Sindacati con le stellette, la vera fine della storia militare

Di Vincenzo Santo*

Roma. A quanto ci è dato sapere, secondo un comunicato dello scorso 11 aprile, “la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1475, comma 2, del Codice dell’Ordinamento militare nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. Resta fermo il divieto di aderire ad altre associazioni sindacali”.

Quindi, in parole più semplici, si apre la porta all’ingresso dei sindacati nelle Forze Armate. Questo è il succo. La sentenza, infatti, sembra affermare il principio che, sebbene non possano aderire alle organizzazioni sindacali esistenti, i militari siano invece autorizzati a costituire delle proprie organizzazioni. Ma qual è la differenza poi?

Sia ben chiaro che al momento disponiamo solo di un comunicato stampa della Consulta che mi pare abbia ribaltato, lo dico a memoria, un giudizio di più di vent’anni fa sull’argomento. Dovremo attendere le motivazioni della sentenza per poter dire qualcosa in più. Insomma, la cosa dovrà essere “normata”.

I giudici della Consulta aprono ai sindacati nelle Forze Armate

Tuttavia, a quanto pare, ancora una volta dobbiamo dire che “ce lo chiede l’Europa”, pur con le restrizioni a cui l’articolo 11 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) fa un riferimento interlocutorio.

Di certo, per mio conto, è una deriva che avrei voluto venisse evitata al comparto Difesa e Sicurezza. Sono preoccupato, infatti, e ritengo che questa mia preoccupazione sia ugualmente sentita da molti che ancora vestono l’uniforme. Ma potrei invece essere un’eccezione.

Nel comparto Sicurezza già esistono i sindacati delle Polizie ad ordinamento civile, come il SIULP (ma ce ne sono altri) nella Polizia di Stato, che credo abbiano una tale forza da influenzare non poco le attività gestionali e operative. Va da sé che questa mia osservazione mi aspetto verrà criticata e oggetto di smentita dalla Polizia stessa.

Un poliziotto ed un finanziere in servizio

Tuttavia, sarei pronto a scommettere su come non sia poi così facile cambiare un ordine di servizio per una pattuglia, financo i termini di come quel pattugliamento debba essere effettuato, senza il beneplacito dei rappresentanti sindacali. E i Carabinieri, nel silenzio, credo abbiano subito dei grossi cambiamenti all’indomani della smilitarizzazione della stessa Polizia, ai primi degli anni ’80. Avendo un piede nello stesso comparto, per molte cose hanno dovuto adeguarsi, tanto che i contratti collettivi di lavoro della Polizia di Stato ope legis si estendono a Carabinieri e Guardia di Finanza.

Certo, in termini economici, con taluni vantaggi, se vogliamo, ma secondo me, in termini di aderenza al tessuto sociale, e per quella qualità e presenza che eravamo abituati a vedere un tempo, un po’ meno.

Tant’è che dal 1981, con l’obbligo dell’irrazionale turno unico su sei ore di servizio – sconosciuto a gran parte delle Polizie nel mondo – il risultato è stato che il 90% delle stazioni dei Carabinieri sono aperte ad orario, spesso flessibile, diciamo a “singhiozzo”. Per cui può essere difficile per un cittadino capire quando una di esse sia aperta al pubblico. Naturalmente, deve essere prevalsa la narrativa che la stazione sia la stessa pattuglia che gira per le nostre strade. Mah!

Fino al 1981, infatti, le oltre 4.500 stazioni territoriali dei Carabinieri erano presidiate h24 con il “militare di servizio alla caserma”. Quel militare di notte comunque riposava, salvo emergenze, ancorché vestito, così come avveniva per gli ufficiali di picchetto ed i sottufficiali di ispezione nelle caserme dell’Esercito o delle altre Forze Armate.

Temo, sempre a proposito dei Carabinieri, che questo potrebbe essere un ulteriore fattore per un primo passo verso la loro smilitarizzazione e unificazione con la Polizia di Stato. Lo vuole l’Europa!

Carabinieri impegnati in un servizio al Varicano

In ambito Forze Armate, come noto, abbiamo da tempo gli organismi di rappresentanza. Essi, che si affiancano al rispettivo comandante, contrariamente a quelli che sarebbero le strutture sindacali, sono organizzazioni che delle Forze Armate fanno parte e rispondono alla stessa disciplina e vivono del medesimo budget. Tuttavia, godendo di spazi di ascolto importanti anche a livello politico, non si può dire che, in talune circostanze, non abbiano influenzato sensibilmente l’azione di comando grazie all’incapacità e alla mancanza di autorevolezza di alcuni comandanti.

Da vecchio comandante, non ho mai compreso che cosa potesse e possa fare un organo di rappresentanza che non lo potesse o possa fare il rispettivo comandante. Per me è stato ed è ancora un mistero.

Pertanto, posso facilmente immaginare cosa potrebbe accadere con l’eventuale adozione di organizzazioni sindacali “militari”. Per molti comandanti, e non credo di essere smentito, è già difficile esercitare il comando laddove abbiano alle dipendenze personale civile con le relative strutture sindacali, laddove il rischio incombente sia quello di essere accusato di attività antisindacale volendo solo far rispettare semplici regole. Un inferno!

Già vedo il rischio che magari i più consumati rappresentanti dei consigli di rappresentanza – molti di loro si sono professionalizzati nel ruolo – si precipitino nel costituirsi una propria sigla sindacale, probabilmente più attirati dalle entrate per i tesseramenti che da un’effettiva voglia di essere utili ai propri rappresentati.

E se immagino le difficoltà delle Forze di polizia, figuriamoci che cosa potrebbe accadere al comparto della Difesa, con i vari impegni operativi all’estero ma anche in Patria. In materia di diritti tra congedo parentale, legge 104 e affini, abbiamo un ordinamento che supera di gran lunga la fantasia e la creatività del sindacalista più attivo.

Manca solo che il sindacato decida chi e se si va in addestramento o in operazioni o se le operazioni debbano avere una durata temporale o se gli addestramenti continuativi non lo possano più essere tali. Il tutto “a singhiozzo” come per le stazioni dei Carabinieri. Oppure, ancora, se un’area addestrativa o un poligono appaia, dico solo appaia, malsana, quindi da evitare oppure, infine, se è troppo presto partire all’alba.

Il problema è che si fa sempre più fatica ad obbedire e il riconoscimento del dovere è spesso frustrato dalla esigenza sempre più stringente del soddisfacimento degli innumerevoli diritti. E quando questi hanno preminenza sui doveri significa che la società sta andando rapidamente alla deriva. E con essa quegli apparati che del senso dello stato facevano il loro principale riferimento.

Del vero soldato la società, né evidentemente i giudici costituzionali, sembra comprendere più la necessità. Tantomeno molti dei politici, che si pavoneggiano sovente nel dire che il nostro soldato è quello più apprezzato al mondo perché è un soldato di pace e perché sa farsi voler bene ovunque vada. Cavolate!

Pochi tra loro, forse nessuno temo, hanno compreso che l’essere soldato non significa certamente essere migliore degli altri, sicuramente non peggiore degli altri, ma solo differente. E l’essere differente non è un privilegio ma un destino in quanto il soldato ha giurato per una destinazione d’uso ben chiara, che postula il sacrificio personale alla bisogna. Non può essere diversamente. E non è retorica. È pratica della virtù.

In una tale struttura, i diritti e i doveri sono garantiti con sincerità e lealtà lungo la catena di comando, secondo un rapporto gerarchico funzionale che non ha bisogno di surroghe di sorta, pena la solidità, l’amalgama, lo spirito di corpo e, pertanto, l’efficienza e l’efficacia nelle operazioni e, quindi, nella foga, nella confusione e nei pericoli del combattimento.

In questo sta la differenza tra un soldato e un mercenario. Ma temo che si stia andando purtroppo lungo questa strada. Se così è, ufficializzare i sindacati per gli uomini con le stellette sarebbe solo prendere atto, ahimè, del decadimento etico professionale dell’essere un soldato.

E già la presenza ormai pluridecennale degli organi di rappresentanza, secondo me, ha dato troppo spesso luogo a una deresponsabilizzazione da parte di chi è deputato al comando, di chi cioè deve appunto “rispondere”.

Pertanto, così come sono convinto che non ci fosse bisogno di questi ieri, ritengo che non ci sarebbe bisogno di alcuna organizzazione sindacale un prossimo domani per gli uomini con le stellette. Si tratterebbe di un’ulteriore iattura.

Come detto, dobbiamo attendere la motivazione della sentenza e, di sicuro, ancora molto tempo, prima che la materia sia inevitabilmente disciplinata. E, in questa fase, temo disciplinata da coloro che il Generale Mini, nel suo libro “Soldati”, definisce, disprezzandoli, i generali e gli ammiragli dei politici.

*Generale CA (Ris)

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