Di Maria Camilla T0ffetti
ROMA. Negli ultimi anni i flussi migratori provenienti dal Continente africano hanno subito una trasformazione profonda, tanto nei numeri quanto nelle dinamiche politiche e sociali che li accompagnano.
Se durante la pandemia di Covid-19 si era registrata quella che sembrava solo una temporanea contrazione dei movimenti, oggi i dati mostrano come l’Europa non rappresenti più la destinazione principale per i migranti africani.

Si assiste a un progressivo ridimensionamento delle partenze verso il Mediterraneo e, parallelamente, a una crescente regionalizzazione degli spostamenti, che vedono migliaia di persone muoversi all’interno dei confini del continente stesso.
Quali sono le cause?
È importante ricordare che, contrariamente alla percezione comune in Europa, la maggior parte dei movimenti migratori africani è sempre avvenuta all’interno del Continente.
Tuttavia il calo di partenze registrato negli ultimi anni trova spiegazione nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere, che consiste nello stipulare accordi con i Paesi africani per il controllo delle partenze.
Questi accordi, già operativi con la Mauritania e in via di negoziazione con il Senegal, si sommano a quelli con altri partner strategici come Marocco, Tunisia, Libia ed Egitto, e rappresentano oggi il principale strumento di gestione dei flussi migratori da parte degli Stati membri dell’Unione Europea.
A rafforzare queste strategie contribuisce anche Frontex, l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, che svolge un ruolo operativo di monitoraggio dei confini esterni, di supporto tecnico ai Paesi partner e di coordinamento delle missioni congiunte.
I sistemi di controllo messi in campo comprendono velivoli di sorveglianza per il pattugliamento aereo, sistemi satellitari per il monitoraggio delle rotte marittime, oltre a database biometrici come Eurodac, utili a registrare e identificare i migranti intercettati. Sul terreno, il controllo avviene anche attraverso checkpoint terrestri lungo le principali vie di attraversamento, operazioni navali congiunte nei tratti più critici del Mediterraneo.
Quali sono le rotte privilegiate?
Secondo i dati diffusi da Frontex, in questi mesi, la rotta del Mediterraneo centrale ha registrato circa 29.300 attraversamenti, pari a un aumento del 12% rispetto al 2024.

Sebbene i flussi complessivi risultino in diminuzione, essi tendono a concentrarsi lungo questa direttrice, che interessa un’ampia area geografica comprendente il Sahel, l’Africa occidentale e il Corno d’Africa.
Nonostante la Libia rientri tra i paesi con cui l’Europa, e in particolare l’Italia, hanno stipulato accordi per il contenimento dei flussi, spesso fortemente contestati, il Paese continua a rappresentare il punto di transito più poroso, con 20.800 arrivi soltanto nel primo semestre dell’anno.
Dall’Africa occidentale invece si registrano circa 11.300 arrivi.
Il fronte dell’Africa occidentale
Particolarmente significativa è la situazione nell’Africa occidentale, dove i governi locali stanno rafforzando le proprie capacità di controllo, spesso in stretta collaborazione con i partner europei.
In Senegal, ad esempio, è stata recentemente avviata l’Operazione “Karangué”, condotta in coordinamento con la Mauritania, con l’obiettivo di mettere in sicurezza i confini di Tambacounda attraverso pattugliamenti terrestri e fluviali congiunti.
Secondo il periodico Les Mensuel des Armées, l’operazione ha già portato all’arresto di sospetti e al sequestro di materiali illeciti.
A questo si aggiunge l’attività della Marina nazionale senegalese, che con l’operazione “Cayor” ha recentemente soccorso, il 19 agosto scorso, una piroga con 133 persone a bordo, successivamente trasferite alla Base navale Amiral Faye Gassama.
L’Africa orientale e la rotta verso il Golfo
Se il Mediterraneo resta il crocevia principale, non meno importante è la rotta che dall’Africa orientale conduce ai Paesi del Golfo, con destinazione privilegiata l’Arabia Saudita.
Negli ultimi anni, tuttavia, i flussi lungo questa direttrice hanno registrato una contrazione, in gran parte a causa dell’aggravarsi del conflitto yemenita e delle difficoltà logistiche incontrate dai migranti nell’attraversare il paese, vera e propria porta di accesso alla penisola araba.
L’aumento dei minori non accompagnati
Un aspetto particolarmente delicato riguarda i minori non accompagnati, la cui presenza tra i flussi migratori è in aumento.

Secondo l’UNICEF, nel primo quadrimestre di quest’anno, si è registrata una crescita significativa di arrivi di minori in Europa, segno di una vulnerabilità crescente e di dinamiche che spingono sempre più i nuclei famigliari a separarsi alla ricerca di prospettive di vita migliori.
Movimenti interni e nuove dinamiche
Anche l’African Center for Strategic Studies evidenzia come il calo delle partenze verso l’Europa sia ormai una tendenza consolidata: già nel 2024,
infatti, i numeri si erano dimezzati rispetto al 2023 (146 mila partenze contro 282 mila).
Questo mutamento, unito al rafforzamento dei controlli europei, ha spinto a una regionalizzazione dei movimenti, con una quota crescente di migranti e sfollati che rimangono all’interno del continente africano.
Le risposte dei governi africani a questo fenomeno non sono uniformi: mentre alcuni paesi adottano politiche restrittive in coordinamento con l’Europa, altri hanno scelto approcci opposti.
È il caso del Ghana, che sostiene la libera circolazione di persone e lavoratori prevista dall’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), , garantendo l’accesso senza visto a tutti i cittadini africani.
Conclusioni
I dati raccolti evidenziano un fenomeno migratorio in rapida trasformazione.
Se da un lato le politiche europee di esternalizzazione e gli accordi bilaterali hanno ridotto gli arrivi diretti in Europa, dall’altro hanno spostato il baricentro delle migrazioni all’interno del continente africano, accentuando le fragilità dei Paesi di transito.
La diminuzione degli ingressi in Europa non corrisponde quindi a una riduzione complessiva del fenomeno migratorio, ma a una sua ricollocazione geografica, accompagnata da una crescente dipendenza dai circuiti criminali che gli Stati africani devono affrontare (secondo le stime dell’UNHCR, i trafficanti gestiscono circa l’80% delle migrazioni irregolari).
Questo fenomeno aumenta la pressione sui paesi africani, chiamati a gestire un compito che supera le loro capacità economiche e di sicurezza.
Persistono dunque le cause strutturali della migrazione, (crisi politiche, colpi di Stato, repressioni e povertà), che continuano a spingere milioni di persone a cercare vie di fuga.
In prospettiva, l’Africa rischia di trovarsi al centro di un paradosso geopolitico: mentre l’Europa cerca di blindare i propri confini delegando la gestione dei flussi migratori ai paesi africani, questi ultimi affrontano crescenti pressioni interne.
Il fenomeno migratorio rischia così di trasformarsi da questione umanitaria a fattore di destabilizzazione regionale, con ripercussioni notevoli per i paesi africani: al contempo, la capacità europea di controllare i flussi dipende in misura crescente dalla cooperazione diplomatica con i paesi di origine e di transito, sottolineando come la sicurezza e la stabilità del continente europeo siano sempre più dipendenti e intrecciate alle dinamiche politiche africane.
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