Il riarmo della Polonia tra necessità ed ambizione

Di Fabrizio Scarinci

Varsavia. Il progressivo rafforzamento della Polonia in ambito strategico ha suscitato, negli ultimi anni, un forte interesse, tanto a livello politico e diplomatico quanto tra gli studiosi e gli esperti del settore.

Benché sul piano economico e demografico abbia un peso minore rispetto agli attori europei maggiormente prominenti, con i suoi 38 milioni di abitanti ed un PIL nominale che nel 2019 sfiorerà i 600 miliardi di dollari, la Polonia ha infatti tutte le carte in regola per giocare un ruolo di primo piano nell’ambito dello scacchiere dell’Europa centro-orientale. Negli ultimi anni, il Paese ha mantenuto il livello delle sue spese militari stabilmente intorno al 2 per cento del prodotto interno lordo, soglia minima auspicata dalla NATO per i suoi Stati membri, e sta gradualmente trasformando le sue forze armate, rendendole sempre più moderne ed efficaci.

Chiunque abbia un minimo di familiarità con la Storia polacca si renderà facilmente conto di quanto essa sia stata travagliata e costellata di tragedie. Negli ultimi secoli i polacchi si sono infatti trovati più volte a dover lottare per conservare o riconquistare la propria indipendenza politica contro vicini particolarmente aggressivi e spesso dotati di superiori capacità militari. La rinascita dello Stato polacco all’indomani della Grande Guerra fu possibile grazie alla disfatta tedesca e al sopraggiungere della guerra civile in Russia, ma non appena queste due potenze tornarono a rafforzarsi sul piano militare il “giovane” Stato iniziò a sperimentare la tipica condizione del “vaso di terracotta tra due vasi di ferro”. I polacchi tentarono di dotarsi di una credibile capacità militare, creando un esercito di circa 1 milione di uomini (ovviamente quando completamente mobilitato) e un’aviazione di ben 800 aerei (in buona parte prodotti dalla nascente industria locale). Tutto questo non fu, però, abbastanza al fine di opporsi alle capacità numeriche e tecniche che tedeschi e sovietici erano in grado di schierare, e alla fine, nel settembre del 1939, le due potenze invasero il Paese riuscendo in poche settimane a spartirsi il suo territorio. A nulla valse l’entrata in guerra degli Anglo-francesi (peraltro contro la sola Germania), dato che, al di là della loro relativa impreparazione, la Polonia era geograficamente troppo svantaggiata per poter essere concretamente aiutata.

La geografia determinò le sorti del Paese anche all’indomani del secondo conflitto mondiale, quando fu costretto dalle circostanze ad aderire al blocco sovietico. La Polonia socialista arrivò, nel periodo della Guerra fredda, ad avere le forze armate più numerose del Patto di Varsavia dopo quelle sovietiche, tuttavia esse non apparivano tanto come uno strumento di tutela degli interessi nazionali, ma piuttosto come un apparato al servizio di un governo le cui azioni erano in buona parte eterodirette da Mosca.

Il crollo del regime socialista lasciò, poi, la Polonia alle prese con una grave crisi economica che, come in altri Paesi, comportò un’inevitabile riduzione delle capacità militari.

Dopo la fine del confronto Est-Ovest la nuova Polonia democratica ha cercato fin da subito di entrare a far parte della NATO e dell’Unione Europea, vedendo nell’adesione alle organizzazioni politiche occidentali e nella creazione di un solido rapporto con gli Stati Uniti le nuove pietre angolari della propria sicurezza. In particolare, l’ingresso nella NATO, avvenuto nel 1998, ha rappresentato per il Paese un forte incentivo all’ammodernamento delle sue forze armate. Il principale obiettivo di questo upgrade, portato avanti grazie al supporto dell’Occidente e alla progressiva ripresa economica del Paese, era certamente quello di favorire un certo grado di interoperabilità tra lo strumento militare polacco e quelli dei nuovi alleati, ma vi era anche la necessità di affrancare Varsavia dal gran numero di armamenti di origine sovietica presenti nel suo inventario. Infatti, benché la Polonia avesse partecipato alla produzione di molti quei mezzi e il suo complesso militare-industriale avesse la capacità di manutenere una buona parte di essi, per altri, come nel caso di alcuni caccia a reazione, il reperimento di parti di ricambio poteva rappresentare un problema di non poco conto.

Soldati polacchi durante un’esercitazione

 

All’inizio degli anni 2000 i membri dell’Alleanza sono stati coinvolti in numerose missioni fuori area, soprattutto di peacekeeping e in funzione di contrasto al fenomeno del terrorismo. Tali operazioni hanno visto partecipare piuttosto attivamente anche la Polonia, che ha inviato truppe in Afghanistan e in Iraq, partecipando anche alla fase iniziale dell’Operazione Iraqi Freedom. Tuttavia, se in quegli anni la maggior parte dei paesi occidentali, percependo un elevato grado di sicurezza a ridosso dei propri confini, stava riorganizzando le proprie forze armate focalizzandosi soprattutto sulla conduzione di operazioni di stabilizzazione in teatri lontani, ciò non poteva valere allo stesso modo per la Polonia. Infatti, nella sua peculiare condizione geostrategica, Varsavia non poteva scartare del tutto l’ipotesi di trovarsi in prima linea in un conflitto di tipo simmetrico ad alta intensità. Il processo di modernizzazione è stato quindi portato avanti anche tenendo conto di tale possibilità e, a partire dalla crisi ucraina del 2014, che ha segnato un netto peggioramento nelle relazioni tra la NATO e la Russia di Vladimir Putin, tale tendenza sembra essersi ulteriormente accentuata.

Nello specifico, appare prioritario nell’ambito della postura strategica polacca il mantenimento di una credibile forza terrestre. L’esercito conta oggi circa 77.000 uomini e ad esso si sta cercando di affiancare una forza di difesa territoriale che, negli auspici del governo, dovrebbe raggiungere le 50.000 unità a partire dal 2021. Tali numeri non sarebbero di per sé particolarmente impressionanti per un Paese che, quantunque dotato di risorse ancora relativamente limitate, aspira ad essere uno dei bastioni orientali della NATO; tuttavia le forze terrestri di Varsavia, oltre ad essere particolarmente addestrate, sono anche molto pesantemente equipaggiate. Esse schierano infatti una potente forza corazzata di circa 1000 MBT, che include, oltre a centinaia di anziani carri T 72, anche circa 250 moderni Leopard 2, nelle versioni A4 e A5, e quasi altrettanti PT-91 di produzione nazionale. A tale forza si affiancano poi circa duemila altri mezzi blindati e corazzati di vario tipo.

Anche l’artiglieria è in fase di piena trasformazione e, come in altri segmenti delle forze terrestri, anche in questo settore i vecchi mezzi di origine sovietica stanno lasciando spazio a mezzi più moderni ed efficaci, molti dei quali di produzione nazionale.

Un altro acquisto importante per l’esercito polacco è poi costituito dai missili Patriot PAC 3, che verranno introdotti nei prossimi anni migliorando notevolmente la capacità del Paese di provvedere alla protezione del suo spazio aereo.

Un missile Patriot PAC 3

Dal canto suo l’aeronautica, al pari dell’esercito considerata di prioritaria importanza nell’ambito della postura strategica nazionale, pur essendo molto lontana dalle dimensioni raggiunte negli ultimi decenni della Guerra Fredda, sta anch’essa recuperando un certo grado di credibilità. Le forze aeree contano oggi circa un centinaio di jet da combattimento, tra cui 48 moderni multiruolo F16 C Block 52+, ai quali si affiancano ancora decine di mezzi di origine sovietica, come i Mig 29 Fulcrum e i Sukhoi SU 22 Fitter J, che tuttavia verranno presto sostituiti dai moderni F 35 Lightning II, ordinati dal Paese in 32 esemplari.

Un Mig-29M “Fulcrum” dell’aeronautica polacca

L’introduzione del Lightning costituirà certamente un significativo salto di qualità per l’aeronautica polacca, che potrà contare su un mezzo furtivo capace di raggiungere e colpire con precisione anche obiettivi particolarmente protetti situati in profondità nel territorio nemico. La componente aerea da trasporto dispone invece di mezzi piuttosto limitati, così come la marina, la cui componente d’altura è costituita solo da tre sottomarini, due fregate e due OPV; in ogni caso, il conseguimento di grandi capacità in tali ambiti, oltre che troppo oneroso, appare un requisito secondario alla luce degli obiettivi strategici del Paese, focalizzato sul proprio contesto regionale e meno incline rispetto ad altri a proiettare forze a grande distanza.

Tuttavia se è vero che la Polonia, in linea con quanto vissuto in passato, appare essenzialmente come un attore di medio livello che cerca di mantenere capacità militari relativamente consistenti principalmente allo scopo di tutelarsi in un contesto potenzialmente difficile, bisogna anche sottolineare come dalla loro “nuova” condizione di “frontiera” del modo occidentale i polacchi stiano oggi cercando, non senza qualche successo, di trarre vantaggio al fine di aumentare la propria influenza all’interno del consesso euro-atlantico. In tale ottica deve essere letta, ad esempio, l’entusiastica partecipazione al progetto di Scudo Antimissile della NATO, che vedrà il Paese ospitare sul suo territorio uno dei due siti AEGIS Ashore in fase di allestimento. In particolare, con la partecipazione a questo progetto sembra che la Polonia abbia soprattutto l’intenzione di rafforzare il proprio ruolo di “pivotal power” nell’ambito della strategia globale statunitense, rendendosi così un alleato indispensabile e quindi influente, forse anche più di quanto le sue risorse non lascerebbero supporre.

Risultano invece meno fortunate le relazioni tra Varsavia e l’Unione Europea; non che i polacchi non abbiano tratto, nel corso degli ultimi anni, significativi vantaggi economici dall’accesso al mercato unico, nonché dalla redistribuzione dei fondi strutturali, ma non sono mancati momenti di forte tensione tra il Paese e le Istituzioni di Bruxelles. Certamente tali difficoltà sono in parte dovute ad alcuni aspetti del carattere nazionale della Polonia contemporanea; sembra infatti che il Paese, che non ha mai goduto di ampi spazi di manovra a livello internazionale, dopo essere stato ripetutamente oggetto di invasioni, occupazioni e imposizioni politiche di vario genere da parte di potenze straniere, manifesti oggi una certa diffidenza verso un’Organizzazione alla quale, nel corso del tempo, sono state attribuite competenze tali da poter incidere profondamente sulla vita interna dei Paesi che ne fanno parte. Negli ultimi anni, poi, la crisi dei migranti e sua pessima gestione da parte dell’Europa nel suo insieme non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. In ogni caso però, l’ipotesi di una rottura totale tra Varsavia e Bruxelles sembra al momento improbabile; sia in virtù dell’importanza che l’UE riveste in ambito economico per la Polonia, sia per via dell’importanza geostrategica che il Paese ha per l’Europa.

Veduta panoramica della città di Varsavia

In conclusione, dopo il primo ventennio del XXI secolo, la Polonia si presenta come un Paese in crescita, sia sul piano economico che geopolitico. Il futuro è difficile da prevedere, pertanto risulta difficile anche fare ipotesi su come evolveranno nei prossimi anni le relazioni tra l’Occidente e la Federazione Russa, che rappresentano il vero fattore determinante nella delineazione di qualsiasi politica strategica da parte di Varsavia. Certamente, però, alla Polonia non manca l’ambizione di ricoprire un ruolo più incisivo nell’Europa dei prossimi decenni. Per farlo, tuttavia, la sua classe dirigente dovrà agire in modo intelligente, cercando di continuare a massimizzare le sue rendite di posizione e facendo attenzione alle varie possibili criticità foriere di minare la crescita del Paese, tra cui figura, in primis, il suo evidente declino demografico. Infatti, sebbene in linea con un trend molto diffuso nell’Europa Orientale (e non solo) contemporanea, la perdita di popolazione che la Polonia rischia di sperimentare nei prossimi decenni potrebbe privarla del quantitativo di risorse umane necessario alla continuazione della sua crescita economica, relegandola così ad un ruolo secondario anche sul piano geopolitico.

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