Gaza: la questione del cibo come arma. Le famiglie palestinesi sono ostaggio di milizie e della propaganda

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. Nella Striscia di Gaza, la guerra non segue i confini tracciati dalle mappe, né le logiche tradizionali di uno scontro tra Eserciti.

Palestinesi che ritornano a Gaza dopo accordo per il cessate il fuoco

Esiste un solo Esercito regolare – quello israeliano – mentre dall’altra parte operano gruppi armati irregolari, milizie di diversa natura, e organizzazioni terroristiche come Hamas, che da anni esercitano un potere coercitivo sul proprio popolo.

La popolazione palestinese, oggi più che mai, non è semplicemente vittima di una guerra, ma ostaggio di un sistema di potere interno frammentato e violento, in cui anche la distribuzione del cibo è diventata terreno di contesa e strumento di manipolazione.

Dopo quasi due decenni di Governo autoritario, Hamas – riconosciuta come organizzazione terroristica da Israele, Unione Europea e Stati Uniti – ha progressivamente perso il controllo centralizzato sulla Striscia.

Miliziani di Hamas

Il conflitto aperto con Israele e le sue stesse scelte operative, come l’utilizzo sistematico di scudi umani e il radicamento militare in aree civili, hanno prodotto una crisi di legittimità e una frammentazione interna.

Questo vuoto è stato colmato da milizie locali, clan armati e bande criminali che si contendono il controllo non solo del territorio, ma delle risorse primarie: cibo, medicine, acqua, corrente.

In molti casi, queste bande operano con dinamiche mafiose: chi detiene un’arma gestisce la distribuzione, chi si oppone viene escluso o punito.

Nel mezzo di questo sistema ci sono le famiglie palestinesi.

Non sono solo vittime passive, ma strumenti nelle mani delle milizie.

Vengono utilizzate come scudi umani, collocate vicino a depositi di armi o postazioni militari clandestine;.

Sono strattonate da una parte e dall’altra, con la promessa di ricevere aiuti solo in cambio di fedeltà o silenzio; sono sacrificate consapevolmente per generare immagini mediatiche utili alla narrativa anti-israeliana, mentre la responsabilità diretta della loro condizione viene cinicamente scaricata su altri.

Questa non è una semplice crisi umanitaria: è una crisi morale orchestrata da chi governa senza responsabilità, da chi combatte senza uniforme e usa la sofferenza civile come arma di propaganda.

Cucine comuni a Gaza

Israele, unico attore statale riconosciuto nel conflitto, non combatte un esercito regolare, né ha un interlocutore affidabile con cui negoziare tregue o transizioni.

L’assenza di uno Stato palestinese riconosciuto a Gaza e il comportamento sistematicamente illegale di Hamas costringono Israele a operare in un contesto dove ogni azione militare ha un impatto civile che Hamas ha previsto, desiderato e preparato.

Il risultato è un paradosso tragico: Israele è accusato delle conseguenze di una guerra asimmetrica, mentre Hamas beneficia delle sue stesse violazioni, trasformando ogni vittima civile in un’arma retorica.

In questo contesto, il cibo diventa un’arma.

Convogli umanitari intercettati, magazzini assaltati, razioni distribuite secondo criteri clientelari: chi controlla la farina, controlla le vite. Le famiglie palestinesi, nel tentativo di sopravvivere, finiscono per dipendere da gruppi armati che non rispondono a nessuno.

E mentre il mondo discute di percentuali, colpe e tregue, la fame viene usata come strumento di potere, la sofferenza come leva negoziale, e la verità come oggetto manipolabile.

La situazione a Gaza non è solo drammatica. È una sconfitta dell’etica e della politica, resa possibile da chi governa senza pietà e da chi è costretto a combattere in un ambiente in cui ogni regola viene distorta.

Finché la comunità internazionale continuerà a ignorare la responsabilità diretta di Hamas nella distruzione del proprio popolo, e finché la narrazione sarà costruita su immagini e non su fatti, Gaza resterà un luogo dove il dolore è programmato, e dove la fame è l’ultima arma di una guerra sporca.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna in alto