica Catherine Ashton e che attualmente Europol è guidata dal britannico Rob Wainwright. Due inglesi, scelti per posizioni di altissima responsabilità, rappresentanti di un paese entrato tardi – e di traverso – nell’Unione e che si affretta ad uscirne. Intelligenti pauca!
In conclusione, ritengo che non vi sia alcun bisogno di creare una struttura europea che coordini ciò che non è coordinabile: i segreti di ciascun paese, che in quanto segreti vanno mantenuti come tali, e senza i quali la magistratura può dedicarsi ad attività più importanti per le persone e la stampa con l’opinione pubblica possono tranquillamente continuare a lambiccarsi il cervello con le tante variegate e curiose realtà di cui il mondo abbonda. Credo sia molto valido invece il collaudato e consolidato principio della reciproca collaborazione tra servizi di informazione, con scambio di informazioni riservate, di cui ovviamente nessuno può assumere ufficialmente la responsabilità della assoluta fondatezza.
Ciò che importa, invece, è che ogni Stato, ogni Governo prenda coscienza di essere obiettivo probabile dell’attuale forma di terrorismo e che si organizzi con i fatti a difendersi in modo proattivo, senza attendere gli eventi: aumento dei poteri di polizia, limitazione degli interventi dei magistrati, reclusione con isolamento dei sospetti di attività terroristica, fino al termine della minaccia. Le espulsioni dei sospetti, oggi ritenute un grande successo delle polizie, sono in realtà provvedimenti effimeri e inutili, oltre che costosi, quando restituiscono il presunto terrorista a paesi che non garantiscono la loro detenzione e da dove è agevole trovare sostegno, complicità e, con una nuova identità, ritornare in breve tempo nei territori dell’Unione, dove alcune polizie ritengono addirittura, assurdamente di non poter neppure costringere i clandestini a sottoporsi ai rilievi dattiloscopici (impronte digitali, ecc.). Altro aspetto di grande preoccupazione, è il generalizzato e radicato condizionamento, se non addirittura blocco psicologico, di appartenenti alle forze di polizia a fare uso delle armi per neutralizzare, all’esigenza, i terroristi o presunti tali. Infatti, gli ordinamenti particolarmente garantisti di diversi paesi dell’Unione Europea, ma da qualche tempo anche degli USA, rendono quasi impossibile far uso delle armi di fronte al pericolo attuale di aggressioni, resistenze e violenze, senza dover valutare preventivamente, assurdamente, fattori e situazioni molteplici.
Se è vero che viviamo nel pericolo occorre aumentare la sicurezza e diminuire necessariamente le libertà, per il principio universale che “non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”. Altrimenti, continuiamo pure a fare funerali di Stato, dibattiti televisivi e marce della pace.

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