La spesa per la difesa, parole di plastica nascondono i dettagli

Di Vincenzo Santo*

Roma. Do atto al ministro della Difesa di aver finalmente compreso che un’eventuale Strategia Generale Nazionale di Sicurezza sia un qualcosa da elaborare “… a livello interdicasteriale …”. Che brutta parola!

Lo ha scritto lei nella sua introduzione al “Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il Triennio 2019-2021” (DPP 2019 – 2021). Sembrava, infatti, fino a qualche tempo fa che volesse fare tutto da sola; ma ha dimenticato un particolare dcyber-energyi non poco conto, che cioè sarebbe inevitabile la costituzione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Introduzione molto retorica quella del DPP e che trova la sua massima manifestazione in concetti di “plastica”, come le parole definite in tal modo da Ivan Illich.

Lo scrittore Ivan Illich

Le parole di plastica sono termini che posseggono una connotazione forte, tale da assegnare importanza a chi li usa.

Dice Illich che “sono massi lanciati in una conversazione: producono delle onde ma non colpiscono niente”. E spiega che “sono parole quasi sempre esistite nella lingua, ma che, attraverso un candeggio, vengono riportate nel linguaggio corrente, con però una nuova connotazione. Questa ti rimanda a cose che altre persone conoscono, ma tu non puoi capire fino in fondo”.

Tali le parole, dico io, tali i concetti. Il gioco delle parti.

Un esempio? Questo: proseguono gli sforzi della Difesa anche per lo sviluppo del Progetto “Duplice Uso Sistemico: impiego innovativo delle Forze Armate al servizio del Paese”, presupposto per consentire il transito concettuale e operativo da Forze Armate 3.0, cioè nella loro attuale concezione, a Forze Armate 4.0, cioè adatte ad affrontare in maniera efficace, efficiente e sostenibile il “nuovo” che avanza. Essere 4.0 significa dotarsi di uno strumento “persistente e a potenza variabile”, facilmente modulabile per essere impiegato nell’intero spettro delle moderne minacce – dall’ibrido, alla sicurezza cyber-energy, alla hyperwar, senza peraltro dimenticare le più classiche situazioni di crisi convenzionali.

Solo uno dei tanti passaggi che potrebbero essere presi ad esempio. Ma che cosa vuol dire? I nostri Parlamentari, ai quali mi risulta questo documento sia stato illustrato, hanno compreso che cosa voglia dire questa intemperanza letteraria, come molte altre, o sono rimasti annichiliti dalla hyperwar?

Ne abbiamo inventata un’altra di parola? No in realtà, è un concetto non nuovo. Ma si sa, ci piace genufletterci dinanzi alle idee che vengono da oltreoceano, perché in queste cose l’anglosassone affascina di più. Ipnotizza.

C’è sempre stata una hyperwar laddove è esistito un cambio sostanziale nel modo e nei mezzi impiegati nel combattimento. Oggi, vorrebbe significare come nuove tecnologie disponibili o in rapida evoluzione possano velocizzare, quasi rendere automatico, il processo decisionale, esautorando di fatto l’intervento umano.

Affascinante follia! Nella realtà, un’altra parola di plastica che deve mettere in condizioni il lettore di sentirsi una nullità e di vergognarsi di chiedere, quindi di approfondire.

Ma è vergognoso che un documento che il cittadino dovrebbe leggere e capire debba perdersi dietro a parole di plastica che conformano pensieri di plastica.

Ora, io mi chiedo, se è vero che, come è scritto anche a pagina 22, e lo condivido, gli obiettivi della Difesa devono discendere dalla suddetta Strategia Generale, e da qui lo sviluppo di un modello capacitivo, come è possibile sviluppare un documento programmatico pluriennale senza aver fissato quegli obiettivi né conoscere gli indirizzi politici? Mistero!

Un vero cambiamento sarebbe stato l’aver generato finalmente una strategia di sicurezza, con ben definiti tanto gli interessi quanto gli obiettivi strategici e, finalmente, da lì una “strategia nazionale militare”. Invece, si va avanti come sempre intortando parole e concetti e rischiando di spendere molti soldi senza un supporto solido, logico, ma divertendosi a giocare con definizioni aleatorie quali aree di “interesse strategico”, di “particolare interesse” ovvero “ove risiedono interessi contingenti”, la cui importanza sembra non consistere tanto nell’individuazione degli obiettivi che sottendono gli interessi nazionali, bensì nella volontà dell’autorità politica di decidere o meno di intervenire, quindi a seconda di chi è al governo e dell’umore del momento, magari inquinato dalla volontà del proprio “popolo”.

E, a proposito delle aree “contingenti”, a me risulta almeno criptico – e ritengo di non essere l’unico – il fatto che l’autorità politica possa decidere di intervenirvi esprimendo una “volontà contingente”. Volontà contingente? Ma che cosa significa? Temo assolutamente nulla; un ennesimo concetto di plastica.

Non dovrebbe essere così; il colore politico non può né deve disconoscere gli interessi nazionali e gli obiettivi fissati, se mai può definire il “come” o il “con che cosa” intervenire.

Quindi le aree di interesse nazionale, virtuali o reali, sono quelle che comprendono gli obiettivi da perseguire e, se mai, gli strumenti che vi si vogliono dedicare. Se questi sono stati “attrezzati” per farlo.

Concordo (vedasi riquadro sempre a pagina 22) sul fatto che la sicurezza e il benessere (non solo quello futuro ma anche quello attuale) siano strettamente correlate a una condizione di stabilità nelle benedette aree di interesse strategico, quella euro-mediterranea e quella euro-atlantica.

Tuttavia, il pericolo è quello di arrivare a pensare troppo in grande e di continuare a privilegiare un costoso strumento aeronavale, così come fino ad oggi si è fatto, trascinati prima dal concetto di “Mediterraneo allargato” e successivamente nella sua declinazione americana di “Greater Middle East”, a discapito della più impegnata, nei fatti, componente terrestre – che lo è anche sul territorio nazionale.

È difatti assurdo illudersi che il Mediterraneo non abbia un’importante proiezione africana, ben oltre il Maghreb. Dove non si può che utilizzare lo scarpone.

Occorrerebbe poi restringere queste “aree”, rifuggendo dall’illusione che altri possano condividere, in opere e pensiero, nel mondo di oggi, i medesimi nostri interessi, solo perché ci accomuna l’appartenenza europea o atlantica. Unione Europea e NATO non hanno interessi, ma solo finalità. Magari talvolta, qualche affinità.

E poi basta con questa stupida distinzione tra interessi vitali e interessi strategici. Distinzione anche questa “di plastica”.

Tra l’altro, nella misura in cui il DPP “scorre” sui tre anni successivi, sarebbe corretto inserire un capitolo in cui si elencano in modo chiaro i programmi avviati e ancora in corso o persino chiusi nei tre anni precedenti o quali siano stati assorbiti da altri nuovi.

Per come il documento è composto, il cittadino, cioè colui che le tasse le paga, in esso non riesce a raccapezzarsi con facilità.

Ma ne avrebbe titolo. E il ministro stesso specifica che il DPP “… assolve anche alla sua fondamentale funzione di condividere con i cittadini le attività e le esigenze intrinseche dello Strumento militare, contribuendo ad aumentare nella collettività nazionale sia la consapevolezza del ruolo svolto dalle Forze Armate, sia il livello di partecipazione democratica alle scelte governative in materia di sicurezza e difesa nazionale e internazionale …”.

Tuttavia, un confronto con il documento dell’anno precedente può aiutare, in qualche modo, a comprendere qualcosa. Vediamo di limitarci a qualche utile osservazione, in quanto ci sarebbe veramente da mettere a nudo ogni singola pagina e non voglio ora sfidare la pazienza di chi legge.

Intanto, il quadro strategico delineatovi di fatto non cambia rispetto alle versioni precedenti, presentando ancora un contesto geopolitico incerto – in quanto quello geostrategico, proprio per il carattere descrittivo della geo-strategia, non può essere incerto, come invece viene erroneamente scritto – tenuto conto della sua (del contesto) diffusa instabilità, nonché complessità e imprevedibilità, della presenza di tutte le minacce immaginabili, veicolate ora dall’acronimo BRINE(1) e dalle onnipresenti oggetti di angosce hybrid warfare e terroristica mondiale, questa sempre diffusa e immanente.

Gli impegni internazionali già assunti, ci viene raccontato, lo sono in un quadro di centralità strategica.

Un approccio apodittico, cioè sono tali perché abbiamo deciso così. E prioritariamente lungo i sempreverdi due “archi di crisi”, quello meridionale e quello orientale. Una centralità che ci riconosce essere tra i maggiori contributori internazionali (ONU, NATO e UE).

Al riguardo, mi viene facile invitare un lettore qualsiasi a scorrere le pagine relative alla cooperazione per la sicurezza internazionale, nel paragrafo attinente all’Unione Europea, un capolavoro bizantino di filosofica incomprensibilità, che dovrebbe portare a chiedersi quanto ci costi questa Europa e, soprattutto, come avvenga questo flusso di denaro e, infine, che cosa ce ne venga in tasca.

Ma veniamo ora al nocciolo. Tenendo in debito conto le canoniche quattro missioni assegnate alle Forze Armate (lasciando da parte le elucubrazioni pseudo-filosofiche del nuovo ministro, fatte proprie mi pare anche dall’attuale capo di Stato Maggiore della Difesa, per cui sarebbe ora che “… il concetto di Difesa assuma dei contorni meno definiti, ben più ampi di quelli sino ad oggi esplorati …”), gli indirizzi strategici fissati nel documento (in cui si dà evidente preminenza, ahimè, alla quarta missione) definiscono, in qualche modo contraddicendosi, quale onere prioritario quello di privilegiare, nel quadro delle risorse disponibili, “… la disponibilità delle forze e degli assetti attuali, supportando e ammodernando le capacità esistenti e garantendo la disponibilità degli strumenti necessari per le operazioni in corso nonché le capacità richieste dalla NATO e dall’UE …”. E l’ONU dove l’abbiamo messo? Un dettaglio.

Giubbotti antiproiettile ed elmetti blu, tipici dei peacekeepers

Pertanto, io cittadino pagatore di tasse ne deduco che la preparazione delle forze, il loro sostegno durante lo svolgimento delle attuali missioni, la loro sicurezza e la loro capacità di condurre le operazioni siano la più alta priorità.

Così come la capacità di risposta (responsiveness), non tanto la prontezza (readiness), ma sulla differenza tra i due concetti ammetto ormai la mia incapacità di farla comprendere, per quelle eventualità di intervento che venissero richieste, non solo a livello nazionale ma, e soprattutto, in ambito internazionale. Questa è quindi la mia lettura.

Detto questo, e nella speranza di attirare l’attenzione parlamentare, e di chi governa, sull’argomento, per un esame molto più dettagliato di quanto non faccia io con i pochi elementi che qui traccerò, riferiti in particolar modo alla “realtà del soldato sul terreno di operazioni”, allo scarpone di cui sopra insomma, mi risulta inspiegabile perché mai godano di finanziamenti risibili, oppure privi di finanziamenti durante il corrente esercizio finanziario oppure, infine, di alcun finanziamento perché messi, diciamo, in stand-by oppure rinviati persino a data da destinarsi, i programmi per:

  • i sistemi di simulazione volti a “bilanciare” l’addestramento dal vivo con quello virtuale (o constructive), in sistema con le attività esercitative per Posti Comando, momenti di alto pregio per esercitare le capacità di comando e controllo. Quanto stanziato quest’anno e negli anni a seguire è al limite del ridicolo;

  • il potenziamento della capacità delle Forze Speciali, inclusi l’ammodernamento della loro mobilità terrestre, programma quest’ultimo inserito nel 2018 e sparito nella nuova programmazione, e l’acquisizione di velivoli/aeromobili a supporto delle operazioni speciali;

  • l’acquisizione di sistemi per l’intercettazione di proietti di artiglieria e bombe da mortaio diretti contro le nostre forze e per la protezione delle basi;

  • il potenziamento/adeguamento tecnologico delle capacità operative della linea “Predator” e l’approvvigionamento degli ormai indispensabili mini e micro-APR;

Un Predator in volo

  • l’acquisizione di una capacità di contrasto alla minaccia derivante da UAV (Counter-UAV), divenuta fondamentale per la protezione delle forze;

  • il ripianamento delle scorte di munizionamento e l’ammodernamento/prolungamento della vita tecnica degli armamenti degli aeromobili e dei sistemi di autoprotezione. In particolare, per l’Esercito, le cui dotazioni e armamento mi risultano allo stremo, l’acquisizione del munizionamento viene addirittura rimandato al 2021;

  • il supporto logistico e l’adeguamento delle capacità tecnologiche degli aeromobili ad ala rotante;

  • lo sviluppo del prototipo e successivo ammodernamento di tutto il parco “Ariete”, programma inserito nell’edizione 2018 ma evidentemente eliminato da quella corrente

Un carro Ariete im movimento

  • l’acquisizione degli indispensabili VMB Freccia per il quale pare cassato il relativo sistema di protezione con contromisure di tipo attivo;

  • lo sviluppo, realizzazione e acquisizione di veicoli corazzati trasporto truppe, a parte il risicato milione previsto per quest’anno per il programma VTLM2, davvero poca roba.

Soldati italiani in pattugliamento con il Lince

Resta il caso particolare del SIC (Sistema Individuale di Combattimento altresì detto Sistema Soldato Sicuro) per il quale, nelle schede dei programmi “assicurati” per l’Esercito viene previsto un finanziamento di 24,9 milioni per il corrente anno. Grave sarebbe se l’acquisizione non sia già avviata da questo Esercizio Finanziario e con un profilo pluriennale a similitudine delle altre importanti imprese di ammodernamento e rinnovamento della Difesa.

Fermo restando che i programmi che pur risultano in partenza quest’anno, perché “con assicurazione di finanziamento”, non è detto che poi vengano avviati, in quanto possono essere procrastinati, ridotti in termini di fondi disponibili – e molto dipende naturalmente anche da quanto mette in campo il MISE – o persino cancellati, come è successo con il precedente DPP.

Tutto sommato, la situazione relativa al budget della Difesa non è mai stata ottimale. Ma questo non è un buon motivo da un lato per rassegnarsi e dall’altro per non andare a vedere i dettagli della programmazione.

Il mio timore, infatti, è che, a fronte di tantissime parole volte a illustrare le ragioni per le quali è importante spendere dei soldi, con grandi giri di parole per illustrare quadri strategici e politici altisonanti, linee di sviluppo che sfidano la gravità e vaghi indirizzi strategici, ai ragionamenti presentati non corrispondano le conseguenti azioni; che manchi, in definitiva, una coerente action!

In conclusione, lo ripeto, se è vero che la preparazione delle forze, il loro sostegno durante lo svolgimento delle missioni assegnate, la loro sicurezza e protezione, nonché la loro capacità di operare efficacemente, sono elementi che rivestono una priorità molto alta, dal momento che si opera ora in aree dove niente è dato per scontato oppure dove ci si potrebbe confrontare domani anche con qualcosa che ad oggi riteniamo solo possibile – tanto da figurarlo nei nostri supposti operativi quando rischieriamo persino una brigata “sul Baltico” -, allora io mi rivolgo ai nostri parlamentari perché, al di là delle audizioni in cui i concetti espressi dai responsabili potrebbero essere presi per “ecco qua il solito piagnisteo”, vadano a vedersi questi dettagli, proprio laddove il diavolo normalmente si nasconde, e lascino perdere per ora l’imbarazzo del 2%! Baggianata trumpiana.

La responsabilità è un qualcosa che non si può delegare. Prima o poi la verità e la realtà vengono a galla. La prima come scoperta, la seconda come sorpresa. E non c’è peggior cosa quando la sorpresa colpisce chi è responsabile, come voi, cari eletti dal popolo e cari governanti, lo siete, comunque!

Biology, biotechnology and medicine, robotics, AI, new smart weapons, nanotechnology, informations and communication technology, energy technology, ecc … .

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

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