Terrorismo islamico, l’ascesa di una nuova generazione di jihadisti. Un convegno a Roma della NATO Defense College Foundation analizza il fenomeno post crisi del Califfato

Roma. Le evoluzioni più recenti delle strategie e delle strutture dei network jihadisti dopo la sconfitta territoriale del Califfato Islamico sono stati al centro, nei giorni scorsi, di un conferenza organizzata, a Roma, dalla NATO Defense College Foundation in collaborazione con il NATO Science for Peace and Security Programme, il Policy Center for the New South e il NATO Defense College.

La platea del convegno a Roma

Gli interventi degli oratori hanno delineato quali sfide emergenti gli attori nazionali e internazionali si troveranno ad affrontare: dalla connessione sempre più profonda tra reti criminali e terroristiche alla struttura sempre più complessa dei loro assetti finanziari; dai nuovi terreni di scontro ai focolai di radicalizzazione in Europa e oltre. Il dibattito si è poi concentrato sulle misure concrete più adatte per contrastare efficacemente e su più livelli tanto la propaganda jihadista e il traffico illecito online, quanto l’estremismo violento in zone di conflitto.

Nel suo intervento Alessandro Minuto-Rizzo, presidente del NATO Defense College Foundation ha evidenziato come negli ultimi anni, “abbiamo assistito all’evoluzione del concetto di sicurezza, che si sta sempre più ampliando col passare del tempo. Attori non-statali di diverso tipo, gruppi e a volte persino singoli individui, stanno portando alla luce una realtà diversa, ponendo una seria minaccia alla comunità internazionale”.

Alessandro Minuto-Rizzo, Presidente della NATO Defense College Foundation,

“Oltre Al Qaeda e la sconfitta dello Stato Islamico – ha aggiunto – siamo oggi testimoni dell’ascesa di un terrorismo di nuova generazione e di tutta una serie di rischi legati alle tendenze sociali di un mondo sempre più globalizzato”.

Per Stefano Silvestri , vice presidente del NATO Defense College Foundation, “la vittoria militare sul sedicente Califfato non ha di certo messo fine alla minaccia terroristica. La guerra al terrore ha avuto qualche successo, ma è lungi dall’essere definitivamente vinta”.

E perciò le attività di contro-terrorismo dovrebbero “dare priorità alle indagini sull’economia sommersa e cercare di esercitare una pressione sempre maggiore sulla criminalità organizzata al fine d’indebolire il suo legame con le organizzazioni terroristiche, privandole dei mezzi di autofinanziamento”.

Secondo Fernando Reinares. direttore del Programma sulla Radicalizzazione Violenta e il Terrorismo Globale dell’ Elcano Royal Institute di Madrid “a partire dal 2013, lo Stato Islamico è stato in grado d’innescare una straordinaria mobilitazione jihadista, in particolare in Europa occidentale. I giovani musulmani (18-25 anni) che vivono in questa parte del continente sono rappresentati da una percentuale di foreign fighter in Siria e Iraq che è di 20 volte maggiore rispetto a quella dei foreign fighter provenienti dal resto del mondo”.

“ll salafismo – ha aggiunto – spesso insegna che le democrazie e i valori occidentali sono haram, vietati. Non è un caso che in Europa ci sia una stretta correlazione tra un’alta presenza di predicatori salafiti e un alto livello di radicalizzazione”.

Un momento della sessione dei lavori a Roma

Louise Shelley, direttrice del  Terrorism, Transnational Crime and Corruption Center e docente della Schar School of Policy and Government, George Mason University di Fairfax ha spiegato un caso perseguito di recente negli Stati Uniti che ha rivelato una rete cinese di traffici illeciti attiva in più Paesi nel mondo (tra cui USA e Australia) e da cui oltre 40 mila persone hanno acquistato beni.

“La dimensione del virtuale – ha aggiunto – permette al crimine transnazionale di operare in modo molto più anonimo: la consegna dei prodotti è più rapida e consente la creazione di reti più agili rispetto a organizzazioni più strutturate e, quindi, più rigide. Gli attori coinvolti sono tanto statali quanto non statali e al giorno d’oggi vengono trafficati persino beni immateriali come malware, ransomware, botnet e proprietà intellettuale”.

Jeffrey Hardy, direttore generale del Transnational Alliance to Combat Illicit Trade di New York si è domandato quale sia il ruolo che gioca il traffico illecito nel finanziamento delle organizzazioni terroristiche.

“Innanzitutto – ha risposto – il commercio illegale ha un impatto diretto sul PIL di uno Stato, poiché le entrate fiscali vengono sottratte all’economia ufficiale. L’impatto più grande è poi ovviamente sui Paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, le economie illegali favoriscono la corruzione e l’indebolimento dello stato di diritto, creando così un terreno fertile per altre attività criminali e terroristiche”.

Il direttore generale del The Siracusa International Institute for Criminal Justice and Human Rights, Filippo Musca Musca ha sostenuto che quanto più uno Stato è fragile, tanto maggiore “è la possibilità per un gruppo criminale o terroristico di acquisire influenza”.

“I gruppi terroristici – ha proseguito – si stanno sempre più adattando alle dinamiche dei gruppi criminali, modificando strutture e modalità operative. Le attività di contro-terrorismo devono affrontare le cause alla base del fenomeno ed essere proattive, tenendo in considerazione la forza d’attrazione di tali gruppi. La povertà e la mancanza di opportunità sono tra i principali fattori che possono portare alla radicalizzazione. Di qui la necessità di analizzare il contesto sociale e politico in cui i gruppi nascono”.

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