Roma. Pubblichiamo integralmente l’informativa del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, oggi al Senato sulla conclusione della missione in Afghanistan.
***
Presidente Casellati, Onorevoli Senatori,
desidero, in primo luogo, ringraziare quest’Assemblea per l’opportunità di poter illustrare, mentre è in corso il completamento del rientro in Patria del nostro contingente, le circostanze che ci hanno portato alla conclusione della missione in Afghanistan, il più importante impegno militare delle nostre Forze Armate fuori dai confini nazionali dalla seconda guerra mondiale.
Lo scorso 8 giugno mi sono recato ad Herat per l’ultimo ammaina bandiera del nostro contingente.
Un momento toccante e straordinario con cui si è chiuso un capitolo significativo della nostra storia.
Oggi le nostre Forze Armate sono ormai prossime alla conclusione di un imponente sforzo logistico e operativo condotto con puntualità e sicurezza; un’altra eccezionale dimostrazione di professionalità da parte dei nostri militari, ai quali va il più sentito ringraziamento mio e del Governo, per la serietà ed efficacia con cui, quotidianamente, svolgono il proprio ruolo per la sicurezza sia nei teatri operativi che sul territorio nazionale.
Non è semplice condensare 20 anni di sforzo nazionale in alcune decine di minuti di intervento, così come è parimenti arduo dare la meritata visibilità alla dedizione e allo spirito di sacrificio che hanno animato l’agire dei nostri oltre 50 mila uomini e donne in divisa che si sono avvicendati in questi lunghi anni, affiancati dal personale del Ministero degli Affari Esteri e di molte Organizzazioni non governative, e che hanno contribuito a dare il massimo lustro al nostro Paese.
Di fronte a voi, e certo di interpretare i vostri sentimenti, voglio ricordare con gratitudine i 723 feriti e con profonda commozione le 53 vittime italiane che hanno perso la vita al servizio della Repubblica e per portare stabilizzazione e pace in Afghanistan.
L’estremo sacrificio di chi oggi non è più tra noi non deve essere vano e sarà alla base delle iniziative che continueremo a portare avanti per non disperdere i risultati ottenuti. Il loro ricordo sarà indelebile, certamente nel cuore delle loro famiglie cui va il mio pensiero più affettuoso, ma anche, sono certo, per l’intera comunità nazionale.
***
La decisione sulla conclusione di Resolute Support è stata assunta dal Consiglio Atlantico, come largamente pubblicizzato, lo scorso 15 aprile su proposta di Washington, in applicazione degli accordi tra l’amministrazione USA ed il movimento talebano, sottoscritti a Doha nel febbraio del 2020.
E’ stata una decisione non facile, arrivata al termine di un periodo di profonda riflessione nell’ambito dell’Alleanza sul futuro della missione, durante il quale ho spesso ribadito, nell’ambito delle riunioni ministeriali, la necessità di essere aderenti al principio “in together, adjust together, out together,”, (“siamo arrivati insieme, ci siamo adattati insieme, concludiamo insieme”).
Un principio che ha caratterizzato l’intera permanenza della NATO in Afghanistan.
Abbiamo perciò avviato il rientro dal Paese asiatico, dove le forze Alleate operavano fin dal 2001, all’indomani dell’11 settembre, quando l’attacco terroristico alle Torri Gemelle sconvolse il mondo, cambiando radicalmente il paradigma della sicurezza collettiva.
Non è un caso che ciascuno di noi ricordi esattamente dov’era e che cosa stava facendo quel giorno, sentendo chiara la percezione che il mondo non sarebbe stato più come prima.
Gli Stati Uniti invocarono, per la prima volta nella storia della NATO, l’articolo 5 del Trattato nord-atlantico, chiamando gli Alleati ad una assunzione di responsabilità, a cui l’Italia non si sottrasse, confermando la scelta di essere “produttori di sicurezza” e non solo “fruitori”, e risultando, a seguito di una decisione condivisa del Parlamento, tra i primi Paesi a fornire un contributo concreto nella lotta al terrorismo globale.
Per dare la giusta collocazione ad un impegno durato un ventennio, occorre ricordare che lo sforzo della Comunità internazionale non si è concretizzato unicamente in un susseguirsi di attività militari, di cui RSM ha rappresentato l’ultimo capitolo.
In questi 20 anni, infatti, l’intervento in Afghanistan è stato essenziale per la ricostruzione del tessuto democratico ed istituzionale del Paese, che dal 2004 ha una nuova Costituzione, e per ripristinare e rafforzare quei diritti civili che il Regime Talebano aveva violentemente soppresso, in particolare nei confronti delle donne.
La dimensione militare, particolarmente estesa e per certi versi prevalente in termini di narrazione, è stata comunque una delle direttrici fondamentali dello sforzo internazionale. In particolare – soprattutto negli ultimi anni – per la costruzione in Afghanistan di un apparato di sicurezza nazionale in grado di garantire la stabilità e il controllo di tutto il territorio, attività che hanno visto l’Italia ricoprire un ruolo da protagonista.
Altro settore fondamentale, a cui la componente militare ha garantito l’essenziale cornice di sicurezza, ha visto profondere oltre 76 miliardi di dollari di aiuti internazionali , in attività di State building, con l’obiettivo di garantire lo sviluppo economico e la disponibilità di servizi sociali a favore della popolazione.
***
Il coinvolgimento del nostro Paese nelle operazioni militari volte alla stabilizzazione dell’Afghanistan è iniziato il 7 ottobre del 2001.
Con l’avvio da parte degli Stati Uniti dell’operazione Enduring Freedom iniziava, infatti, un impegno che ci ha visto significativamente presenti, in piena coerenza con il sostanziale, generoso e solidale contributo che l’Italia da sempre garantisce a favore della sicurezza internazionale.
Nel 2005, ISAF, la missione che subentrò ad Enduring Freedom, affidò all’Italia il ruolo di lead nation nella provincia occidentale del Paese, nel quadro dell’espansione della missione; ciò includeva anche la responsabilità di farsi carico della gestione del PRT (Provincial Reconstruction Team) ubicato ad Herat. L’esperienza del PRT, definitivamente conclusasi nel 2014, ha messo in luce la proficua cooperazione tra la componente civile del Ministero degli Affari Esteri e quella militare della Difesa.
Una sinergia che ha permesso in nove lunghi anni di realizzare un numero considerevole di interventi di cui ha beneficiato la popolazione afgana, soprattutto quella delle zone più rurali del Paese.
Giusto per dare una connotazione concreta a questo impegno, ritengo doveroso evidenziare che durante il periodo in cui l’Italia ha avuto la responsabilità della Provincia di Herat, il nostro personale ha portato a termini progetti di cooperazione civile-militare per un corrispettivo di oltre 46 milioni di euro, che hanno incluso la costruzione di 82 scuole, di 37 strutture medico-ospedaliere, di 784 pozzi, la realizzazione di più di 100 km di strade e di oltre 30 infrastrutture per le forze di sicurezza e le varie istituzioni afgane.
Tutte opere rilevanti che rappresentano un risultato che testimonia appieno e conferma ulteriormente gli importanti obiettivi conseguiti dal nostro Paese in Afghanistan, soprattutto nel fornire risposte concrete agli effettivi bisogni della popolazione, adottando sempre il riconoscimento e la promozione delle priorità di quelle comunità.
Insegnamenti di cui abbiamo fatto tesoro e che oggi contraddistinguono il nostro operare coeso in tante aree di crisi ove la Difesa è fortemente impegnata, come ad esempio l’Iraq e il Sahel.
Dal 1 gennaio 2015 la NATO ha lanciato la missione Resolute Support (RS) che si avvia appunto alla conclusione.
Un’operazione “non-combat”, incentrata sull’addestramento, la consulenza e l’assistenza alle forze di sicurezza afghane.
La cornice giuridica della missione venne fornita dallo Status of Forces Agreement (SOFA) firmato a Kabul il 30 settembre 2014 e successivamente ratificato dal Parlamento afgano il 27 novembre dello stesso anno.
Questo accordo definì, in piena intesa con le istituzioni afgane, i limiti, i termini e le condizioni entro i quali le forze NATO erano autorizzate ad operare nel Paese, così come il mandato della missione e le attività da compiere.
La consistenza numerica delle truppe dispiegate in Afghanistan nell’ambito di questa missione si è attestata complessivamente attorno alle 9.600 unità, cui l’Italia ha contribuito con la presenza qualificata di oltre 900 militari e la responsabilità della provincia di Herat.
Nel corso dell’ultimo quinquennio i Contingenti nazionali alternatisi in Afghanistan hanno condotto attività di addestramento, consulenza e assistenza a favore della controparte afghana in diversi settori: oltre quello prettamente operativo, anche ambiti complementari come, ad esempio, la pianificazione finanziaria e la logistica.
Complessivamente sono state condotte oltre 53 mila attività; un numero che credo non necessiti di commenti. Tutte di elevatissimo livello, con l’addestramento, diretto o indiretto, di più di 20.000 militari afgani.
Rileva infine, relativamente al mandato del nostro contingente, la continuazione delle attività nella sfera della cooperazione civile-militare, volta al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, impegno che si è tradotto in 2.200 progetti per un valore di 12 milioni di euro, che portano il totale complessivo dal 2004 ad oggi, a circa 58 milioni di fondi nazionali impiegati a favore delle comunità afgane.
***
Tornando ora alla decisione presa a Bruxelles nell’aprile scorso, come ho detto, non è stata di certo facile.
L’Alleanza aveva ben chiaro che restare ci avrebbe quasi certamente portati ad una ritorno del confronto militare con i talebani, che già si predisponevano ad una ampia offensiva di primavera, di fatto portando a un deterioramento delle condizioni di sicurezza e snaturando la missione RS, dimensionata sugli obiettivi che erano stati condivisi con le istituzioni afghane, cioè addestramento e consulenza.
Questo è alla base della decisione dell’Alleanza, in linea peraltro con le aspettative degli accordi di Doha, che ho citato in precedenza, proprio per ridurre il rischio, comunque presente, di un aumento della violenza, ben consapevoli delle problematiche associate ad una attività di rientro.
Voglio condividere con voi la considerazione di quanto sia infatti complessa, in termini organizzativi e di pianificazione, anche una attività di ripiegamento come quella che stiamo conducendo, forse ancora di più dello stesso avvio di una missione.
E’ proprio per questo che oggi il mio impegno come Ministro della Difesa in è volto innanzitutto ad effettuare di concerto con gli Alleati il rientro ordinato e sicuro del nostro contingente in patria.
Posso affermare che le operazioni stanno procedendo, dal punto di vista militare, secondo i piani stabiliti, con il rientro del personale e l’afflusso dei materiali dall’Afghanistan verso i poli logistici – porti ed aeroporti – in vari Paesi della regione, per il successivo caricamento sui vettori navali ed aerei che effettueranno le tratte di ritorno verso l’Italia.
Ad oggi sono stati rimpatriati 280 nostri militari e sono già defluiti dal teatro operativo afgano più del 70% dei mezzi e dei materiali verso l’Italia. In questo contesto, in coordinamento con i Comandi afghani, è stata valutata anche l’opportunità di lasciare a disposizione delle forze armate e di sicurezza locali parte delle sistemazioni logistiche e dei materiali ritenuti utili da parte loro.
Uno sforzo significativo che il Comando Operativo di Vertice Interforze – COIDIFESA ha orchestrato e sta conducendo efficacemente e che si concluderà a breve, secondo la pianificazione.
Oltre ad essere impegnata nel rientro del contingente nazionale, la Difesa sta facendosi carico, parallelamente, anche di un’attività di trasporto umanitario del personale civile afgano che ha collaborato con le Forze italiane, denominata “Operazione Aquila”.
I nostri collaboratori, al termine delle operazioni di arrivo, accoglienza e di profilassi medica, con lo svolgimento della quarantena presso strutture civili e militari, saranno inseriti nel sistema di accoglienza e integrazione nazionale a cura del Ministero degli Interni.
Ad oggi il personale afgano, che ne ha fatto richiesta e che si è dimostrato in possesso di tutti i requisiti, consta di 228 tra collaboratori delle Forze Armate e loro familiari, di cui 224 sono già in Italia.
La definirei un’impresa nell’impresa, che ben rappresenta ancora una volta la nostra vicinanza e la nostra lealtà nei confronti del popolo afgano. Uno sforzo doveroso per tutelare l’incolumità dei tanti cittadini afgani che negli anni hanno assistito, a vari livelli, il nostro personale e che sono stati determinanti per la realizzazione dei risultati che ho precedentemente elencato. E’ questo un chiaro messaggio: chi lavora con l’Italia non viene abbandonato.
***
Mentre procedono le operazioni di conclusione della missione ci siamo posti, insieme agli Alleati, anche l’obiettivo di continuare a supportare le istituzioni repubblicane ed il popolo afgano, nelle forme e nelle modalità che saranno definite sia in ambito NATO che in una possibile dimensione bilaterale.
La recrudescenza di violenza che, come vi anticipavo, era prevedibile e in parte aspettata, sembra essere principalmente diretta ad esercitare pressione sulle forze di sicurezza afgane, in vista della ripresa dei colloqui di pace.
Questo non significa che l’attuale situazione sul terreno non sia per noi, così come per tutti gli Alleati, fonte di preoccupazione.
Il livello della violenza è aumentato e gli attacchi delle componenti militari ed oltranziste del Movimento Talebano hanno come loro obiettivi non solo, come detto, le forze di sicurezza afgane ed il controllo delle province, ma anche esponenti della società civile.
Non meno rilevante, inoltre, è la minaccia posta dal terrorismo jihadista e dalle sue diramazioni nel paese, su tutte ISIS-Khorasan, che continuano ad avere una forte capacità di richiamo sulle province più povere e che, in maniera insidiosa, hanno ripreso a condurre attività cinetiche.
In questo complesso contesto, le istituzioni repubblicane dell’Afghanistan sono quindi oggi chiamate a tutelare la democrazia e ad assicurare la tenuta stessa del Paese.
Istituzioni che certamente hanno beneficiato del supporto internazionale, che ne ha garantito una maggiore solidità.
Una sfida delicata che, in ogni caso, come avvenuto negli ultimi 20 anni e sebbene con modalità diverse, vedrà la NATO e gli altri partner internazionali impegnati a supporto delle forze di sicurezza afgane a cui sarà assicurato, in primis, il sostentamento economico e finanziario.
Ci si potrebbe chiedere in che forma l’Alleanza intenda proseguire il suo sforzo.
Una domanda legittima a fronte dell’impegno profuso fino ad oggi e dei sacrifici che anche il nostro Paese ha sostenuto in questo contesto, con un ruolo sicuramente da protagonista.
Nel corso della Ministeriale Esteri-Difesa, cui ho partecipato insieme al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e che ha sancito il termine di RSM, le nazioni hanno deciso che l’obiettivo dell’impegno NATO nel post-missione è quello di preservare al meglio quanto sino ad ora conseguito, continuando a contribuire allo sviluppo delle istituzione afgane di difesa e sicurezza affinché il Paese non diventi nuovamente un “paradiso sicuro” per il terrorismo.
Questo, anche per contrastare la “narrazione dell’abbandono” che darebbe unicamente forza alle posizioni estremiste.
Il nuovo concetto di supporto da parte della NATO prevede tre componenti:
- la costituzione dell’ Ufficio del Rappresentante Civile NATO, incarico ricoperto oggi da un nostro connazionale, l’Ambasciatore Pontecorvo;
- il sostegno alla funzionalità dell’ospedale e dell’aeroporto di Kabul, la cui sicurezza è prerequisito essenziale per mantenere la presenza della componente diplomatica;
- la formazione, intesa come addestramento e sviluppo capacitivo, “fuori dal paese” delle Forze afgane di difesa e sicurezza, con particolare attenzione alle forze speciali, che si sono dimostrate fondamentali per il contrasto ai Talebani ed alle formazioni terroristiche.
Ad oggi l’Alleanza, come da comunicato finale del recente Summit, a cui ha partecipato il Presidente del Consiglio, ha confermato di fatto la volontà di mantenere un impegno significativo, anche attraverso l’alimentazione dei trust fund destinati a supportare le Forze di sicurezza afghane, al momento fino al 2024.
Siamo perciò in una fase nuova, in cui tutti gli Alleati, anche se con diverse sfumature, stanno dando segnali convergenti circa la volontà di proseguire il loro impegno, con modalità coerenti con il nuovo scenario.
La Difesa italiana, insieme agli altri Dicasteri interessati, sta partecipando attivamente alle interlocuzioni in atto, allo scopo di individuare le forme migliori per un nostro ruolo attivo nel futuro impegno dell’Alleanza, capitalizzando la credibilità ottenuta in questi 20 anni.
Aggiungo inoltre che, nel corso dei miei frequenti contatti con i miei colleghi ministri della Difesa, sto verificando le rispettive posizioni nazionali per individuare possibili sinergie, soprattutto per quanto riguarda la formazione fuori dal Paese delle Forze afgane.
Nel frattempo, stiamo finalizzando l’Accordo quadro con il Ministero della difesa di Kabul, che si pone come strumento abilitante e quale imprescindibile base giuridica per avviare future attività sul piano bilaterale.
Non lasceremo, di conseguenza, alcuna progettualità intentata, per non disperdere i risultati ottenuti in 4 lustri di gravoso impegno, sia sul piano della sicurezza e dello sviluppo della forze locali che nel campo dei diritti umani, della parità di genere e delle libertà civili.
Tuttavia, oggi a fronte della cessazione della presenza militare internazionale nel Paese, è necessario che il focus dell’azione dei “Paesi framework NATO”, che hanno assunto le maggiori responsabilità dello sforzo alleato, continui sul piano politico-diplomatico e della cooperazione civile, con intensità e continuità necessarie per sostenere il governo repubblicano e la popolazione afgana.
Per questo fine, ritengo che la presenza delle rappresentanze diplomatiche internazionali nel Paese sia essenziale nello scenario post-RSM, anche per segnalare alle frange più radicali del Movimento talebano che la Comunità internazionale non intende accettare passivamente che le lancette dell’orologio vengano riportate indietro di un ventennio. In questo senso non verrà a mancare il supporto del Ministero della difesa per la tutela del personale diplomatico e delle nostre rappresentanze, come pure sarà valutato il possibile coinvolgimento per corroborare l’architettura di sicurezza della Capitale.
Ho voluto evidenziare gli elementi di criticità con cui la Comunità Internazionale e l’Afghanistan si devono confrontare, ma devo anche sottolineare alcuni elementi di significativa positività. Mi riferisco alle forze afgane, che dopo l’iniziale, comprensibile, senso di smarrimento sembrano ora aver interiorizzato la necessità di prendere in mano la loro sicurezza e di essere in grado di reggere l’urto.
Esse sono il risultato concreto del nostro sforzo, in particolare con RSM, il cui scopo era proprio quello di favorire una crescita di competenze e autonomia nei colleghi delle forze armate e di sicurezza afgane.
Si tratta oggi di 186 mila militari e di 121 mila appartenenti alle forze di sicurezza del Ministero dell’Interno, che sono stati, in larga parte, addestrati ed equipaggiati dalle forze NATO e che, già in questi momenti, stanno mettendo a frutto efficacemente ciò che hanno appreso.
E’ questo è sicuramente un risultato della nostra presenza in quel Paese, così come sono risultati concreti tutti i passi avanti fatti dal punto di vista sociale, in particolare per quanto riguarda i diritti civili, tra tutti quello all’istruzione e i diritti delle donne, che hanno acquisito ruoli rilevanti nella società afgana.
Proprio ieri, nell’ambito di un convegno sulla parità di genere nelle operazioni militari, organizzato dal nostro Comando Operativo Interforze, ho avuto modo di incontrare Maria Bashir, Procuratore Generale della provincia di Herat, una donna preparata ed autorevole che, come tutte le donne del Paese, nel periodo del governo talebano, era stata costretta a lasciare il suo lavoro e rinchiudersi in casa. Oggi, pur non senza rischi, svolge questo importantissimo ruolo nella società.
Questo mi porta a chiedermi, a chiederci, cosa sarebbe stato l’Afghanistan senza questi venti anni di presenza e di lavoro fianco a fianco con i governanti e la popolazione.
E quale sarebbe stato l’impatto sul quadro di sicurezza internazionale.
Il nostro lavoro è stato un importante per quel Paese e per la sua popolazione. E anche per la nostra sicurezza.
La decisione di concludere la missione non è un abbandono del campo: le missioni iniziano, si sviluppano, si adattano al mutamento degli scenari – e l’Afghanistan ne è stata una plastica dimostrazione -, si concludono o, meglio, come in questo caso, evolvono, individuando forme diverse di supporto.
E’ però essenziale che l’impegno della Comunità Internazionale ed il suo focus sull’Afghanistan non vengano mai meno e, oggi in particolare, si concentrino sulla necessità di riprendere i negoziati di pace intra-afgani. Infatti la soluzione negoziata del conflitto assieme alla continuazione del supporto alle forze di sicurezza, è l’unica via per un Paese realmente pacificato, che possa contare sulla stabilità delle sue istituzioni.
Ciò detto, mi preme ribadire che oggi il principale impegno, mio e di tutte le articolazioni del Dicastero, è quello del rientro, in piena sicurezza, del nostro personale, in un contesto particolarmente complesso e non privo di rischi.
Nell’avviarmi alla conclusione di questo mio intervento, ritengo doveroso evidenziare che le Forze Armate dopo questi lunghi 20 anni sono professionalmente cresciute grazie all’esperienza svolta in un contesto di elevata complessità come quello afgano.
Abbiamo migliorato le capacità di proiezione, di comando e controllo, la preparazione professionale, gli equipaggiamenti ed i mezzi, nel confronto con un ambiente operativo estremamente sfidante.
I militari italiani hanno operato con successo, bilanciando la nostra propensione alla vicinanza alla popolazione locale con la capacità di condurre, al fianco delle forze di sicurezza afgane, operazioni militari ad alta intensità.
Un lascito importante, che le Forze Armate sono state in grado di capitalizzare e di reimpiegare in maniera estremamente efficace in tutte le circostanze operative che le vedono impegnate oggi, nei numerosi teatri di crisi in cui l’Italia svolge un’apprezzata opera, al servizio della sicurezza e della stabilità internazionale.
Permettetemi, in conclusione, anche per questo, di esprimere ancora una volta la gratitudine delle nostre Istituzioni, nei confronti dei nostri militari, delle nostre donne e uomini in uniforme, per il prezioso lavoro che fanno e per come lo fanno, dovunque siano impegnati nel mondo a tutela della sicurezza internazionale.
Dimostrano costantemente, come è avvenuto nei 20 anni di nostra presenza in Afghanistan, di credere profondamente nel loro lavoro, per contribuire, anche a costo di importanti sacrifici, alla realizzazione di condizioni di vita migliori nelle terre in cui operano, spesso luoghi che purtroppo hanno visto tanta sofferenza.
L’Italia intera deve essere loro grata, perché tramite loro il Paese ha dimostrato, e continua a farlo, di essere sempre all’altezza delle sfide che siamo chiamati a fronteggiare.
Vi ringrazio per l’attenzione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA