Di Danilo Giordano
Barcellona. Il 1 ottobre del 2017 sarà una data che resterà scolpita negli annali della Storia. Sarà il giorno in cui la Catalogna ha cercato e, chissà, “trovato” la tanto agognata indipendenza dalla Spagna. Per molti di coloro che hanno vissuto questo evento di portata storica rilevante, rimarranno indelebili le scene di caos generalizzato che si sono viste in tutta la regione. Fino alla mattina stessa non si sapeva se si sarebbe votato, chi avrebbe potuto votare, dove e con quali modalità.
Assodato il risultato, che dovrà comunque essere ufficializzato, adesso si pone il più classico degli interrogativi: Che fare?
Di sicuro, il risultato ottenuto dagli indipendentisti nelle consultazione referendaria di domenica scorsa non è così roseo come ci si aspettava: è vero che si parla di circa 700 mila schede sequestrate, ma anche aggiungendo quest’ultime la percentuale di votanti salirebbe di poco al di sopra del 50% degli aventi diritto. La legge approvata dal Parlamento catalano per l’indizione del referendum del 1 ottobre prevede che entro 48 ore dalla diffusione ufficiale dei voti, avvenga la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Parlamento Catalano. Il risultato “insoddisfacente” delle scelte fatte da entrambi gli schieramenti avrebbe dovuto condurli ad un riavvicinamento, ad un tentativo di dialogo, ma gli animi sono agitati ed ormai i due “treni” corrono in direzioni opposte e contrarie, pronti ad un altro scontro.
L’atteggiamento duro del Governo centrale potrebbe continuare, attraverso la richiesta di attivazione dell’articolo 55 della Costituzione spagnola che prevede la possibilità per il Governo di imporre le proprie decisioni sulla comunità autonoma per ristabilire l’ordine.
In questi giorni il premier Mariano Rajoy ha incontrato Albert Rivera, leader del partito alleato Ciudadanos, e Pedro Sanchez, leader del PSOE, che sostiene indirettamente il Partido Popular astenendosi nelle votazioni, al fine di trovare un accordo politico.
Finalmente, martedì sera Felipe VI ha rotto il silenzio nel quale si era chiuso dal 28 settembre: il discorso alla Nazione non ha lasciato alcuno spiraglio alla mediazione ed è stato molto duro nei confronti degli indipendentisti, tacciati di irresponsabilità e slealtà.
Si sono fatti sentire, soltanto a scrutinio avvenuto, anche i vari leader europei, affrettatisi ad assumere una posizione “di mezzo”, sottolineando l’illegittimità del voto e condannando, allo stesso tempo, l’eccessiva durezza delle Forze di Polizia.
Il Re – ha detto ieri sera nel suo discorso in TV il leader indipendentista, Puigdemont – doveva rispettare tutti i catalani ha invece deciso solo di sostenere le tesi di Madrid ma ha deluso tante persone che spesso sono state al suo fianco”.
Mentre, Mariano Rajoy ha fatto sapere di aver respinto la proposta di promuovere un tavolo di mediazione sulla crisi catalana avanzata dal segretario di Podemos, Per arrivare all’accordo, Puigdemont deve prima rinunciare ad una dichiarazione di indipendenza dopo il referendum di domenica scorsa.
Da parte sua la CUP (il partito della sinistra indipendentista catalana) ha fatto sapere che alla plenaria del Parlament di Barcellona lunedì prossimo, si “proclamerà l’indipendenza e la Repubblica catalana”.
Oltre allo scontro politico si registra anche quello sulla sicurezza. Josep Lluis Trapero, il capo dei Mossos d’Esquadra, la Polizia catalana, è stato convocato in tribunale con l’accusa di sedizione per non essere intervenuto per controllare, nei giorni scorsi, una manifestazione di fronte al Dipartimento dell’economia a Barcellona. Trapero rischia tra i quattro e gli otto anni di carcere.
“Spaventoso e un errore da tutti i punti di vista”, e “per come le cose si stanno mettendo adesso, la questione è repubblica o repubblica”, ha detto il portavoce del governo regionale catalano di Carles Puigdemont, Jordi Turull, alla tv TV3, riferendosi all’intervento di Re Felipe VI che ha accusato la Catalogna di “slealtà inaccettabile”.
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