ROMA (nostro servizio particolare). Continua in moltisssime Università italiane e straniere l‘Intifada studentesca contro la guerra tra Israele e Hamas, dove il Paese medio orientale è accusato di “genocidio” contro i palestinesi.
E a questo proposito arriva direttamente dagli Atenei degli Stati Uniti un opuscoletto dal chiaro titolo “L’Università, anche va distrutta”.
In 7 cartelle si spiega come “identificare chi sono i nemici in un mondo di genocidi”.
Dopo una lunga analisi che parte dal 17 aprile scorso quando la Polizia di New York ha arrestato oltre 100 manifestanti che avevano installato alla Columbia University un “Gaza Solidarity Encampment”.
“Questi accampamenti – si legge – hanno stimolato una rinascita di energia tra molti radicali che hanno cercato (e agito) punti di intervento nelle macchine della morte che rendono possibile questo specifico genocidio (così come il mondo del genocidio nel suo complesso)”.
E come porre fine a “questo mondo di genocidi”? Risposta con “la distruzione delle Università”.
Perchè “la funzione primaria dell’Università è quella di creare la prossima generazione della classe dirigente, di deputare i prossimi a gestire gli hedge fund, le trivelle petrolifere e i silos missilistici, riciclando al contempo il mito di una società meritocratica in cui chiunque ha la possibilità di puntare ad abbandonare la precarietà economica e andare incontro al benessere, semplicemente dedicandosi allo studio e al lavoro”.
L’estensore entra più nello specifico. “La ricerca condotta all’interno dei Dipartimenti STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica)- scrive – espande esplicitamente le capacità militaristiche e di sorveglianza dello Stato o che la prevalenza dei programmi di addestramento militare (ROTC negli USA) incoraggia gli studenti a diventare soldati semplici dell’impero. L’Università non è un’entità neutrale che è semplicemente mal guidata da “personaggi sbagliati” nell’amministrazione che portano a prendere “decisioni sbagliate” (come investire nel regime di apartheid di Israele)“.
Ma il capitoletto più importante di tutto lo scritto è la “strategia”e la “tattica” che viene proposta a tutti gli studenti universitari.
In una paginetta e mezza è stato scritto:
“Siamo qui per distruggere le istituzioni della nostra sofferenza. In questo senso, le nostre azioni devono essere volte a bloccare il funzionamento dell’Università, a interrompere la sua capacità di partecipare alla riproduzione del mondo che ci circonda, il mondo dei genocidi e delle macchine di morte di ogni tipo. Compiamo queste azioni non per ottenere un vantaggio (anche se lo faranno), ma perché desideriamo soffocare questa istituzione fino alla morte. Tutti gli edifici in cui si tengono lezioni, si svolgono compiti amministrativi, si conservano dati o si conducono ricerche sono punti di occupazione possibili. Stabilite barricate, espropriate materiali e infrastrutture per i vostri scopi. Lasciate che questi spazi di occupazione servano da aree di sosta per azioni più grandi e più audaci che verranno. L’infrastruttura della polizia del campus può essere attaccata, in modo proattivo, non solo come misura difensiva contro l’invasione della polizia negli accampamenti o nelle occupazioni. La miglior difesa è un buon attacco e, tenendo lontana la polizia, sarà più difficoltoso per loro intervenire nelle occupazioni per timore che crescano troppo. Le attrezzature e le risorse possono essere liberate e condivise con chi, al di fuori delle mura del campus, potrebbe averne bisogno”.
E come arrivare a questo? Utilizzando una stampante che “può essere un’arma nella guerra dell’informazione”.
Così come “ogni vernice può essere un’arma nella guerra per lo spazio pubblico”. Ed ancora: Ogni mattone può costruire una barricata o respingere un assalto della Polizia.
E non finisce qui anzi.
Ogni oggetto in possesso di un’Università “può essere rivolto contro di essa e contro il mondo che contribuisce a riprodurre. L’aspetto chiave di tutto questo è che l’Università è un bersaglio da distruggere (non da catturare) tanto quanto qualsiasi distretto, prigione, ufficio bancario o muro di confine. Dobbiamo diventare più capaci di riconoscere la totalità delle macchine di morte che ci circondano, diventare più agili nella nostra capacità di identificare i punti di intervento utili, diventare più audaci nella nostra volontà di colpire e, infine, diventare più affamati nel nostro desiderio di liberarci di questo mondo di morte”.
E ricordando quanto avvenne a Minneapolis il 26 maggio 2020 quando scoppiarono le proteste razziali dopo la morte dell’afroamericano George Floyd a seguito dell’arresto da parte della Polizia locale quando Derek Chauvin si inginocchò sul suo collo per 8 minuti e 46 secondi durante un arresto della sera precedente, uccidendolo (nel giugno 2021, Chauvin è stato condannato a 22 anni e mezzo di carcere con possibilità di libertà condizionata dopo 15 anni, per omicidio di secondo grado) il documento si conclude così: “Ho bisogno che quest’estate sia caratterizzata da un caldo così insopportabile che non c’è niente da fare se non bruciare. Spero che questa energia possa essere una scintilla per quel calore, e che le Università che la circondano possano essere l’innesco. Tutto passa, o tutto resta come prima. Perciò, mettetevi in marcia“.
Per qualcuno questo libretto potrebbe essere solo definito “materiale di propaganda”. Ma ricordiamo che un eroe dei movimenti quale il Che Guevara dava grande importanza alla propaganda nel suo “Guerrilla“, dove scriveva dell’uso della stampa, della radio come strumenti di diffusione delle azioni.
Il documento è senza dubbio importante per capire un po’ di quanto arriva dai movimenti studenteschi negli USA. E che effetto potrebbe avere nel nostro Paese.
Ricordiamo che i fatti del 1968 partitono proprio da oltre Oceano con tutte le conseguenze degli anni successivi. Una volta era in corso la guerra in Vietnam e oggi quella tra Hamas e Israele.
Nacquero in Italia le proteste operaie nelle fabbriche e in agricoltura che si saldarono con quelle dei giovani.
E’ vero che la Storia non si ripete sempre allo stesso modo ma i fatti sociali, politici , economici, culturali possono far sì che dai cassetti possano essere riprese vecchie idee, rispolverate e messe di nuovo in pratica con l’utilizzo di sistemi, anche tecnologici, moderni.
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