Afghanistan: si vota il 28 settembre. Intanto la campagna elettorale si apre nel segno degli attentati. Colpito Amrullah Saleh, candidato alla vice presidenza con Ghani

Di Daniela Lombardi

Kabul. La campagna elettorale per le presidenziali di settembre si è aperta solo ieri, in Afghanistan, e già il sangue scorre per le strade di Kabul.

Almeno 20 persone sono morte e numerosi sono i feriti in un attentato avvenuto negli uffici del Partito di Amrullah Saleh, ex ministro dell’Interno e candidato alla vicepresidenza al fianco del Presidente uscente, Ashraf Ghani.

Amrullah Saleh

L’attacco è iniziato con una persona che si è fatta esplodere fuori dall’edificio, dopodiché altri sono entrati sparando a coloro che si trovavano all’interno.

Tra questi c’era anche lo stesso Saleh, che è stato ferito lievemente. Al momento non c’è stata nessuna rivendicazione, ma non è difficile capire che a qualcuno non abbia fatto piacere l’appoggio che Saleh ha deciso di dare a Ghani, uno dei candidati di punta di questa tornata elettorale.

L’ufficio di Amrullah Saleh colpito dall’attentato

Sono 18, in tutto, i candidati alle elezioni che si terranno il 28 settembre ma già la tensione è altissima, tanto che imponenti misure di sicurezza sono state dispiegate per proteggere i candidati. Il Governo ha mobilitato 900 poliziotti.

Come si diceva Ghani ci riprova, forte delle numerose opere e infrastrutture realizzate durante la sua presidenza grazie anche all’intermediazione con i finanziatori stranieri e nella speranza che tutti i suoi tentativi di mettere la parola fine agli scontri con i talebani vengano riconosciuti.

Un giovane bacia l’immagine del Presidente Ghani

Gran parte dei giovani afghani tifa per lui, ritenendolo in grado di continuare sulla strada della modernità, del riconoscimento dei diritti delle donne e della pace intrapresa in questi anni.

Molti gli riconoscono anche il merito di aver tentato di utilizzare il TAPI, gasdotto realizzato di recente, per offrire ai talebani un ruolo di lavoro e cura delle infrastrutture, piuttosto che di continua distruzione delle stesse.

Se Ghani gioca le sue carte, certo della vittoria si dichiara uno dei suoi principali avversari in questa competizione,

Un altro candidato alla Presidenza dell’Afghanistan, Abdullah Abdullah

Già nel 2009 e poi nel 2014, Abdullah si è candidato, uscendo però sempre secondo dalle urne. Nel 2009, si ritrovò a pari merito con Hamid Karzai ma poi, fra accuse di brogli e scontri di vario genere, a risultare vincente fu Karzai.

Nel 2014, anno in cui si candidò anche Ashraf Ghani, Abdullah ci riprovò, ma ad avere la meglio fu il suo rivale. Dopo mesi di trattative e con l’intermediazione degli USA, Ghani e Abdullah diedero vita al Governo di unità nazionale in cui il secondo ha assunto il ruolo di capo dell’Esecutivo.

La rivalità tra i due ha però avuto modo di manifestarsi in diverse circostanze e, oggi, Abdullah cerca di affrancarsi e prendersi la sua rivincita.

Su Rahmatullah Nabil punta una parte della società afghana. Nabil ha ricoperto il ruolo di capo della Direzione nazionale della sicurezza dal 2010 al 2012. Nel 2013 è stato nuovamente nominato direttore facente funzione.

Rahmatullah Nabil

L’apprezzamento per Nabil si basa sulla constatazione dei risultati apprezzabili ottenuti nel contrasto al terrorismo di matrice talebana e alla buona gestione di situazioni difficili venutesi a creare nell’ambito degli scontri armati.

Certamente il candidato più controverso di tutti è Gulbuddin Hekmatyar, fondatore e guida del Partito politico e gruppo paramilitare accusato più volte di terrorismo, denominato Hezb-i-Islami (Partito islamico).

Gulbuddin Hekmatyar

Hekmatyar è stato a lungo in esilio dal suo Paese, essendo ritenuto responsabile dello sfascio dell’Afghanistan dopo la partenza dei russi, negli anni ’90.

Ad indicare quanto possa essere amato dagli afghani, c’è il soprannome che questi gli hanno affibbiato per le sue gesta: “il macellaio di Kabul”.

Negli anni ’90, l’Afghanistan era lacerato dalla guerra civile. I sette gruppi jihadisti che cacciarono i sovietici fuori dal loro Paese erano coinvolti in lotte intestine per il bottino di guerra. Gulbuddin Hekmatyar, capo del partito Hizb-e-Islami, era una figura chiave della spirale di violenza.

I suoi militanti, arroccati sulle colline che si affacciano su Kabul, facevano partire fuoco a raffica dopo la serie ininterrotta di razzi che avevano abbattuto un terzo dei quartieri della città.

L’incubo creato da Hekmatyar spinse il Presidente Rabbani, nel 1993, a nominarlo primo ministro, nel tentativo di placarlo. Purtroppo, Hekmatyar continuò a tenere sotto assedio la città e, quando qualche riunione non soddisfaceva le sue aspettative, i suoi guerriglieri lanciavano razzi su Kabul.

L’assedio è andato avanti fino al 1996. Nel 2001, dopo l’arrivo degli americani, Hekmatyar si è nascosto e ha dato il via a una rivolta strisciante che è andata avanti per decenni.

Il 4 maggio 2017, Hekmatyar ha fatto “pace” col governo di Kabul. La strategia era quella di utilizzarlo come intermediario nei colloqui di pace coi talebani e Hekmatyar si è dichiarato disposto a lavorare per il processo di pacificazione.

Questo è stato forse un errore strategico di Ashraf Ghani: quando si riporta in casa un lupo che ha già sbranato, non si può prevedere cosa accadrà. Fatto sta che, oggi, Hekmatyar ha trovato il coraggio di presentarsi personalmente, senza prestanome, dopo aver capito di avere ancora tanti dei suoi seguaci a Kabul.

Una parte della società lo avversa con forza. Ma non bisogna dimenticare che questo controverso personaggio è stato tanti anni in esilio in Pakistan, quindi potrebbe avere appoggi esterni non da poco.

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