Kosovo: Mitrovica e il ponte sul fiume Ibar. Simbolo di divisione, campo di battaglia simbolica

Di Giulia Botta

MITROVICA (KOSOVO). In ogni tipo di confronto, sia esso militare o no, si combatte anche una battaglia meno visibile, quella per il controllo del suo significato, attraverso specifiche narrazioni.

I simboli ad esso collegati – monumenti, luoghi religiosi, toponimi – non sono solo ornamenti ideologici, ma diventano armi narrative con cui gli stati costruiscono consenso, mobilitano le masse, cercando di affermare la propria visione del mondo.

Analogamente, la rivendicazione di un monastero medievale o il controllo simbolico di un ponte urbano, può avere un peso politico maggiore di una vittoria sul terreno, diventano fondamenti della narrazione identitaria.

La politica dei simboli diventa così una forma di guerra culturale, una battaglia cognitiva per influenzare ciò che le persone pensano.

Chi controlla tali simboli o li commemora, rivendica non solo il territorio, ma anche un’eredità storica e superiorità morale: chi ha diritto di ricordare, ha anche il diritto di appartenere.

Gli Stati costruiscono la propria narrazione, proprio su questi elementi, che sono elevati a  vessilli ideologici, e strumentalizzati come prove storiche tali da influenzare la coscienza collettiva.

Carabinieri della Msu pattugliano a Mitrovica il ponte Austerlitz che divide la parte kosovara da quella serba

Nel confronto tra Serbia e Kosovo, ogni pietra, nome e monumento può diventare un motivo di confronto, che si fonda su narrazioni identitariefacendo del territorio stesso un simbolo vivente. Per la Serbia, il Kosovo è la culla della nazione, sede spirituale, culturale e storica della sua identità.

Per i kosovari albanesi, è la terra abitata e rivendicata, memoria di sofferenze, oppressioni e autodeterminazione negata. In questa disputa, i simboli non solo rappresentano le due identità, essi le costruiscono e le rendono reali.

A Mitrovica, il fiume Ibar non unisce ma separa.

Il ponte principale di Mitrovica, che attraversa il fiume Ibar, è tra i simboli più forti della divisione etnica tra serbi (a nord) e albanesi (a sud). Dopo la guerra del Kosovo (1999), Mitrovica è rimasta una città spaccata: il nord sotto influenza serba, il sud sotto controllo kosovaro.

Dal 1999, il ponte è sotto controllo della missione NATO, KFOR, è chiuso al traffico veicolare ordinario, ma aperto ai pedoni. Il ponte è stato teatro di ripetuti scontri e proteste, in particolare nei primi anni 2000 e nel 2011, con la costruzione di barricate da parte della comunità serba.

Murales serbo a Mitrovica Nord

Nel giugno scorso, il primo ministro kosovaro ad interim Albin Kurti ha posto la prima pietra di un nuovo progetto infrastrutturale, che prevede la costruzione di due nuovi ponti a Mitrovica.

Il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti

 

Gli obiettivi dichiarati, sono di alleggerire la pressione sul ponte centrale e creare alternative al traffico bloccato.

L’intento è di favorire l’integrazione economica e la mobilità, ma anche, indirettamente, ridurre la centralità simbolica del vecchio ponte come unico punto di connessione.

Il primo ministro Kurti ha difeso pubblicamente la legittimità e la visione del progetto. presentandolo come un gesto di normalizzazione, un passo verso l’integrazione e l’autorità statale.

La comunità serba, da parte sua, teme che i ponti servano a consolidare la presenza kosovara nella zona Nord, piuttosto che favorire la coesistenza.

I rappresentanti politici serbi considerano il progetto come una mossa unilaterale con forti implicazioni simboliche e politiche, potenzialmente destabilizzante e divisiva.

Il ponte sull’Ibar è molto più che un’infrastruttura: è confine, monumento e arma narrativa.

La sua storia intreccia memoria del conflitto passato, strategie di divisione e tentativi di riconciliazione.

Anche un’infrastruttura apparentemente neutrale come un ponte, può diventare un simbolo di sovranità contesa.

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