Us National Security Strategy, impariamo dagli altri anche copiando

Di Vincenzo Santo*

L’uscita di “Fire and Fury”, un libro che non leggerò mai, ha ovviamente attirato l’attenzione di molti media, anche se non mi pare con tanta risonanza o comunque non con quella che l’autore (e non solo lui) sperava.

Ad ogni modo, comunque, qualche soldino se lo porterà a casa di sicuro. Capisco, tutto sommato, che oggi l’attenzione sia attirata dalle sensazioni forti più che dalla sostanza dei fatti. La gente vive ogni giorno nella speranza di potersi meravigliare, ma lo fa guardando verso il basso, mai alzando lo sguardo. Poco male, se non fosse che la classe politica, buona parte di essa, fa tesoro di questa distrazione inebetita pascendo il proprio popolo di promesse fallaci e di argomenti banali, da avanspettacolo, quanto necessario per fargli mantenere quell’espressione di stupida sorpresa, a bocca aperta e con gli occhi sbarrati, fissando il vuoto. Trasformando i fatti di politica di sicurezza in stupida cronaca. Giusto per impedirgli di guardare oltre. Per esempio, a quali siano gli interessi nazionali.

Sarebbe ora, infatti, che al cittadino venisse chiaramente detto nel dettaglio come la nostra azione voglia porsi dinanzi alle problematiche internazionali. Bisogna essere più chiari e trasparenti. Certo, non deve essere lui, il cittadino, a decidere (come alcuni vorrebbero) se occorra comprare un F35 o una nuova portaerei, ma è pur vero che a lui occorre dire, e oggi più di ieri, perché lo si intenda fare.

In questo, tentando di essere un tantino più convincenti della risposta di un certo ministro alla domanda a che cosa servano i caccia-bombardieri1. Basterebbe prendere spunto da quello che altri già fanno da sempre, e non importa se stiamo parlando di grandi potenze o di potenze minori. L’individuazione dei propri interessi e soprattutto la definizione degli obiettivi e la strategia da implementare per conseguirli rappresenta un percorso che gli italiani devono conoscere. La politica domestica influenza senza dubbio quella estera ma non si può escludere quanto quest’ultima alla fin fine possa influenzare l’altra. E questo è un effetto forse non voluto e ricercato della globalizzazione.

Impariamo dagli altri.

Alla fine del 2017 il presidente Trump ha rilasciato la sua prima National Security Strategy2. E, fatto insolito, l’ha anticipata con un proprio discorso ufficiale. Molti hanno già scritto parecchio e hanno colto cose importanti e io certamente non scoprirò nulla di nuovo. Tuttavia, c’è un solo aspetto che nessuno, per quanto mi è dato sapere ha notato, cioè che il documento, per come è stato strutturato questa volta, è decisamente rivolto al cittadino, o come gli americani amano dire, ai taxpayers. Ci torno dopo. I nostri politicanti dovrebbero leggerselo, tutto. Ne acquisirebbero in buon senso, senso dello Stato e amor di Patria!

Parto dalla fine, pagina 55. Trump, nelle conclusioni, dice che “… This strategy (America first National Security Strategy – nda) is guided by principled realism. It is realist because it acknowledges the central role of power in international politics, affirms that sovereign states are the best hope for a peaceful world, and clearly defines our national interests. It is principled because it is grounded in the knowledge that advancing American principles spreads peace and prosperity around the globe. We are guided by our values and disciplined by our interests …”. Ma realismo per Trump significa anche che “… American way of life cannot be imposed upon others, nor is it the inevitable culmination of progress …”.

Basterebbero questi passaggi per capire il contenuto di tutto il documento, sovranità, la forza di stato-nazione, interessi nazionali e fine dell’idiota (per me) convinzione onusiana del Responsability to Protect (R2P). Ma aggiungiamo ancora qualcosa. Questo approccio trumpiano – America first – infatti, è limpido fin dall’inizio, nell’introduzione, laddove spiega che “… strenghtening our sovereignty … is a necessary condition for protecting these four national interests3” e “… we must protect four vital national interests in this competitive world …”, aggiunge Trump.

Del resto, anche nel suo recente discorso alle Nazioni Unite aveva detto “… Our respect for sovereignty is also a call for action. All people deserve a government that cares for their safety, their interests, and their well-being, including their prosperity …We do not expect diverse countries to share the same cultures, traditions, or even systems of government, but we do expect all nations to uphold these two core sovereign duties, to respect the interests of their own people and the rights of every other sovereign nation … As long as I hold this office, I will defend America’s interests above all else, but in fulfilling our obligations to our nations, we also realize that it’s in everyone’s interests to seek the future where all nations can be sovereign, prosperous, and secure …”.

Come con ogni suo predecessore, la politica domestica costituisce la fondamentale guida nello strutturare la sicurezza nazionale anche nei suoi risvolti esterni. Come è giusto che sia! Una realtà esterna che, nella visione di Trump, non deve essere ribaltata da “strategic competitors” quali Russia e Cina (China and Russia want to shape a world antithetical to US values and interests4), per il bene degli interessi nazionali, naturalmente. Anche a costo di evidenziare gli sbagli fatti5 nel passato, incluso quell’internazionalismo liberale portato avanti da Obama. È cruciale per Trump il mantenimento della potenza americana, quale strumento principale per esprimere deterrenza e cercare i propri spazi di cooperazione con altri, soprattutto su base bilaterale. Ma anche di tradurre un domani a proprio vantaggio le critiche fatte al progetto, tutto a marcatura teutonica, del North Stream 2, con lo scopo che siano proprio gli Stati Uniti a diversificare le esigenze energetiche di un’Europa che altrimenti diverrebbe troppo soggetta al mercato russo. Se questo non è badare ai propri interessi nazionali, allora cos’è? Oppure di insistere con gli alleati perché si accollino una maggiore responsabilità, spendendo di più, ma sottacendo che così dovessero fare, l’industria militare statunitense sarebbe quella che se ne avvantaggerebbe di più. In barba all’intendimento di non imporre più “… our values on others… we develop policies that enable us to achieve our goals while our partners achieve theirs …”. 

Certo è, mio appunto, che avendo messo da parte tanto il Trans-Pacific Partnership (TPP) quanto il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) probabilmente gli Stati Uniti perdono la possibilità di ingabbiare, a proprio comodo, quegli stessi competitors negli accordi che volessero un domani intraprendere con gli stati membri di quegli accordi. Ma si vedrà.

Nell’ottica della Casa Bianca, non a torto, la difesa della proprietà intellettuale e il controllo sulla tecnologia sono due aspetti fondamentali sui quali la Cina confida molto per il suo sviluppo, tanto con gli investimenti e acquisizioni negli Stati Uniti (ma anche in Europa, e sarebbe ora che anche noi ci svegliassimo), quanto negli investimenti fatti in Cina, per cui divengono obbligatori sia la partecipazione di entità cinesi sia il passaggio di know-how. Stranamente, tuttavia, il documento non fa menzione alcuna alla Belt and Road Initiative (BRI), alla Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e alla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).

Principi semplici, se vogliamo, basta avere il coraggio di enunciarli, fare nomi e cognomi6 (e loro in verità non hanno avuto mai problemi nel farlo), senza l’abituale timore liberal progressista che per esempio fa decidere di inviare qualche centinaio di militari in Africa, con una decisione che sembra, e purtroppo lo è, imposta da altri, senza enunciare un aggancio ad alcuna articolazione concettuale a supporto di un interesse nazionale, con i connessi obiettivi e contemporanee azioni da parte degli altri poteri dello stato. Un’iniziativa insomma scollata da qualsivoglia strategia nazionale. Strategia e interessi? Che orrore!!

Che l’azione di Trump nei confronti di una rinvigorita amicizia con i sauditi, dell’accordo sul nucleare iraniano e del Medio Oriente in generale sarà più assertiva, personalmente non ho alcun dubbio. E la recente decisione su Gerusalemme ne è un valido esempio.

Alcuni paventano che il suo approccio muscolare sostenuto da una diplomazia maschia possa favorire un deciso avvicinamento tra Mosca e Pechino, ostacolare le aperture tra le due Coree o il rinnovo o persino il peggioramento delle tensioni mediorientali. Tutto è possibile. Tuttavia, le tanto temute Intifade a seguito della citata decisione di Trump su Gerusalemme non sono di fatto accadute.

Forse esiste anche qualche differenza nei toni tra il discorso e la NSS. Ma al di là dei necessari compromessi tra il suo pensiero, quello del suo partito e l’influenza di parte dell’establishment della vecchia guardia ancora presente in ampie parti dell’amministrazione, ciò che vale è quello che è scritto, indubbiamente, ma nell’interpretazione che Trump ne ha fatto nel suo discorso di presentazione. Questa è arte drammatica!

Per esempio, al riguardo, l’approccio verso Mosca, apparso più amichevole nel discorso, dove ha sottolineato la necessità di una maggiore cooperazione con Putin, mentre nell’NSS, invece, si riconosce che l’Europa sia minacciata e si incolpa la Russia di usare misure sovversive “… to weaken the credibility of America’s commitment to Europe, undermine transatlantic unity, and weaken European institutions and governments …” e che, a seguito dell’invasione di Georgia (2008) e Ucraina “… demonstrated its willingness to violate the sovereignty of states in the region …”. Da qui il suo tanto ricercato dichiarato impegno al rispetto dell’Articolo 57. Tutti contenti, anche se ciò avviene solo a pagina 48, verso la fine. Un caso? Forse, ma di certo, i Baltici e la Polonia ne saranno rinfrancati.

E il ruolo del “poliziotto cattivo” lo fa Mattis, con la sua National Defense Strategy8   (NSS) pubblicata pochi giorni fa, ma all’attenzione pubblica in una edizione declassificata di poche pagine. Solo un breve riferimento che servirà a comprendere come il Pentagono spinga nei confronti di Cina e Russia in modo, diciamo, differente: “…Long-term strategic competitions with China and Russia are the principal priorities for the Department, and require both increased and sustained investment, because of the magnitude of the threats they pose to U.S. security and prosperity today, and the potential for those threats to increase in the future …”. Le priorità sono Cina e Russia, quindi, tutto il resto è secondo me scontato e del resto poco perscrutabile, mancando le parti più appetitose, purtroppo classificate. Ma un colpo il Pentagono lo tira a Obama, nell’introduzione, laddove specifica che “… we are emerging from a period of strategic atrophy …”. Quindi “peace through strength”, stavolta.

Detto questo, Trump, come anticipato, rispetto al passato scrive qualcosa in più. Potrei soffermarmi ancora su altri aspetti del documento, come altri hanno fatto sul ruolo dell’area Indo-Pacific, quale ulteriore declinazione dell’obamiano pivot-to-Asia, oppure sui rapporti con Nord Corea e Iran oppure, infine, sulla perenne lotta al terrorismo. Ma ne risulterebbe una descrizione noiosa. Questi documenti, del resto, vanno comunque letti per capirci qualcosa, i commenti aprono la strada, ma non c’è alternativa alla loro integrale lettura individuale.

Oltre a individuare gli obiettivi strategici da perseguire, The Donald fissa specifiche azioni da mettere in atto da parte dei vari dipartimenti. In buona sostanza, mette nero su bianco “il che cosa” è necessario fare a livello operativo perché quegli obiettivi siano conseguiti e intende far conoscere una precisa serie di priority actions al cittadino. Si vuole cambiare e gli altri documenti discendenti ne tracceranno le linee con maggiori dettagli, inclusa la nuova strategia nucleare. Far conoscere quindi, e farlo meglio. La scelta ovviamente non sta nel farsi dirigere dalla massa, come invece taluni geni nostrani vorrebbero con la politica social e internet driven dei pentastellati, ma far conoscere alla stessa massa come si vede il mondo e farle capire come si intenderà agire, è questo un segno di reale democrazia. Gli americani comprenderanno da soli perché sarà necessario acquistare una nuova portaerei. Gran cosa! Approccio leggermente diverso da quello usato, pur comunque chiaro nei suoi indirizzi generali, per esempio da Obama nel suo documento del 2015. Ma gli americani, devo dire, in questo sono chiari da decenni. Trump, tuttavia, e lo ripeto, ha voluto essere ancora più vicino al popolo, giocando a carte scoperte nel tracciare più marcatamente i binari lungo i quali gli altri componenti del potere americano, Congresso e Dipartimenti (ma lo stesso staff della Casa Bianca) devono muoversi. Si vedrà poi chi non consentirà al cittadino americano di essere al sicuro. Ma è la formalizzazione delle promesse fatte in campagna elettorale.

Quando parla della sicurezza, per esempio, e nel tracciare l’obiettivo di “pursue threats to their source”, specifica tra le azioni da porre in essere quelle di “take direct action” contro le reti terroristiche e di dare la caccia a coloro che minaccino il territorio e i cittadini americani “regardless of where they are”, non può apparire oscuro quello che si richiede alla famiglia dell’Intelligence e al Dipartimento della Difesa. Quando specifica, sotto l’ambito economico, che “… We oppose closed mercantilistic trading blocks …” con chiaro riferimento a Cina, Germania e Corea del Sud, ci si deve aspettare che prima o poi qualche misura in termini di dazi venga applicata, per cui è ridicolo che ora, nel freddo di Davos, i buoni della Terra si sconvolgano per le decisioni prese proprio mentre scrivo9 queste righe. Stessa cosa per le forze nucleari, che vanno ammodernate, e la ricerca per questo scopo va finanziata. In barba al recente inconsistente “Trattato per la proibizione delle armi nucleari”10. La forza di questa NSS sta quindi nella migliore chiarezza delle azioni che si devono porre in essere, a favore di tutti, e il cittadino è in grado di sapere e di capire, confrontando via via ciò che viene deciso e fatto con quanto è stato scritto. Poi, un bel giorno riandrà a votare.

E c’è un cane da guardia, il National Security Advisor (NSA), oggi un generale. E c’è un collegio decisionale, il National Security Council (NSC) che “… is the President’s principal forum for considering national security and foreign policy matters with his senior national security advisors and cabinet officials. Since its inception under President Truman, the Council’s function has been to advise and assist the President on national security and foreign policies. The Council also serves as the President’s principal arm for coordinating these policies among various government agencies11.

Ecco, ho tracciato solo quei punti del documento che mi sono parsi di interesse. Siamo entrati in casa d’altri. Ora, permettiamoci qualche veloce considerazione per la nostra di casa.

Ah, quanto sarebbe bello che anche la nostra nazione si dotasse di tali strumenti “democratici”. E utili. Di un qualcuno che, per cominciare, rediga, coordinando i vari dicasteri, la formulazione di una strategia di sicurezza nazionale, fissando gli interessi, gli obiettivi da conseguire e tracciando le principali azioni da effettuare. Eviteremmo da una parte documenti inutili come l’ultimo “Libro Bianco”, di cui ho già velatamente e bonariamente criticato i contenuti12, dall’altra, garantendo una logica allo sviluppo di altra documentazione discendente, di spendere denaro pubblico per quello che veramente serve. E la gente capirebbe di più sul perché di determinate scelte, cioè sul perché abbiamo bisogno degli F35, e perché in quel numero, oppure perché abbiamo comprato la “Cavour”. Semplice no?.

Ora, ci si diverta pure a leggere quello che altri fanno o a criticarne la sfrontatezza e l’egoismo per il fatto che vogliono difendere i propri interessi nazionali, ma si dimostra solo pigrizia e stupidità, oltre che peccare di rispetto verso chi le tasse le paga e pretende di essere correttamente informato e salvaguardato.

Esatto! Noi abbiamo proprio bisogno di un consigliere (e relativo staff) alla sicurezza nazionale che, come altri fanno (e lo fanno bene) se ne occupi giorno per giorno e che presieda le riunioni di lavoro periodiche, e frequenti, con i “capi dei Dicasteri” interessati, allo scopo di tracciare le linee guida per la sicurezza nazionale da far approvare poi in sede di Consiglio dei Ministri, previo passaggio, laddove ritenuto opportuno, dall’attualmente inutile Consiglio Supremo di Difesa13, qualcosa di cui credo la totalità degli italiani debba ancora comprendere l’utilità. Esiste forse solo per dare sostanza al fatto che, come da Costituzione recita (art. 87), il Presidente della Repubblica “… ha il comando delle Forze Armate …”?? Mi pare poca roba, visto che viene destato dal torpore istituzionale “almeno” due volte all’anno, anche dietro richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri, ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità. Possiamo migliorare.

Signori, mettiamoci l’animo in pace, non serve a nulla! Se proprio deve esistere – figurarsi se riusciremmo mai a variare la Carta Costituzionale per questo – venga mantenuto solo come strumento di informazione periodica per il Presidente.

Il mondo fuori corre all’impazzata e i tempi, come gli spazi, ne risultano terribilmente compattati. Non solo, anche il modo con cui mi si informa che 470 militari saranno rischierati in Niger e, allo stesso tempo, mi si dice che per fare questo altri verranno ritirati da Iraq e Afghanistan, mi fa dubitare della serietà del processo decisionale che ha prodotto queste decisioni, e sinceramente mi preoccupo non poco!

Impariamo dagli altri … e se serve – e ormai serve – copiamo pure, ma in fretta!

3 protect the American people, the homeland, and the American way of life; promote American prosperity; preserve peace through strength; advance American influence.

4 “… China and Russia challenge American power, inuence and interests, attempting to erode American security and prosperity. They are determined to make economies less free and less fair, to grow their militaries, and to control information and data to repress their societies and expand their influence …”.

5 “… These competitions require the United States to rethink the policies of the past two decades—policies based on the assumption that engagement with rivals and their inclusion in international institutions and global commerce would turn them into benign actors and trustworthy partners. For the most part, this premise turned out to be false. … We learned the difficult lesson that when America does not lead, malign actors fill the void to the dis-advantage of the United States. When America does lead, however, from a position of strength and confidence and in accordance with our interests and values, all benefit …”.

6 Trump torna a scagliarsi contro Iran e Corea del Nord, definiti come “regimi canaglia”, così come aveva già fatto George W. Bush e come, invece, non aveva fatto per otto anni Obama. Teheran viene apertamente accusata di sviluppare missili balistici e di sponsorizzare il terrorismo a

livello mondiale.

7 The NATO alliance of free and sovereign states is one of our great advantages over our competitors, and the United States remains committed to Article V of the Washington Treaty .

13 Secondo la legge 28 luglio 1950 n. 624, il Consiglio Supremo di Difesa esamina i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale e determina i criteri e fissa le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardano.

*Generale CA ris

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