Migranti, dallo “Sceriffo” Minniti al “Capitano” Salvini. E’ sempre scontro tra ONG e Italia

Di Marco Pugliese

Roma. L’ estate 2019 della sfida tra Italia ed ONG è partita a giugno, Carola e la “Sea Watch 3”, che nonostante divieti e tribunali (dal TAR del Lazio alla Corte europea dei diritti dell’uomo) ha forzato il blocco di uno Stato sovrano.

Carola Rackete

Ma cosa vi è realmente dietro a questo scenario? In Italia la questione è poco analizzata ma genera il solito atavico conflitto tra destra e sinistra, buoni e cattivi, umani ed inumani o di recente, tra globalismo e no globalismo.

Ovvero due visioni distinte del mondo: da una parte confini aperti (ma solo quelli italiani od europei?) e niente nazioni, dall’altra nazioni e confini, se non blindati, almeno controllati. In mezzo un grande assente: l’ONU. Presente in Libia ma insufficiente nelle azioni.

Le Organizzazioni non governative operanti nel Mediterraneo agiscono seguendo la logica dello “sblocco coatto dinanzi ad azioni eclatanti”, la strategia è di tipo militare (quando una testa di ponte sfonda, crolla il fronte) più che umanitaria.

Ma non bisogna banalizzare uno scenario complesso, che vive mediaticamente solo la parte finale : ovvero il braccio di ferro con l’Italia del “Capitano” Matteo Salvini.

Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini

Anche lo “Sceriffo” Marco Minniti dovette lasciare un Consiglio dei Ministri nel 2017, in aperta polemica con l’allora ministro Graziano Delrio, che non amò mai il codice ONG. Una questione da anni spinosissima, che merita qualche approfondimento.

L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti

LO SCOPO E’ SOLO UMANITARIO?

Sicuramente vi sono più anime del “movimento ONG” che agiscono in totale buona fede ma il disegno generale sembra più complesso ed ampio.

Minniti fu il primo a mettere dei paletti tramite un codice (che firmarono solo alcune Organizzazioni non governative), di fatto andando a smentire chi sosteneva la seguente tesi “i flussi non si possono bloccare”.

Dal 2011 al 2017 di fatto fu la Marina Militare Italiana tramite missioni ad hoc ad occuparsi dei salvataggi.

Nel frattempo l’Unione europea blindò i confini ad Est (tramite “dazi” alla Turchia) e Paesi come la Francia si chiusero a riccio.

La Germania invece puntò ad una “selezione” che portasse in patria solamente siriani, tralasciando tutta l’immigrazione sub-sahariana, quella a “tiratura francese”.

Le ONG, quindi, hanno la funzione di ponte tra Libia ed Europa, agiscono in una porzione di Mar Mediterraneo ben precisa.

LA LIBIA, OLTRE LA GUERRA MEDIATICA 

Iniziamo da ciò che è vero è documentato: in Libia esistono centri di detenzione che descrivere come disumani è ancora poco inerente alla realtà più oggettiva.

I centri di “raccolta” sono di due tipi. Ci sono quelli governativi o quelli direttamente in mano ai trafficanti che nella loro brutale gestione non si fanno problemi a bruciare vive le persone per “dare l’esempio” e far comprendere la loro disumanità.

Ancora problemi sul fronte immigrazione

Questi individui sono legati ad ambienti che vanno dal terrorismo internazionale ai veri e propri mercanti di esser umani, attivi nell’ Africa sub-sahariana.

La Libia è diventata un gigantesco “Hub” d’interessi economici legati a materie prime, armi e carovane dei migranti.

Tutte attività che proliferano nel caos in cui gli interventi militari (fortemente voluti da Parigi) hanno scaraventato il Paese nel caos. A livello mediatico il tutto viene raccontato poco e male, spesso con foto non inerenti al contesto (facendo passare la realtà come artificiale, quando non lo è).

LA GUERRA DELLE FOTO TRA DISINFORMAZIONE SOTTILE E FAKE NEWS

E’ stata innescata, da tempo, una bruttissima “social war”. Si prendono foto, spesso fuori contesto e si veicolano messaggi politici, spesso si usano minori e bambini. Ovviamente l’utilizzo è becero in un senso e nell’ altro. Esempio? Foto di ragazzi di colore spacciati per “appena sbarcati”, in cui si fanno notare vestiti firmati ed anelli.

In realtà, la maggioranza di queste foto sono riferite ad altro, alcune volte perfino ritraggono dei personaggi famosi. Ma anche l’esempio al contrario è altrettanto grave: un blogger ha pubblicato la foto di due bimbi presenti sulla “Open Arms”. Fin qui nulla di male, anzi. Peccato abbia fatto intendere i bimbi fossero ancora a bordo al largo di Lampedusa, lo scorso 17 agosto. Quindi “in ostaggio dell’ Italia”.

Lo sbarco dei migranti dalla Sea Watch a Catania lo scorso febbraio

In realtà: ”Una famiglia (due adulti e due bambini) è stata evacuata dall’Open Arms e portata in Italia. L’operazione ha avuto il via libera dal Viminale, dopo che Malta ha annunciato di non riuscire a portarla a terra con tempestività. Uno dei bambini ha infatti bisogno di cure. Il ministero dell’Interno conferma la linea dei “porti chiusi” per il resto dell’equipaggio”.

Questa disinformazione è ancora più subdola e sottile, perchè tramite una foto vera (scattata sulla nave) si fa intendere però tutt’altro, ovvero una sofferenza prolungata dinanzi a Lampedusa che però non c’è stata, visto che la famiglia era a terra da giorni.

Si rischia ad operare in questo modo che potrebbe venire meno una sensibilità generale. L’opinione pubblica dinanzi a certe mistificazioni potrebbe tendere a sottovalutare la situazione che si vuole veicolare tramite la mistificazione stessa.

PERCHE’ NESSUNO PARLA DELL’OIM?

L’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) opera in territorio libico ed organizza i rimpatri dei migranti tramite voli, quindi in sicurezza.

Chi finisce nei centri governativi, dopo lungaggini (le Ambasciate spesso sono lentissime nel riconoscerli come loro cittadini) infinite è rimpatriato, chi invece si ritrova tra le mani degli scafisti è praticamente costretto a salire sui precari barconi che tristemente conosciamo.

L’agenzia delle Nazioni Unite ha ovviamente fondi limitati nel 2017 operò al rimpatrio di 6.500 persone.

L’ONU dovrebbe potenziare questa missione, cercando di far chiudere (tramite azioni di polizia militare) i centri gestiti dagli scafisti.

Porre poi sotto completa gestione delle Nazioni Unite (o NATO o Unione europea) il tutto, dalla mensa alla sicurezza, utilizzando militari occidentali.

Il budget per migrante e d’appena 1,25 dollari al giorno, una cifra ridicola, che non copre nemmeno le spese per garantire cibo a tutti.

I centri di detenzione libici dovrebbero ovviamente passare sotto controllo dell’ONU, eventualmente selezionare chi ha diritto all’asilo in Europa e rimandare a casa in tempi brevi gli altri.

Ovviamente in questi campi sono assenti i siriani, presenti invece moltissime altre nazionalità, dai bengalesi ai pakistani fino agli africani della parte occidentale (l’ex Africa francese).

LA SOLUZIONE 

Una possibile soluzione? Tagliare le rotte terrestri e ONG sul territorio libico

La soluzione ad un tema complesso non può essere unica, ma va suddivisa:

  • la “via della Morte”, ovvero la tratta che va dall’Africa Occidentale al ud della Libia va tagliata tramite azioni anche di tipo militare e di salvataggio. Militarmente vanno ripristinati i confini libici
  • azioni con i reparti speciali atte a neutralizzare organizzazioni criminali ed eliminate le “zone franche” in cui operano, istituiti presidi militari
  • centri di raccolta gestiti dall’ONU, difesi con militari occidentali
  • addestramento forze di polizia libiche da parte Nato per ridare al paese la legalità di base
  • Ong sul territorio come presenza civile, ricostruzione sociale
  • infrastrutture ricostruite rapidamente
  • tagliare legami economici con soggetti esterni, interessati a mantenere il caos

Se al centro si mettono sul serio le persone, bisogna agire profondamente ed alla base del problema, la soluzione non può essere un porto chiuso o aperto.

La strategia delle Organizzazioni non governative è vincente, i salvataggi non raggiungono percentuali elevate, si salvano piccoli gruppi, inoltre la questione delle imbarcazioni-madre che operano poi con i barchini (ampiamente documentato dalla nostra Marina) di fatto bypassano ONG e controlli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore