Di Bruno Di Gioacchino
TEL AVIV. Nella notte del passato fine settimana, gli Stati Uniti hanno compiuto un’azione militare senza precedenti contro le infrastrutture nucleari dell’Iran.
L’Operazione ” Midnight Hammer”, come è stata denominata, ha coinvolto 7 bombardieriv Stealth B‑2 decollati dal Missouri, con l’obiettivo di colpire in profondità i siti strategici di Fordow, Natanz e Isfahan.

L’attacco è stato completato da missili da crociera lanciati da sottomarini, dando vita a una manovra combinata di precisione e impatto storico.
La missione si è basata su una sofisticata manovra di inganno: sei bombardieri hanno simulato una rotta verso Guam, distraendo l’intelligence iraniana, mentre i veri velivoli seguivano un piano alternativo di 37 ore, con rifornimenti in volo.
Nessun radar iraniano ha intercettato la formazione: un segnale evidente della superiorità tecnologica americana in ambito Stealth.
Il raid ha visto l’impiego di 14 bombe GBU‑57 “Massive Ordnance Penetrators”, capaci di penetrare fino a 60 metri nel sottosuolo.
E’ la prima volta che queste armi vengono usate in combattimento.
In parallelo, i missili Tomahawk lanciati da sottomarini hanno colpito obiettivi superficiali più vulnerabili, completando una strategia di attacco coordinato ad alta precisione.

Fordow: gravi danni strutturali nella montagna e nei tunnel, con crateri multipli e sistemi concentrici compromessi. Natanz e Isfahan: colpite le strutture di superficie; danni significativi, ma nessuna conferma definitiva sulla distruzione delle centrifughe sotterranee.
Attacco chirurgico contro il cuore del programma nucleare iraniano.
Nessuna vittima civile segnalata né contaminazione radioattiva, secondo fonti ufficiali. Forte messaggio di deterrenza, in particolare a sostegno di Israele, già attivo con raid mirati nelle settimane precedenti.
L’Iran conserva il proprio know-how, parte delle infrastrutture e circa 400 chili di uranio arricchito al 60%. Alta probabilità di ricostruzione rapida, soprattutto in presenza di un programma già decentralizzato.
Rischio immediato di escalation: missili iraniani lanciati verso Israele, mobilitazione di gruppi proxy (Hezbollah, Houthi), e instabilità crescente nella regione.

L’operazione si inserisce nella lunga strategia americana di contenimento nucleare, risalente alla Guerra Fredda e oggi ridefinita nella competizione tra democrazie e autocrazie. Dopo l’incursione aerea israeliana del 13 giugno, che ha combinato sabotaggio e attacco convenzionale, gli Stati Uniti hanno scelto un’escalation controllata per riaffermare la propria egemonia strategica e limitare ogni opzione nucleare iraniana.
Rinvio, non interruzione: l’attacco può ritardare il programma, ma non bloccarlo se non seguirà un meccanismo di monitoraggio incisivo.
Corsa agli armamenti: Teheran potrebbe intensificare lo sviluppo di impianti più nascosti e tecnologie autonome.
Escalation asimmetrica: attacchi cibernetici, sabotaggi navali e ritorsioni contro obiettivi statunitensi non sono da escludere.
Ritorno alla diplomazia: è necessaria una nuova strategia occidentale che combini fermezza militare e apertura diplomatica. ONU, AIEA ed Europa saranno cruciali per evitare un’escalation fuori controllo.
L’Operazione “Midnight Hammer” ha rappresentato un esempio di supremazia militare e precisione tattica, colpendo i siti più sensibili del programma nucleare iraniano.
Ma il vero test sarà nella tenuta strategica dell’Occidente: trasformare un successo operativo in un vantaggio geopolitico duraturo, evitando che la deterrenza si trasformi in detonatore di una guerra regionale.
La storia resta in bilico.
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