Pirateria marittima, parla il presidente di Confitarma Mario Mattioli: “Personale armato sinora ha sempre operato a bordo delle nostre navi in forza di una deroga. Ne chiediamo il rinnovo”

Roma. La storia della pirateria marittima è antica. Il termine “pirata” è di origine greca e può tradursi nella espressione “compiere atti di coraggio” ovvero in quella “tentare la fortuna con atti di coraggio’’.

Se invece lo applichiamo alla lingua somala il termine equivalente è di “burcard badeed”. Inquadrando un’attività criminale, in quanto nella traduzione letterale corrisponde a “ladro o predone dell’Oceano”.

La pirateria ha avuto una grande espansione nei secoli XVII e XVIII fino agli inizi del XIX, da quando il fenomeno fece registrare una flessione, per poi riprendere ed espandersi con dimensioni sempre più allarmanti negli ultimi anni.

Una questione che interessa direttamente l’armamento marittimo. La situazione è altalenante. Si registrano talvolta casi di attacchi a navi commerciali. Ma non più con la costanza degli anni passati.

A vigilare sulla sicurezza della navigazione nel Corno d’Africa le navi della missione EU NAVFOR Somalia – operazione Atalanta. A questa missione partecipa anche la Marina Militare italiana.

La protezione anti pirateria ad una nave commerciale

L’Unione europea preoccupata per gli atti di pirateria e di rapina nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano occidentale, con casi di rapimento di marittimi, ripercussioni a livello economico e di sicurezza, ha lanciato questa operazione nel dicembre 2008 (la durata è stata estesa fino al 2020). Il tutto nel pieno rispetto delle risoluzioni ONU 1814, 1816, 1838 e 1846, adottate nel 2008 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

La missione ha lo scopo di proteggere le navi mercantili che transitano anche tra il Mar Rosso, il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano. Vengono svolte anche attività di scorta alle navi mercantili del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, incaricate di consegnare aiuti alimentari in Somalia.

Il presidente di Confitarma, Mario Mattioli

Report Difesa ha intervistato Mario Mattioli, presidente di Confitarma (Confederazione Italiana Armatori) che, da anni, monitora la situazione non solo per proteggere le navi con il loro carico ma anche il personale.

Qual è, oggi, la situazione sulle navi mercantili che navigano nelle acque del Corno d’Africa rispetto agli attacchi dei pirati?

Parliamo dell’evoluzione della possibilità di imbarcare a bordo delle navi italiane contingenti militari armati, poi aperta all’utilizzo di altre “figure” non solo militari. Ma siamo ancora in attesa del decreto che spieghi quali sono i corsi che il personale deve svolgere affinchè tutti coloro che sono a bordo come guardie armate siano riconosciute dallo Stato, avendo effettuato tutti i corsi obbligatori.

Ad oggi, siamo alla decima proroga di questa deroga.

Tecnicamente che vuol dire?

Di fatto imbarchiamo operatori di società assunti in deroga a questi corsi. Vorremmo che tutto questo terminasse al più presto. La deroga è solo di sei mesi ma è stata replicata dal 2012 ad oggi. Se non fosse concessa questa ulteriore deroga semestrale o annuale ci troveremmo nelle condizioni di non poter utilizzare personale italiano riconosciuto, perchè privo del requisito di aver seguito i corsi. Chiediamo da tempo, con forza, che si faccia questo protocollo e si mettano gli Enti di formazione che hanno la possibilità di fare training a queste guardie armate nella condizione di sapere cosa insegnare, come farlo. In modo che il Governo italiano possa validare i corsi.

Oggi un armatore italiano per proteggere le proprie navi si può rivolgere anche ad un’Agenzia non europea per avere personale di protezione imbarcato?

Sì. Così come si può rivolgere a società italiane che hanno personale in possesso di questa deroga. Mentre prima era necessario o obbligatorio imbarcare solo militari, c’è stata appunto un’apertura a personale non militare che però, nel nostro Paese, deve avere determinati requisiti.

Filo spinato messo a proteine di una nave commerciale

E quali sono?

Non lo si sa ancora. E’ necessario avere un decreto che ne “santifichi” la formazione. Di fatto, questo personale armato sinora ha sempre operato a bordo delle nostre navi in forza di una deroga. Temiamo di non poterli più imbarcare se la deroga non viene rinnovata.

Quanto costa per un armatore avere personale armato a bordo?

Innanzitutto è bene ricordare che un mare insicuro è un mare “costoso”. Ed un mare costoso, danneggia l’economia delle nostre imprese, delle nostre città e di tutti noi cittadini. In una parola del Paese.

È difficile peraltro dire quanto costi avere personale armato a bordo, perché sono molte le variabili che incidono su tale ammontare, quali ad esempio il tipo di nave, la rotta seguita, la bandiera e, non ultimo, la legislazione di riferimento.

Di certo possiamo dire che gli armatori italiani per imbarcare personale armato sulle loro navi sostengono costi più elevati, rispetto al resto del mondo.

Ciò per due motivi: il primo è che il costo di un lavoratore italiano – in questo caso parliamo di guardie giurate dipendenti da Istituti di vigilanza – è notoriamente più alto che in altri Paesi.

In secondo luogo, la legge italiana prevede un numero minimo di persone armate a bordo pari a quattro, a fronte di tre previste per le altre bandiere. Da considerare poi che vi sono navi, come quelle da crociera, ove il numero di guardie armate è sicuramente maggiore.

La “cittadella” di una nave

Un altro tema molto importante per gli armatori è la questione cyber attack. Confitarma come è organizzata per rispondere a questi attacchi?

Siamo presenti in tutti i tavoli sui quali si discute di questo argomento. Sicuramente potremmo avere dei problemi per la tecnologia a bordo delle nostre navi. Seguiamo tutto con estremo interesse e continueremo a partecipare a tutti quei tavoli necessari per sviluppare al meglio la situazione.

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