Spese per la Difesa: forse è iniziata la volata!

Di Vincenzo Santo*

Roma. Non demordo. Mesi fa, in un articolo su questo quotidiano, mi elevai presuntuosamente e virtualmente a un improbabile, forse impossibile, consigliere nazionale per la sicurezza.

Figura che, come ben noto, non abbiamo qui in Italia. Da noi, infatti, le “strategie di sicurezza” trovano il loro limite negli slogan, gli unici prodotti di pensiero (parola grossa), scorciatoia dell’ignoranza, delle segreterie dei partiti, quelle entità che si arrogano il diritto di farsi carico della sicurezza della Nazione, con tutta la limitatezza nella sostanza e nella visione a medio e lungo termine che lo slogan postula, in quanto orientato all’immediato, alle contingenze dell’oggi.

Del resto, ha ragione la brava Irene Tinagli, la grande ignoranza la fa da padrona.

L’economista Irene Tinagli

In quella circostanza simulai di aver redatto un promemoria per il Presidente del Consiglio. In esso indicavo il “cosa fare” dinanzi all’emergenza “traffico di esseri umani”, di cui l’immigrazione irregolare è solo la punta dell’iceberg.

Era il Conte 1. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo nel pensare allora che le mie righe avrebbero acceso una lampadina per impedire di fissarsi solo sui porti. Mi sbagliavo anche nella misura in cui mai avrei pensato che l’avvocato degli italiani avesse già imparato, in così poco tempo, ma cosa evidentemente molto gradita alla moltitudine, a parlare senza dire nulla di significativo, se non producendo idee generiche, giravolte bizantine, la cui frequenza portante è rappresentata, lo ripeto, soltanto da fragili slogan. Il mio “cosa fare” evidentemente era risultato di disturbo. Se mai letto! Ma leggere è fatica inutile, fa pensare.

Ora, spero di trovare una sensibilità differente nel novello Ministro della Difesa. Almeno ci provo!

Ed esordisco dicendo, occhio a chi “tira la volata”, caro Ministro. Perché, se c’è una volata da tirare non è certo quella a favore di chi vuole gli F35. Suvvia, andiamo!

Un F35 in volo

Ho di recente letto, infatti, uno scritto di Mauri su “Il Giornale” (bravo giornalista ma che inviterei a studiare e non solo a citare l’ultimo DPP – Documento di Programmazione pluriennale – o a leggersi l’articolo che ne ho fatto poche settimane fa).

Nel suo pezzo, egli traccia le problematiche della Difesa alle quali il nuovo ministro dovrebbe dare risposta. Il punto di partenza, inspiegabile, sono gli F-35 per poi giungere al progetto “Tempest”, tratteggiando di fatto un pianto greco che ammicca all’Aeronautica, pur con un brevissimo “tuffo in acqua”.

In realtà, pure io ho avuto modo, da buon soldato di terra, almeno in un paio di circostanze, di attrarre l’attenzione sull’Esercito, ma l’ho fatto anche sugli F35 e sulla diatriba tra Aeronautica e Marina per quelli imbarcati, nonché a livello generale, e più recentemente, mettendo in luce le criticità del citato DPP.

Nave Cavour

Ma tant’è, si sa, Marina e Aeronautica sono quelle compagini le cui esigenze garantiscono maggiori ritorni economici all’industria della Difesa. L’Esercito fa poca cassa!

Per questo motivo, mi permetto di osservare che se l’articolo del Mauri fosse stato benedetto e sollecitato da queste due Forze Armate sarebbe un fatto riprovevole, in quanto vorrebbe confermare il malvezzo che debba essere la politica industriale a indirizzare le scelte per la Difesa, invece di investire e innovare a seconda degli obiettivi fissati dalla politica di sicurezza per quanto riguarda l’impiego dello strumento militare.

La storia insegnerebbe (2^ Guerra Mondiale soprattutto, ma anche la 1^ Guerra Mondiale) che quando la politica della difesa è stata funzione essenzialmente di quella industriale, ci siamo presentati impreparati agli “appuntamenti”. Non lo abbiamo imparato e continuiamo a bluffare.

È l’obiettivo, infatti, che ci dovrebbe suggerire in battuta prioritaria la risposta a quanti dobbiamo prenderne di F35.

Al contrario, si rischia di far assorbire la quasi totalità del budget destinato all’investimento, quindi all’ammodernamento, solo verso commesse più remunerative. Che normalmente non sono a favore della forza di terra. Soprattutto quando le risorse sono scarse. E senza una guida lo saranno sempre.

Mi chiedo, a proposito, se sia mai possibile già pensare a un futuro caccia, da realizzare in collaborazione con i britannici (che sono fuori dalla PESCO e probabilmente, tra non molto, fuori dall’UE), con cui sostituire l’EFA, quando dobbiamo ancora completare e pagare la flotta degli F35 e quando Francia e Germania (con la Spagna che si è recentemente associata) si stanno muovendo per crearne esse stesse uno nuovo in ambito EU, forse con costi inferiori. Prevedere è potere, è vero, ma ci sono dei limiti, gli obiettivi.

Ma, mi domando ancora, è così che si vorrebbe raggiungere il fatidico 2% di spesa, obiettivo che la NATO fa finta sia qualcosa di suo e non invece, come è, una spinta pretestuosa dagli Stati Uniti vogliosi di venderci i loro armamenti? Ma togliamocelo dalla testa, per poter raggiungere quella soglia ci manca poco meno dell’1% del PIL, cioè circa 15 miliardi, euro più euro meno. Impensabile!

E poi, per fare che cosa? Rieccoci agli obiettivi. Pur accettando che si debba esercitare deterrenza nei confronti di Mosca, anche solo per far contenti i suoi vicini – baltici, polacchi e compagnia cantando – o di farci carico di qualche crisi che minacci la stabilità nelle aree di diretto interesse, diciamo così, crediamo davvero che sia possibile concorrere alla deterrenza o al ristabilimento della stabilità in quelle aree senza la capacità di rischierare, nel minor numero possibile di “sortite”, un’unità del livello di brigata e di un comando di divisione? Cioè coloro che alla resa dei conti sono gli essenziali “boots on the ground”? La risposta è no. Partiamo da lì, se mai!

Il movimento tattico dei Bersaglieri del 3° Reggimento usciti dal VBM Freccia

Discorso questo impegnativo, lo capisco. Ma è un approccio concettuale che dovrebbe portare alla rivalutazione del concetto di “capacità di risposta” su quello molto generico e illusorio di “prontezza”. E il solo fatto che la NATO batta sempre sulla readiness non significa che abbia ragione e che le sue elucubrazioni cervellotiche vengano sempre fuori come dal “roveto ardente” biblico.

La stolta politica del “Mediterraneo Allargato”, a sua volta figlia di quella americana del “Più Grande Medio Oriente”, declinazione mentale del realismo offensivo che ha caratterizzato la fallace strategia dell’esportazione della democrazia, ha spinto gli orizzonti di questo quadrante geopolitico fin dopo il Pakistan e con un’interpretazione esclusivamente aeronavale, sebbene molteplici sarebbero e sono ora le realtà operative a marca Esercito.

Proprio perché, soprattutto oggi, quel concetto “è più terra” che mare. Il risultato? Una Forza Armata “Cenerentola”, un po’ meno appetibile ai grandi gruppi industriali, e decisamente indietro rispetto ad altre compagini internazionali ad essa paragonabili.

E, ritornando al Mauri, il dubbio mi viene che l’autore non sappia proprio molto dell’Esercito e delle sue esigenze di ammodernamento, rimanendo ai semplici concetti di “Truppa” e di “Personale”.

Quindi alla banale conta degli uomini e, quindi, dei fucili. Sfuggendogli che dietro a quei due termini, ci sono esseri umani, non solo semplici schioppi.

Esseri umani con le proprie aspirazioni e con le proprie motivazioni. Aspetti che incidono sull’operatività, e il cui mantenimento al più alto livello costa parecchio, molto più in valore assoluto di qualsiasi sistema d’arma, anche del più sofisticato, di oggi e di un qualsivoglia domani!

Persino passando per il decoro e la funzionalità delle caserme. Che debbono essere la casa del soldato e del suo “sistema famiglia”.

Bella idea quel progetto delle “Caserme Verdi”, la faccia divenire anche buona, Ministro, blindandola con una legge, diciamo almeno con un respiro ventennale.

Le esigenze aeronavali, sono generoso, pur comprensibili, assorbono la maggior parte del budget della difesa e così sarà per anni, con conseguenze distruttive per la componente di terra che da anni patisce, nel confronto, carenza di fondi per le infrastrutture o persino per la insufficienza del munizionamento per l’addestramento.

A questo si sommano altre questioni che sono conseguenze dirette di politiche sbagliate, che però maggiormente si riflettono sull’Esercito, dati i volumi organici, per esempio per l’invecchiamento della truppa. Per non parlare dell’impiego continuo da più di dieci anni in “Strade Sicure”, operazione che incide profondamente sulle necessità addestrative dei reparti. Ma su questo ho già scritto in passato.

L’Esercito, non ci devono essere dubbi, e lo ripeto, è la Forza Armata che più abbisogna di essere ammodernata e rinnovata con battute temporali più impegnative, pur in sinergia con il mondo dell’industria e della ricerca, ma con una programmazione finanziaria certa nel lungo termine, magari con una legge di spesa pluriennale, per superare una pericolosa differenza generazionale dovuta ad anni di ridotti stanziamenti e per conseguire un auspicabile bilanciamento tra le varie componenti della Difesa stessa. Insomma, una continuità programmatico-finanziaria che, del resto, farebbe bene anche alla nostra industria degli armamenti. Vivaddio!

Sempre che si voglia uno strumento terrestre pronto, capace e credibile. Un Esercito che oggi, rispetto alle consorelle, può avvalersi di mezzi solo di 2^ e 3^ generazione.

È vergognoso! L’ammodernamento e il rinnovamento costano, soprattutto se si vuole riscattare, per l’Esercito, una situazione di arretratezza tecnologica e capacitiva. Per iniziare a porre rimedio, sarebbe necessaria una misura pari a 5 miliardi per i prossimi 6 anni.

Non è forse vero che il rinnovamento degli equipaggiamenti di Marina e Aeronautica abbia beneficiato di leggi ad hoc, mirate alla realizzazione di programmi importanti anche sotto il profilo tecnologico?

Ma rendiamoci anche conto che avere uno strumento capace dipende sì dalla combinazione equilibrata di mezzi specializzati, efficienti e al passo con i tempi ma anche, e soprattutto, richiede personale addestrato, un patrimonio per il Paese mantenuto oggi tra grandi difficoltà e che ormai necessita di una ben differente priorità di assegnazione dei fondi.

E si dovrebbe comprendere facilmente che con un volume limitato a soli 9 milioni di euro non si va lontani. Peraltro, un budget, questo per l’addestramento, fin troppo ormai subordinato agli impegni contingenti delle unità, all’estero e sul territorio nazionale (Strade Sicure). Nel senso che, paradossalmente, ove l’Esercito non avesse più tali impegni non disporrebbe più di tutte quelle risorse.

Il passato collassa inevitabilmente nel presente, ma è il presente che forgia il futuro. Il problema è che non abbiamo le cognizioni per controllare tutti gli agenti che ora sono all’opera per proiettare un futuro che magari non vorremmo.

Possiamo solo razionalizzare delle linee di tendenza e queste, a loro volta, complicandoci la vita, ci presentano non uno ma più futuri.

Non voglio ora passare in rassegna i possibili “scenari”, ma certo è che uno o più “futuri” saranno caratterizzati dalle conseguenze di fenomeni complessi quali l’incremento di attività cibernetiche, il massiccio uso dell’influence, la competizione sempre più conflittuale per l’accesso alle risorse naturali e allo spazio, l’impiego di nuove tecnologie, l’aumento della popolazione in zone arretrate e la spinta urbanizzazione, le migrazioni massive, il maggiore coinvolgimento di attori non governativi, il cambiamento climatico, i diversi approcci verso la realizzazione e l’impiego di armi di distruzione di massa e, infine, più dirompente di tutte, la pigrizia umana nel ricercare la riflessione.

Fenomeni che, combinandosi variamente, ci presenteranno sfide sempre più impegnative, anche drammatiche, le quali necessitano di tempi di “lettura” tempestivi, in tempo reale, e di strumenti, quindi anche quello militare, sotto continua “manutenzione”.

Tuttavia, come più di una volta ho sottolineato, la nostra Nazione non riuscirà mai a fissare una rotta chiara in campo internazionale se non si dota al più presto di un organismo ormai indispensabile.

Parlo del National Security Council, retto da un advisor, che è in predicato di produrre appunto una strategia nazionale di sicurezza.

Documento che, ne faccio una sintesi molto semplificata, delinei, in base agli interessi, gli obiettivi da conseguire. Sono questi, infatti, i riferimenti utili per definire, grazie alla conseguente documentazione discendente, come utilizzare i propri strumenti di potere e, quindi, come ciascuno di essi debba essere strutturato per conseguire gli obiettivi assegnati.

Ma che, inoltre, in carenza di risorse, tracci delle linee strategiche meno ambiziose, ripensando anche dove arrivare da soli in quel Mediterraneo allargato o quale possa essere la convenienza di un’alleanza.

Altrimenti continueremo a “tirare volate”.

Se oggi siamo ancora qui a tentare di capire quanti F35 acquistare, vuol solo dire che le idee non sono affatto chiare e, pertanto, il dubbio viene legittimo a chi, pagando le tasse, si chiede se i suoi soldi si stiano spendendo come si deve.

Caro Ministro, la cosa peggiore che un qualsiasi personaggio, politico e no, responsabile di un qualcosa possa dire è “ah, se avessi …”. Ma allora potrà ormai essere troppo tardi, e nelle volate talvolta si cade rovinosamente!

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

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