Codice rosso: un compendio racchiude tutte le normative nazionali e internazionali in tema di violenza di genere ai danni delle donne

Di Benedetta La Corte

ROMA. Su iniziativa della senatrice Valeria Valente, a Palazzo Giustiniani, a Roma, è stato presentato, nei giorni scorsi, il volume: “Il Nuovo codice rosso. Il contrasto alla violenza di genere e ai danni delle donne nel diritto sovranazionale e interno”.

Scritto da Paola Di Nicola Travaglini, Consigliera della Cassazione e Francesco Menditto, Procuratore Capo della Repubblica di Tivoli.

La senatrice Valente, componente della Commissione d’Inchiesta sul Femminicidio, lo ha definito un “compendio preziossisimo, coraggioso e sfidante”, che spera possa essere utilizzato come testo formativo nelle scuole, per gli operatori della giustizia, e non solo.

 

La senatrice Valeria Valente e Francesco Menditto, Procuratore capo della Repubblica di Tivoli

Nel diritto internazionale, la violenza degli uomini contro le donne è un crimine contro l’umanità, per cui sarebbe necessario “interpretare le norme alla luce delle Carte e delle Convenzioni internazionali in modo da dare risposte più operative negli istituti di cui già disponiamo. In sostanza,  le norme internazionali sono direttamente applicabili al nostro Stato, per esempio attraverso l’ Art.10 e l’ Art 117″, ha ribadito la senatrice.

La quale, poi, ha fatto l’esempio della legge 53/2022, citata nel volume, d’iniziativa della deputata Martina Semenzato, presidente della Commissione d’inchiesta sui femminicidi e sulla violenza di genere,  di concerto con la senatrice Valeria Valente ed altri parlamentari componenti della Commissione, approvata dal Parlamento “ma che necessita ancora di decreti attuativi”, ha aggiunto Valeria Valente.

Questa normativa rientra nel quadro della Convenzione di Istanbul (2011), primo strumento giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.

Con questa legge viene riconosciuta la violenza delle donne come forma di discriminazione e violazione dei diritti umani.

Inoltre, l’art. 2 della stessa legge prevede che gli istituti statistici,  ISTAT e SISTAN, realizzino indagini specifiche sui centri anti violenza e sulle case rifugio, e  forniscano, a cadenza triennale, dati relativi ai diversi tipi di violenza contro le donne (fisica, sessuale, psicologica, economica).

Sempre allo stesso articolo, tutti gli uffici, enti, organismi, soggetti pubblici e privati devono fornire un’informazione statistica uniforme in modo da essere patrimonio a disposizione.

Nel corso dell’intervento si è anche discusso della rieducazione dell’uomo maltrattante perché la violenza maschile “é l’espressione di un sistema sociale e culturale drammaticamente ancora intriso da stereotipi e pregiudizi difficile da superare”.

Anche il Procuratore capo della Repubblica di Tivoli, Francesco Menditto, ha posto l’accento sulla problematica dei pregiudizi e gli stereotipi che riguardano tutti, Polizia giudiziaria e giudici.

“Il grosso problema di questo settore – ha sostenuto Menditto – è poiché siamo pieni di pregiudizi e stereotipi, io prima lo ero, e lo sono ancora oggi, c’è spesso un’inversione dell’ordine dei fattori e il risultato cambia.

Ho fatto uno studio nella mia Procura, insieme alla mia squadra. Abbiamo verificato 200 procedimenti civili. Ci si costituisce parte civile sempre perchè la vittimizzazione secondaria avviene soprattutto nel civile più che nel penale. Abbiamo notato le querele e le denunce presentate dalle donne quando avevano un procedimento civile in corso e abbiamo visto quale è stato il loro esito. Il 55%di essi  aveva superato il vaglio dell’esercizio dell’azione penale e il 45% era stato  archiviato. E’ esattamente la percentuale corrispondente anche quando non c’era il procedimento civile.

Abbiamo anche controllato le querele e le denunce presentate dagli uomini quando anche loro avevano un procedimento civile in corso. Nel 91% dei casi il giudice aveva archiviato. Quindi se dovessimo ragionare secondo la strumentalità dovremmo dire che sono gli uomini che presentano denunce strumentali. Ma non lo diciamo assolutamente. Il senso è quello di evitare le inversione dell’ordine dei fattori”.

“I Pubblici ministeri – ha proseguito il Procuratore capo di Tivoli – sono pochi. Mentre i componenti della Polizia giudiziaria sono tanti. Alla Polizia giudiziaria abbiamo detto di porre le domande come vuole la Procura della Repubblica, perchè noi applichiamo le norme. Abbiamo chiesto di farci la fotografia di quello che è accaduto. Abbiamo, inoltre, detto loro di porre le domande esattamente nel modo che vogliamo noi, affinché il materiale che arriva al Pubblico ministero sia leggibile e corrisponda a quello che vogliamo sentire noi”.

“Ogni volta che il legislatore interviene in questo settore – ha aggiunto – è una tirata di orecchie alla magistratura. Questo  vuol dire che la magistratura non ha fatto bene il proprio lavoro. Se scrivono nella norma che i Pubblici ministeri entro 30 giorni debbono decidere se applicare o meno una misura cautelare, se entro i 3 giorni si deve sentire una persona offesa è perchè evidentemente non siamo stati così bravi a fare il nostro lavoro e garantire una  tutela alle persone offese”.

Menditto ha concluso evidenziando che non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il proprio nome “perchè per esempio quando oggi si dice la violenza maschile contro le donne a me fa male perchè io sono un uomo, è un linguaggio che mi colpisce, però è un linguaggio che corrisponde alla realtà, e non dobbiamo avere paura di usare le parole anche di questo tipo”.

 

 

Paola Di Nicola Travaglini, consigliera della Cassazione

 

Nel suo intervento Paola Di Nicola Travaglini, Consigliera della Cassazione ha detto : “Ho avuto sempre un’ insofferenza per le donne che denunciavano. Ho avuto e percepito sempre una forte rabbia su quel ritornare su quella decisione, sull’avere fatto investire così tante energie alle Istituzioni per perseguire determinati reati e poi trovarsi davanti ad una donna che chiede di ritrattare e di volere concludere, di voler finire quel processo, perché ama quell’uomo ed è ritornata da lui”.

“L’ho vissuto su di me il pregiudizio profondo perchè nessuno me lo aveva insegnato nelle aule universitarie – ha aggiunto -. Nessuno mi aveva insegnato cosa fosse la violenza contro le donne, cosa la violenza domestica, quali sono i parametri entro la quale avvengono e si creano determinate dinamiche. Dopodiché,  ho lavorato sul campo con l’avvocatura competente, quella dei Centri antiviolenza, l’avvocatura che difendeva gli autori e le vittime e lì mi veniva rappresentata l’esigenza di spiegare questi delitti tramite una parola, che io non sono riuscita per anni a decriptare, ossia la parola discriminazione.  Io mi sono accorta nell’aula di giustizia, sulla pelle degli uomini e delle donne che ho giudicato, di non avere gli strumenti culturali, perchè quelli giuridici  li abbiamo, e non avendoli non riuscivo a decriptare cosa fosse la discriminazione.

Quello che ho imparato sulla discriminazione l’ho imparato dalla Commissione sul femminicidio,  studiando più di 200 casi.

Quell’insofferenza che io provavo nasceva dalla sfiducia totale nelle Istituzioni, dalla omertà nel contesto familiare, nasceva dalla mancanza di solidarietà familiare affettiva e del contesto lavorativo, dal terrore che gli assistenti sociali scrivessero una relazione negativa tanto da far si che i bambini venissero affidati o ai Comuni o in alcuni casi ai padri maltrattanti”.

La copertina del libro

 

Per leggere un estratto del volume:

http://ESTRATTO_https-//www.unitelmasapienza.it/news/il-nuovo-codice-rosso-il-contrasto-alla-violenza-di-genere-e-ai-danni-delle-donne-nel-diritto-sovranazionale-interno/.pdf

 

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