Di Annalisa Triggiano*
Roma. Nei giorni scorsi è stato presentato a Stoccolma il Rapporto SIPRI, l’Istituto di ricerca internazionale di pace di Stoccolma.
Il SIPRI è un Organismo indipendente che ha il compito di monitorare l’andamento e la distribuzione, in base a vari parametri, delle spese militari in tutto il mondo.
Quelle indicate dall’Istituto concernono tutte le spese governative per le Forze e attività militari, ivi compresi i salari, le spese operative, l’acquisto di armi e attrezzature, le costruzioni di infrastrutture logistiche militari, la ricerca e lo sviluppo, l’amministrazione centrale, il comando e il supporto.
Vorrei fare sinteticamente il punto sui dati, tralasciando qualsiasi implicazione e valutazione politica degli stessi. L’Istituto (1) ha evidenziato che il totale della spesa militare mondiale, nel 2017, è salito a 1739 miliardi di dollari, aumentando dell’1,1% rispetto all’anno precedente.
Gli analisti spiegano (2) il raggiungimento di questo impressionante livello di spesa – il più alto mai raggiunto dalla fine della Guerra Fredda – principalmente in base a due ragioni, di evidenza, per la verità, piuttosto palmare anche per il comune cittadino: da un lato un miglioramento globale delle condizioni di benessere economico dei singoli Paesi, dall’altro per dare una risposta alla continua instabilità di alcune zone-chiave. Su scala macro regionale, e a livello strategico, il dato significativo che si può osservare è un chiaro spostamento verso l’Oriente degli aumenti complessivi delle spese militari rispetto all’area Euro-Atlantica.
In Cina, le spese militari nel 2017 continuano incessantemente ad aumentare, seguendo un trend di crescita oramai consolidato e che dura ormai da due decenni.
Nel Rapporto SIPRI si sottolinea che la Cina guida il trend di continuo aumento delle spese militari in Asia e Oceania, che va avanti da quasi 20 anni consecutivamente. Pechino conquista il secondo posto tra i Big Military Spenders al mondo e ha aumentato le sue spese del 5,6%, arrivando alla considerevole cifra di 228 miliardi di dollari nel 2017. Mi sembra significativo ricordare – sulla base delle statistiche IPRA – che la spesa cinese come quota dI quella militare mondiale è aumentata dal 5,8% nel 2008 al 13% nel 2017, generando, come talvolta la stampa ha sottolineato, non poche preoccupazioni tra gli Stati confinanti (3).
L’aumento della spesa militare, secondo alcuni esperti, può essere legata da un lato al peggioramento della situazione geopolitica nel Mar Cinese Meridionale, dove sembra permanere il rischio di provocazioni degli americani; dall’altro, all’intento di portare a compimento la più grande riforma militare della storia recente, che prevede una riduzione del personale dell’esercito accompagnata dall’approvvigionamento di sistemi tecnologici più avanzati.
Con riferimento al primo degli aspetti segnalati, gli esperti sottolineano la reazione di Pechino al dislocamento dei complessi di difesa missilistici Thaad americani in Giappone e Corea del Sud, unito alla presenza, nel menzionato Mar Cinese Meridionale, di navi militari americane fornite di sistemi Aegis.
Le spese militari della Russia, invece, con un’inversione rispetto alla tendenza inaugurata dal 1998, sono diminuite. Questo, secondo gli analisti, non sembra però in alcun modo compromettere la potenza degli armamenti russi (4). Lo scorso dicembre, il ministro della Difesa russo Shoigu presentava l’Esercito russo come “mobile, compact, and battle-worthy” (5).
Un’agenzia stampa ha riportato, inoltre, recenti dichiarazioni del Presidente russo, Vladimir Putin, stando alle quali la Russia intende ridurre le proprie spese militari, “as the Country will mainly focus on solving domestic problems” (6), investendo, nel contempo, nella creazione di nuovi sistemi tecnologici di difesa, nei quali lo sviluppo della missilistica nucleare giocherà probabilmente, nel decennio a venire, un ruolo di primissimo piano (7.)
Negli Stati Uniti nel 2017 la spesa per le proprie Forze Armate ha superato la somma degli altri 7 Paesi a maggior investimenti nel settore messi insieme.
Il Sud America deve l’aumento delle spese tra il 2016 e il 2017 principalmente agli exploits di Argentina (aumento del 15% pari a 5,7 miliardi di dollari) e del Brasile (aumento del 6,3%, con una spesa di 29,3 miliardi di dollari).
Il Brasile ha registrato un forte aumento di spesa, il primo registrato dal 2014.
Il Venezuela ha incrementato le proprie spese militari del 19%, rispetto al 2016, ma la significativa crisi economica del Paese è ben evidenziata dal fatto che la spesa del 2017 è del 75% inferiore a quella del 2008.
L’India ha sborsato 63,9 miliardi di dollari, nel 2017, per le proprie Forze Armate, attestandosi a un aumento del 5,5% rispetto al 2016, mentre le spese della Corea del Sud, pari a 39,2 miliardi di dollari, sono aumentate dell’1,7% tra il 2016 e il 2017.
La Cina è la nazione che ha segnato il maggior aumento in assoluto della spesa militare in un anno, 12 miliardi di dollari, nel 2017. La Russia, invece, come accennato, è quella che la ha diminuita maggiormente, registrando un meno 13,9 miliardi di dollari.
Notevoli, per il Medio Oriente, sono anche gli esborsi dell’Arabia Saudita. Nel Rapporto SIPRI si precisa, a tale ultimo riguardo, che l’analisi dei rapporti sulla spesa totale militare del Medio Oriente del 2017 si profila come incompleta, a causa della mancanza di dati precisi inerenti al Qatar, alla Siria, agli Emirati Arabi Uniti e allo Yemen.
La spesa militare in Africa si è lievemente ridotta, nel 2017, attestandosi a un meno 0,5% (42,6 miliardi di dollari). La tendenza al ribasso si è inaugurata dopo il culmine delle spese toccato nel 2014. A dispetto del calo, tuttavia, per la Difesa complessivamente si esborsa ben il 28% superiore al 2008.
Anche l’Europa sembra registrare un incremento della spesa generalizzato, dal 2016 al 2017. Anzi, secondo stime recenti, che qui vengono sinteticamente richiamate (8), nel 2017 “Europe was the fastest-growing region in real-terms defence spending, with a 3.6% increase over the 2016”. Lo dimostra il grafico seguente:
L’aumento della spesa, sempre secondo il rapporto SIPRI, è generalizzato ma più marcato nella zona centrale (+12%), sebbene sia anche presente nella zona Occidentale (+1,7%), forse anche per le richieste di aumento di spesa che la NATO sta reiterando. Gli aumenti, si nota nel rapporto, risultano essere stati deliberati prima dell’amministrazione Trump, per quanto riguarda il 2016. I principali Paesi per spesa militare in Europa sono Francia ( dove però rispetto al 2016 il saldo è negativo al -1,9%) Gran Bretagna (+0,5%), Germania (+3,5%) e Italia (+2,1%).
La tendenza al rialzo sembra potersi considerare confermata nel medio termine. Molti Stati Europei, primi tra tutti i Big Spenders, hanno annunciato incrementi di spese per la difesa per i prossimi anni.
Se le previsioni sono confermate, ad esempio, la Germania dovrebbe raggiungere la cifra di 49.7 miliardi di dollari (comprese le pensioni) nel 2021 e la Francia, nello stesso anno, di 59 miliardi di dollari. Allo stesso modo, gli impegni della Gran Bretagna in termini di aumento del budget difesa prevedono aumenti annuali di un miliardo di sterline fino al 2021.
Gli Stati della Penisola scandinava confermano i progetti al rialzo della spesa. La Danimarca passerà da una spesa di 3,8 miliardi di dollari nel 2017 fino a 5,8 miliardi di dollari nel 2023. La Norvegia dai 6,1 miliardi di dollari del 2017 si arriverà fino a 7,1 miliardi di dollari nel 2020. La Svezia passerà da 6 miliardi di dollari del 2017 a 7,6 nel 2020.
Ma anche sul versante Mediterraneo, la Spagna, assestatasi su una spesa di 12,1 miliardi di dollari per il 2017, prevede di arrivare entro il 2024 a 21,1 miliardi di dollari. Il grafico dimostra inequivocabilmente come, tra gli Stati militarmente più attrezzati e competitivi del Vecchio Continente, la spesa militare rappresenti, uniformemente, una vera e propria priorità politica.
Come si colloca. invece, l’Italia in questo grande e secondo alcuni spregiudicato ‘Risiko’ mondiale della ‘corsa’ al rialzo delle spese di Difesa e di armamenti? Occorre far riferimento a un altro documento pubblicato di recente. A fare infatti il punto sulla situazione italiana è il Rapporto Milex, presentato alla stampa lo scorso 2 febbraio. Il Milex è un Osservatorio indipendente che pubblica annualmente un resoconto delle spese militari italiane (9), curato da Enrico Piovesana e Francesco Mignarca. Tentiamo di fare il punto obiettivo e sintetico dei dati disponibili, partendo anche dal grafico (espresso in dollari)
Il budget del Ministero Difesa italiano, secondo le ricerche di Milex, è salito nel 2018 a 21 miliardi (1,2% PIL). La crescita si allinea alla tendenza inaugurata due bilanci fa dal Governo Renzi: +8,2 % (circa 1,6 miliardi in più) rispetto al bilancio della Difesa per il 2015 (l’ultimo, secondo il Rapporto, a risentire degli effetti della “spending review” inaugurata nel 2012 dal Governo Monti ed applicata ante litteram dal successivo Esecutivo Letta anche al Ministero della Difesa), +1,3% rispetto all’inizio dell’ultima legislatura, +18% nelle ultime tre legislature.
Mi sembra interessante, nel Rapporto, anche l’analisi di dettaglio delle voci di spesa previste per il 2018.
Viene evidenziato un aumento del 9,7% dei fondi ministeriali per gli investimenti in nuovi armamenti e infrastrutture (2,3 miliardi).
Percentuali in aumento anche per quello che riguarda la spesa per il personale di Esercito, Marina e Aeronautica (10,2 miliardi) nonostante la riduzione degli organici dettata dalla Riforma Di Paola. Ciò, verosimilmente, si si spiega con gli aumenti stipendiali per gli ufficiali superiori previsti dal recente riordino delle carriere.
Ne deriva una tripartizione della Funzione Difesa di 74% per il personale, 9% per l’esercizio e 17% per gli investimenti.
In riferimento ai costi delle missioni all’Estero, il Rapporto precisa che soprattutto i costi ‘indiretti’ risultano quantomai difficili da quantificare anche perché ne viene esplicitata soltanto una minima parte. Tra gli ulteriori focus del dossier quelli sulle le spese italiane di supporto alle basi USA in Italia (520 milioni di euro l’anno) e di contribuzione ai bilanci NATO (192 milioni l’anno), sui costi nascosti (Mission Need Urgent Requirements) dI quelle militari all’estero (16 anni di presenza in Afghanistan e 14 anni in Iraq). Notevoli sono anche i costi del riarmo: 5,7 miliardi di euro nel 2018, circa l’88% in più rispetto alle ultime tre legislature, soprattutto destinati allo ‘svecchiamento’ dei mezzi in servizio e ai nuovi aerei Typhoon e F-35.
Il Parlamento il 23 dicembre 2017, ha approvato la legge di Bilancio del 2018, dalla quale si evidenziava un incremento annuo del 3,4% (circa 700 milioni di euro) del budget previsionale del Ministero della Difesa, che passa dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018. Si tratta di un aumento che rafforza la tendenza di crescita.
Le attuali incertezze politiche rendono difficile prevedere (10) lo scenario futuro a proposito delle spese militari in Italia e della politica di difesa in generale, ma vanno tenute bene a mente in questa direzione anche le prospettive di sviluppo della Difesa Europea, nel cui processo di attuazione vi sarà forse da rifondere nuove spese ma in cui vi è un grande credito da non sprecare.
L’Italia partecipa a ben 15 dei primi 17 progetti comuni, che spaziano dal controllo marittimo alle tecnologie radio, dalla gestione della infrastrutture militari alla lotta contro le minacce cibernetiche, e, insieme alla Germania ne guida ben 4.
Il quadro della PESCO è collegato anche al nuovo Fondo Europeo della Difesa, promosso dalla Commissione europea con la previsione di uno stanziamento di 500 milioni di euro per finanziare progetti di ricerca militare nel quadro del budget pluriennale per il 2021-2027.
Anche in questo scenario, le industrie italiane sono tra le più coinvolte. Leonardo-Finmeccanica è infatti chiamato alla guida di un consorzio di 42 partner industriali da 15 Paesi europei al fine di coordinare il progetto Ocean 2020, che prevede una serie di ricerche sulla sorveglianza militare dei confini, in virtù di un importante accordo firmato lo scorso 29 marzo.
1 Materiale disponibile al sito www.sipri.org.
2 http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/report-2018-global-defense-spending-will-reach-highest-level-23763.
3 https://thediplomat.com/2018/03/chinas-2018-military-budget-new-numbers-old-worries/
4 https://www.foi.se/en/pressroom/news/news-archive/2016-12-08-russian-military-capability-is-strengthened-and-increasing.html.
5 http://tass.com/defense/982575.
6http://www.xinhuanet.com/english/2018-03/20/c_137050962.htm.
7 www.ponarseurasia.org/memo/russias-military-modernization-plans-2018-2027.
8 www.iiss.org: Rapporto “The Military Balance 2018”, aggiornato a Febbraio 2018.
9 I dati riferiti nella ricerca sono, anche in questo caso, tratti dal Rapporto 2018 Milex, liberamente scaricabile al sito internet www.milex.org.
10 Come già ipotizzato alla vigilia delle Elezioni da A. Marrone, Italy’s Defence Policy, IAI, Rome, 2018, www.iai.it/en/pubblicazioni/italys-defence-policy-what-expect-2018-elections.
*Assegnista di Ricerca Università degli Studi di Salerno, ex Ricercatrice CEMISS
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