Di Alexandre Berthier
Roma. La recente querelle tra il ministro dell’Interno, Matteo Salvini e lo scrittore Roberto Saviano porta alla ribalta una peculiarità tutta italiana: l’abnorme numero di personalità protette dallo Stato con costosi e probabilmente inutili servizi di scorta o tutela.

Lo scrittore Roberto Saviano scortato
Giova premettere che il quotidiano Il Tempo del 20 luglio del 2017 titolava “L’Italia resta il paese con più personalità protette dell’intero pianeta” e vale anche la pena di ricordare che, sempre nell’estate scorsa, il Governo di Sua Maestà britannica fece sapere ad un nostro magistrato che voleva essere scortato durante una sua performance inglese che da loro le scorte sono riservate solo ai capi di
Stato e di Governo.
Della serie, ma chi sei? Se sei in pericolo, rimani a casa tua. Difficile non essere di concorde avviso. Chi viene a trovarsi in situazioni di grave pericolo, perché seriamente minacciato dalla criminalità o da terroristi, dovrebbe innanzi tutto non esporsi sistematicamente ad esso, bensì adottare misure di protezione passiva che lo allontanino invece dalle fonti di minaccia.
Ciò, anche rinunciando obtorto collo a molti dei diritti riconosciuti a tutti gli individui (passeggiare in pubblico, andare allo stadio, frequentare luoghi affollati in genere, presentare libri, fare discorsi ‘incendiari”, eccetera).
Qualcuno leggendo queste considerazioni griderà ora all’eresia, si strapperà i capelli per la negazione di diritti fondamentali e intoccabili.
Infatti, cosí siamo abituati a fare in Italia, dove l’essere scortati costituisce spesso uno status symbol irrinunciabile, per moltissimi, che – per assurdo – potrebbe essere riconosciuto talora anche a chi magari si auto-indirizza una lettera anonima dal contenuto minatorio.
Ovviamente, sono codificate severe procedure per la concessione di vari livelli di sicurezza, ma è un fatto che difficilmente vengono poi revocate. Anzi, quasi mai! Anche in questo campo l’eccesso di garantismo dilagante nel nostro sistema Paese si rivela un cancro inestirpabile. Eppure la nostra storia al riguardo è un libro aperto. Quando un esaltato, un anarchico, un’organizzazione criminale o terroristica ha deciso di
colpire un simbolo o un suo obiettivo lo ha fatto inesorabilmente, beffandosi di scorte, dispositivi di protezione e sicurezza.
Così è stato per il Re Umberto I, per Aldo Moro, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri.
Nel caso poi di Moro, ricorderemo, che i terroristi uccisero tutti i componenti della scorta e rapirono tranquillamente lo statista. Dunque, pur con i dovuti distinguo, le scorte risultano quasi sempre un dispositivo inutile, enormemente dispendioso, dannoso per il sistema di sicurezza preventiva e repressiva dello Stato, cui sottrae ingenti e qualificate risorse, spesso utilizzate – come denunciato sovente dai sindacati di Polizia o dagli organi di rappresentanza dei corpi di Polizia a status militare- in mansioni modeste, poco consone al ruolo di agenti della forza pubblica.

Il momento del rapimento di Aldo Moro
Infine, lascia veramente perplessi vedere che personaggi assolutamente marginali della politica continuino a godere di dispositivi di sicurezza personale – oltre che di eco mediatica per le loro insignificanti dichiarazioni e prese di posizione – che non sono di fatto molto di più di un servizio taxi, il cui conducente, spesso consenzienti, è utilizzato pure nella veste di “cameriere” o di “valletto”. Vi sono addirittura alcuni uomini delle istituzioni che hanno “incorporato” nello stipendio la voce “indennità di rischio” e che più di altri ricercano la scorta.
Ed allora perché non scortare pure ogni carabiniere, ogni poliziotto? In conclusione, emerge sopra tutto una considerazione: i cittadini devono rispettare lo Stato e le sue istituzioni. I delinquenti, i terroristi ed affini dovrebbero invece temere lo Stato e le sue istituzioni, le quali
dovrebbero sapere come farsi rispettare e temere.
Tuttavia, non ci pare che ciò avvenga. Anzi, tutto o quasi tutto tende ad un datato buonismo suicida, mascherato da ciò che ci piace chiamare
garantismo, ovvero esercizio delle così dette libertà democratiche; quelle libertà che consentono però di dare impunemente del buffone al ministro dell’Interno!
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