Terrorismo e religione, le sigle jihadiste unite contro i “nuovi crociati”. Islam e Cristianesimo a confronto

Roma“Uno dei soldati del Califfato è riuscito a posizionare ordigni esplosivi in mezzo a un raggruppamento di crociati”. Così la semi ufficiale agenzia di stampa dell’ISIS, Amaq ha rivendicato l’attentato compiuto, nei giorni scorsi, a Manchester, al termine del concerto di Ariana Grande.

La sottolineatura di aver definito i ragazzi uccisi non solo come ragazzi bensì come “crociati” è rappresentativa del fatto che varie sigle jihadiste come Al-Qaeda e ISIS si possano unire per far fronte ad una fase di debolezza militare sul loro territorio in virtù di un principio di resilienza nel quale mostrare l’unità della stessa Umma islamica, significativo, infatti, è l’attacco terroristico ai danni dei cristiani perpetrato proprio in questi giorni in Egitto, solamente pochi giorni dopo la visita di Papa Francesco.

Due ragazze scampate dall’attentato di Manchester

Il presupposto su cui si fonda l’intera dottrina della Chiesa è la dignità infinita​ dell’uomo in quanto essere, in virtù di ciò, l’arma più potente non potrà che essere il dialogo con qualsivoglia categoria di persone perché, appunto, solamente con una “comprensione”, quindi con un intendersi sulla cosa ci potrà essere risoluzione sulla cosa stessa.

In sintesi, quando manca il dialogo mancano anche i presupposti per una soluzione razionale delle cose.

Lo stesso Papa Giovanni Paolo II era strettamente convinto dell’importanza del dialogo interreligioso, non come forma sterile e retorica, bensì come mezzo severo di commistione culturale, infatti, nell’Enciclica Fides et Ratio lui stesso sottolinea l’importanza di far convergere alcuni contenuti di altre religioni nella dottrina cristiana e, in modo speciale, era, appunto, affascinato da questa possibile interazione in quanto tutte le religioni, anche venute prima della rivelazione, non si escludono dalla verità della rivelazione ma fanno parte di un terreno preparativo alla venuta della rivelazione stessa. (http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091998_fides-et-ratio.html)

La democrazia, per questo, è indubbiamente facente parte del corpo della Chiesa, in quanto, come massima forma di dialogo usa la diplomazia, sappiamo però che è difficile avere diplomazia dove non c’è democrazia.

Alcuni Paesi come l’Iran, per esempio, basano l’intero sistema sociale e statale non sulla voce del popolo bensì sulla sottomissione a Dio, quindi sulla teocrazia.

Tutto ciò rende, chiaramente, complicato un apporto puramente diplomatico anche se, con la rielezione di Rouhani e l’amministrazione estera degli ultimi anni, ci sono stati insperati passi avanti in vista di un rapporto sempre meno teso con l’Occidente.

Il pericolo si annida, comunque, quando la diplomazia diventa l’unica soluzione, a prescindere, senza la quale nessun’altra azione è possibile o solamente giustificabile, in questi casi si corre il rischio che la diplomazia diventi una ruota che non smette di girare.

Lo stesso Dottore Angelico mette in risalto come nell’esecuzione di una decisione si deve compiere un processo della volontà e del desiderio in cui per arrivare alla decisione migliore bisogna attraversare vari stati del pensiero e non prendere come presupposto fideistico una sola risposta, la diplomazia, alle situazioni che necessitano una maggiore comprensione (1).

In principio c’è la voluntas (desiderio) con la quale si intende un desiderio generico di un qualche bene. Il secondo principio degli atti della volontà si identifica con l’intentio (volontà) con il quale si vuole un bene non più generico ma particolare, un desiderio possibile, infatti, si può desiderare qualsiasi cosa ma si può volere solo ciò che si può fare.

L’intentio si divide in tre atti della volontà e tre atti dell’intelletto:

  • Consilium (deliberazione): ha il compito di individuare il numero più elevato possibile di atti che possano condurre al fine, la capacità del buon discernimento tra più possibilità di scelta.
  • Iudicium (giudizio pratico): individuare quale sia la migliore via per raggiungere il fine desiderato, quindi rappresenta un sigillo definitivo al consilium.
  • Imperium (decisione): mentre il giudizio determina quale azione è da attuare, l’imperium sancisce che quel determinato atto si deve compiere.
  • Consensus (approvazione): l’approvazione del soggetto ai singoli atti. Non è mai sicuro che qualsivoglia atto che rende possibile raggiungere il fine ultimo sia un mezzo gradito al soggetto. Il malato può voler guarire ma può anche rifiutare l’idea di bere una medicina amara per ritornare in salute.
  • Electio (scelta): l’approvazione di scegliere un singolo atto seppur poco gradito al soggetto, in questo caso il malato sceglie di bere la medicina nonostante sia amara.
  • Usus (esecuzione): l’esecuzione materiale della scelta con il coinvolgimento di sensi, intelletto e corpo.
  • Fruitio (gioia): la gioia di chi agisce secondo queste regole, il godimento spirituale della soddisfazione correlata all’agire.

Come abbiamo visto, dunque, lo Stato o la stessa Chiesa non possono far sì che la diplomazia o qualunque altra singola risposta ad una determinata soluzione debba essere l’unica perché sarebbe sminuire l’infinita gamma della volontà e del pensiero umano.

Una tappa molto importante nel rapporto tra Chiesa ed Islam si è avuta nel discorso di Ratisbona dove Benedetto XVI ha parlato del concetto di ragione all’interno di Islam e Cristianesimo (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html)

Papa Benedetto XVII prega con il grane Mufti di Instabul

Nell’Islam, Dio è trascendente, non si può sottomettere ai limiti dell’essere umano né tantomeno ai limiti della ragione umana perché il solo far assumere a Dio un ruolo subordinato alla ragione consisterebbe in una deminutio dello stesso Dio, cosa inconcepibile per un Dio che trascende il tempo, l’uomo e, quindi, anche lo stesso pensiero umano.

Nella teologia cristiana il rapporto tra Dio e ragione è molto diverso, in quanto, il figlio di Dio, Gesù, si identifica con il logos (ragione) vivente, quindi, con una ragione che si è fatta carne e cammina.

Ragione e fede cercano quindi di camminare di pari passo sullo stesso cammino, quello che conduce alla scoperta della verità rivelata, lo stesso pontefice Giovanni Paolo II nella sua Enciclica parlava di fede e ragione come di due ali grazie alle quali lo spirito umano s’innalza alla contemplazione della verità.

Nella dottrina cristiana anche ciò che è venuto prima di Cristo non può essere definito come falso bensì come logos spermatikòs, ossia come un qualcosa che anticipa la verità della rivelazione.

Per l’Islam, dunque, non è assolutamente necessario che religione e ragione camminino insieme dato che Dio ha già tutti gli attributi perfettibili inclusa la ragione, nel cristianesimo Dio pur avendo già la perfezione totale immette nell’uomo la ragione per far sì che esso si riconduca a Lui con più forza, anche tramite l’indagine razionale.

Il punto focale su cui si può capire la diversità e, in virtù di questo, anche la difficoltà di un rapporto tra Chiesa e Islam è la diversa concezione della legge.

Nel cristianesimo esiste una concezione che divide la legge in eterna, naturale, umana e divina (2).

Nella legge eterna si sottolinea come tutti gli enti tendono verso Dio, in quella naturale si mette in evidenza l’agire dell’uomo in modo mediato per passare così alla legge umana dove gli stessi uomini stabiliscono la legge per il mantenimento dell’ordine dato dove, come ultima forma di legge, si trova quella divina grazie alla quale la vita dell’uomo è indirizzata direttamente verso Dio, come possiamo notare è in contrasto con la shari’ah cioè un insieme di regole e principi che orientano il comportamento umano.

Per la shari’ah lo scopo principale è creare una sola legge, quella di Dio, per una sola comunità, quella dei credenti, che preveda una società capace di autodeterminarsi e garantire in maniera appropriata, e a volte severa, la giustizia sociale ed economica (3).

In sintesi tutta la nostra società, mai come in questi anni, e la Chiesa lo riconosce, si fonda su un sistema di integrazione ed interazione anche con altre culture e tradizioni, e per far sì che questa interazione sia attualizzabile si deve ricorrere all’amicizia come virtù pregevole.

Aristotele ci ha sempre detto, d’altronde, che l’amicizia si fonda su una benevolenza reciproca che si esprime nella comunicazione in un bene comune, quindi una persona può dirsi in amicizia quando l’amico diventa un alter ipse cioè un altro se stesso e permette di riflettere noi stessi come in uno specchio con maggiore profondità (4).

Sembra che, oggi, i valori e le persone che vivono nella stessa società occidentale siano completamente agli antipodi, gli uni attaccati alla diffidenza e alla frenesia materiale, gli altri attaccati alla parte opposta quindi ad un primato della religione sulla ragione, forse è per questa mancata interazione che lo specchio in cui la nostra civiltà si riflette si è spaccato, dobbiamo, dunque, decidere se lasciarne a terra i frammenti o se ricostruirlo. La Chiesa può essere il collante in grado di instaurare questo processo in cui specchiandoci ci rendiamo conto di non essere più corpi distinti ma un unico corpo: “la nostra società”.

  1. Michael Konrad, Dalla felicità all’amicizia
  2. Idem
  3.  Ziauddin Sardar,Zafar Abbas Malik, Maometto
  4. Aristotele, Etica Nicomachea

 

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