RIYADH. Un manager veterano dell’industria prende le redini di uno dei progetti più ambiziosi dell’Arabia Saudita: trasformare il Regno da acquirente a produttore di armamenti.
Thamer M. Al-Muhid, appena nominato amministratore delegato della Saudi Arabian Military Industries (SAMI), porta con sé 30 anni di esperienza ai vertici di imprese di primo piano.

Thamer M. Al-Muhid, nominato amministratore delegato della Saudi Arabian Military Industries (SAMI)
La sua nomina – effettiva dal 1° febbraio e ratificata dal Consiglio d’amministrazione presieduto dal Principe Khalid bin Salman – non è solo un avvicendamento aziendale, ma un segnale strategico del percorso saudita verso l’autonomia militare.
In pieno stile Vision 2030, Riad affida a un profilo manageriale di alto livello la guida della propria industria bellica nascente, con l’obiettivo di ridisegnare equilibri interni e proiezioni esterne.

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Un profilo industriale poliedrico
Al-Muhid non proviene dai ranghi militari né esclusivamente dal settore della Difesa, bensì dal mondo dell’industria diversificata.
Con oltre 30 anni di esperienza globale in posizioni dirigenziali, si è fatto conoscere per la capacità di guidare trasformazioni organizzative, promuovere l’eccellenza operativa ed espandere le attività su scala internazionale.
La sua carriera spazia da progetti di ricerca e sviluppo a operazioni di fusione e acquisizione, fino alla creazione di partnership internazionali strategiche, competenze che ora mette al servizio di SAMI.
Prima di approdare alla guida dell’industria militare saudita, Thamer Al-Muhid ha ricoperto incarichi di primo piano in alcuni colossi dell’economia nazionale.
È stato Group CEO e Managing Director di Saudi Chemical Company Holding (SCCH) – conglomerato attivo nei settori chimico e farmaceutico – dal 2020, dove ha supervisionato anche progetti chiave come l’avvio di un nuovo impianto per la produzione di nitrato di ammonio e acido nitrico a Ras Al Khair.
In precedenza aveva rivestito ruoli dirigenziali presso SABIC (gigante petrolchimico), Almarai (leader agroalimentare) e al Ministero del Commercio e dell’Industria, costruendo una reputazione di manager affidabile e innovativo.
Questa esperienza multisettoriale fa di lui un business veteran con una visione ampia, capace di trasferire pratiche d’eccellenza da settori civili a quello della difesa.
Significativamente, Al-Muhid ha anche servito come vicepresidente del consiglio della National Academy of Military Industries, istituzione mirata a formare talenti locali per l’industria militare.
Ciò indica una familiarità diretta con l’obiettivo di sviluppare capitale umano saudita nel campo della difesa, elemento cruciale per il successo di SAMI.
In breve, Thamer Al-Muhid incarna il profilo del manager trasversale: un ingegnere e dirigente che ha attraversato chimica, farmaceutica, agroindustria e amministrazione pubblica. Il settore di provenienza non è quindi quello militare tradizionale, bensì un insieme di industrie in cui ha coltivato competenze gestionali e strategiche ad ampio spettro. Questa scelta riflette la volontà di SAMI di puntare su capacità manageriali solide e visione innovativa, più che su un background militare puro, per condurre la nuova fase di crescita e consolidamento.
Visione strategica: innovazione, autonomia e partnership
La missione affidata ad Al-Muhid è tanto chiara quanto impegnativa: fare di SAMI il fulcro di una filiera bellica nazionale avanzata e competitiva. Secondo il comunicato ufficiale, il nuovo CEO dovrà sviluppare tecnologie d’avanguardia, produrre sistemi militari di livello mondiale e tessere partnership strategiche su scala globale.
Si tratta in sostanza di proseguire e accelerare la traiettoria già tracciata dalla leadership precedente, guidando SAMI in una *”nuova fase di crescita e innovazione”*.
Al-Muhid arriva infatti a sostituire Walid Abu Khaled, CEO uscente, con il compito di imprimere ulteriore slancio al raggiungimento degli obiettivi di Vision 2030 nel settore difesa.
Uno di questi traguardi, forse il più emblematico, è localizzare il 50% della spesa militare saudita entro il 2030, costruendo capacità produttive domestiche per metà degli approvvigionamenti bellici nazionali. È un obiettivo ambizioso: fino a pochi anni fa l’Arabia Saudita importava quasi tutto l’arsenale, ma a fine 2023 il tasso di “local content” militare era salito a circa 20% dal modesto 4% del 2018.
La strada per il 50% in soli cinque anni è ripida, richiedendo un’accelerazione quasi esponenziale della produzione locale. La sfida è quindi quella di portare SAMI da partner di progetti di assemblaggio o manutenzione, com’è stata finora in molti casi, a produttore e innovatore autonomo capace di competere sul mercato.
La visione strategica di Al-Muhid per SAMI probabilmente si articola su due assi principali. Da un lato, potenziamento interno: trasformazione organizzativa, efficientamento operativo, sviluppo di talenti sauditi e investimenti in ricerca.
Forte della sua esperienza in turnaround aziendali, il nuovo CEO potrebbe riorganizzare processi e risorse di SAMI per massimizzarne la produttività e l’impatto innovativo.
La sua familiarità con la R&S suggerisce attenzione nel coltivare centri di eccellenza tecnologica in patria, magari in collaborazione con università e istituti locali, per adattare e sviluppare tecnologie militari su misura delle esigenze saudite.
Dall’altro lato, apertura esterna: Al-Muhid è chiamato a espandere e approfondire le collaborazioni internazionali necessarie a colmare i gap tecnologici iniziali. La sua esperienza in partnership globali – maturata anche fuori dal settore Difesa – sarà messa alla prova nel negoziare joint venture, accordi di trasferimento tecnologico e co-sviluppi con i grandi attori mondiali dell’industria bellica.
Il comunicato di nomina sottolinea proprio la sua capacità di forgiare partnership internazionali chiave.
Tradotto in pratica, ciò significa perseguire accordi che portino know-how e capacità produttive in Arabia Saudita, in cambio di accesso al ricco mercato locale e alla finanza del Public Investment Fund (proprietario di SAMI).
Sotto la guida di Al-Muhid, SAMI continuerà a concentrarsi sull’avanzare tecnologie di punta e prodotti di alta qualità, senza rinunciare alla cooperazione globale. In altre parole, la visione è quella di un’autonomia strategica condivisa: costruire la sovranità industriale saudita non in isolamento, ma tramite alleanze che rendano Riad al contempo cliente e partner, e non più solo acquirente passivo.
Implicazioni geopolitiche di una nomina
La scelta di Thamer Al-Muhid alla guida di SAMI è carica di significati geopolitici. Innanzitutto, rappresenta la maturazione della strategia saudita di autonomia militare. Affidare l’industria bellica a un manager locale, di provata esperienza manageriale ma esterno alle gerarchie militari tradizionali, indica la volontà di normalizzare il settore difesa nell’economia nazionale. Non più un affare straordinario gestito con logiche separate, bensì un comparto industriale da far crescere con criteri di efficienza, redditività e innovazione comparabili a quelli di petrolchimico o agroalimentare. Ciò risponde in parte alla visione del principe ereditario Mohammed bin Salman: diversificare l’economia e ridurre le dipendenze critiche dall’estero, armi incluse.
Sul piano internazionale, l’ascesa di SAMI sotto una guida così profilata invia un messaggio chiaro: l’Arabia Saudita intende diventare produttore di armi, non solo consumatore. Per decenni il regno è stato uno dei maggiori importatori mondiali di armamenti, legando la propria sicurezza alle forniture di Stati Uniti ed Europa.
Questa dipendenza ha spesso rappresentato anche un vincolo politico: basti ricordare quando, dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018, la Germania bloccò tutte le esportazioni militari verso Riyadh, scatenando tensioni tra alleati occidentali. Episodi simili hanno fatto suonare un campanello d’allarme nel Paese saudita non poter disporre di equipaggiamenti e ricambi vitali a causa di decisioni altrui equivale a un tallone d’Achille strategico.
La spinta a costruire un’industria bellica nazionale risponde dunque anche al bisogno di sovranità politica: in futuro, meno dipendenza esterna potrebbe tradursi in maggiore libertà d’azione in politica estera e di difesa. La nomina di Al-Muhid – un uomo del business saudita – ribadisce questa direzione, segnalando che il progetto ha raggiunto una fase in cui può essere gestito da talenti locali, consolidando l’indipendenza decisionale rispetto ai partner stranieri.
Al tempo stesso, l’approccio di Al-Muhid non sarà autarchico: la geopolitica della sua SAMI sembra orientata alla multilateralità pragmatica. Se gli storici fornitori occidentali mostrano reticenze a trasferire tecnologie sensibili, la nuova dirigenza ha già dimostrato di saper guardare altrove. Negli ultimi tempi Riad ha stretto inedite alleanze militari-industriali ad Est e Sud.
Esemplare è l’accordo con la turca Baykar Technology, celebrato dall’ex CEO Walid Abu Khaled: prima l’acquisto di droni d’attacco Bayraktar Akinci e poi la produzione domestica degli stessi velivoli entro il 2026 negli stabilimenti sauditi. Ciò significa che un sistema d’arma avanzato verrà co-prodotto in Arabia Saudita con tecnologia straniera, segnando una svolta anche diplomatica: fino a pochi anni fa Ankara e Riad erano rivali regionali, ora collaborano sul fronte high-tech militare. Un partenariato del genere ha risvolti geopolitici rilevanti, cementando nuovi legami tra due potenze sunnite e ridisegnando le catene di fornitura nella regione al di fuori del tradizionale asse USA-Europa.
Analogamente, SAMI sotto la nuova gestione sta esplorando cooperazioni inedite come quella con il Brasile. A fine 2023 è stato siglato un memorandum con Embraer, colosso aerospaziale brasiliano, per sviluppare in Arabia Saudita capacità manutentive avanzate sugli aerei da trasporto C-390 Millennium e valutare l’assemblaggio finale di questi velivoli nel Regno.
Un tale accordo non solo supporta il piano Vision 2030 di rafforzare l’autosufficienza militare saudita, ma amplia anche il raggio geopolitico di Riad fino all’America Latina.
Coinvolgendo partner diversi – dalla NATO (Turchia) al BRICS (Brasile) – l’Arabia Saudita di Al-Muhid mostra di voler diversificare le fonti e creare reti di cooperazione internazionale molteplici. Ciò potrebbe aumentare il suo peso negoziale verso i fornitori tradizionali: se Washington o Londra esiteranno a condividere un certo know-how, Riad dimostra di poterlo ottenere da altrove, spezzando monopoli tecnologici e inserendosi in nuovi circuiti di alleanza.
Va detto che questa strategia multipolare nella difesa si inserisce in un più ampio riposizionamento geopolitico saudita: negli ultimi anni il Regno ha avviato un disgelo con l’Iran, si è riavvicinato alla Turchia, mantiene relazioni di investimento con la Cina e dialoga con la Russia, pur restando formalmente partner degli Stati Uniti.
L’industria militare può diventare un ulteriore strumento di soft power e influenza regionale: una volta sviluppate le proprie capacità, l’Arabia Saudita potrebbe offrirle a paesi amici, fornire armamenti ad alleati regionali o emergenti (diventando essa stessa esportatrice), accrescendo così il proprio ruolo di attore autonomo nello scacchiere medio-orientale. La nomina di un uomo come Al-Muhid suggerisce che Riad intende percorrere questa strada con approccio manageriale e visione di lungo termine, bilanciando ambizioni nazionali e partnership globali.
Cooperazione internazionale e priorità future
Sotto la guida di Al-Muhid, le priorità di cooperazione internazionale di SAMI probabilmente vedranno un ulteriore impulso. Il nuovo CEO dovrà coltivare le intese già in essere e aprire nuovi canali. In cima all’agenda c’è il consolidamento delle joint venture esistenti con partner occidentali per la produzione locale di sistemi d’arma. SAMI infatti collabora già con aziende statunitensi ed europee: ad esempio, ha divisioni con Lockheed Martin e Boeing per la manutenzione e produzione di parti di sistemi d’arma avanzati, e una joint venture navale con la spagnola Navantia per la costruzione di corvette multi-missione.
Al-Muhid dovrà garantire che questi trasferimenti di tecnologia proseguano efficacemente, assicurando standard qualitativi internazionali nei prodotti Made in KSA.
Inoltre, la cooperazione si estenderà verosimilmente al settore dell’elettronica e cyber-difesa, cruciale per l’auto-sufficienza: partnership con aziende leader in sistemi C4ISR (comando, controllo e comunicazioni) potrebbero essere nella lista, visto l’interesse saudita a sviluppare localmente sistemi radar, droni e piattaforme digitali militari.
Accanto ai partner tradizionali, Al-Muhid punterà sulle relazioni strategiche emergenti.
L’accordo con Baykar per i droni e con Embraer per il settore aeronautico indicano la volontà di espandere il network: potremmo vedere collaborazioni con la Corea del Sud (attiva nell’esportare tecnologie missilistiche e d’artiglieria), con il Sud Africa (per veicoli blindati o sistemi elettronici) o con Paesi scandinavi per sistemi avanzati. La logica è sempre la medesima: attrarre investimenti e know-how stranieri in cambio di accesso al mercato saudita e co-produzione.
Una priorità sarà anche massimizzare il coinvolgimento di aziende locali private in queste collaborazioni, creando un indotto nazionale. Ciò potrebbe significare spingere fornitori sauditi a stringere accordi di subfornitura con giganti esteri, in modo da far crescere una rete di PMI tecnologiche saudite integrata nelle catene globali.
Non va dimenticata poi la dimensione formativa e accademica della cooperazione internazionale. Per colmare il gap di competenze, SAMI sotto Al-Muhid potrebbe intensificare programmi con partner esteri per addestrare ingegneri e tecnici sauditi: scambi con università e centri di ricerca militari di altri Paesi, training on the job presso stabilimenti di aziende partner, e l’ulteriore sviluppo della già citata National Academy of Military Industries. Investire sul capitale umano è una necessità riconosciuta dallo stesso establishment: oggi circa il 71% dei dipendenti SAMI sono sauditi, ma servono migliaia di specialisti in più per sostenere la crescita attesa. Al-Muhid, che ha guidato aziende in settori ad alto contenuto tecnico, comprenderà l’importanza di formare una nuova generazione di progettisti, tecnologi e manager della difesa saudita, magari coinvolgendo paesi alleati in questo sforzo educativo.
Sfide e prospettive per Al-Muhid
Nonostante le credenziali di Al-Muhid e il forte sostegno politico di cui gode, le sfide che lo attendono sono imponenti.
Anzitutto, come già evidenziato, vi è la corsa contro il tempo per raggiungere gli obiettivi di localizzazione entro il 2030. Portare la produzione nazionale dal 20% al 50% in pochi anni richiede non solo investimenti massicci, ma il successo simultaneo di molte iniziative: apertura di nuovi stabilimenti, acquisizione di tecnologie chiave, crescita di fornitori locali, e integrazione efficiente di tutto ciò.
Ogni collo di bottiglia – tecnologico, finanziario o umano – rischia di rallentare il progresso. La traiettoria non sarà lineare, come ha ammesso lo stesso Walid Abu Khaled poco prima di lasciare il timone: dopo una fase iniziale di costruzione di capacità e formazione, i progressi dovrebbero seguire una curva esponenziale, ma l’obiettivo rimane arduo da raggiungere nei tempi previsti.
Spetterà ad Al-Muhid trovare il giusto equilibrio tra ambizione e realismo, magari ricalibrando le tappe intermedie senza perdere di vista il traguardo finale.
Un secondo ordine di sfide è di natura tecnologico-industriale. SAMI, pur avendo compiuto passi avanti (ha già realizzato, ad esempio, il primo sistema di gestione del combattimento sviluppato localmente), resta un neofita in un settore dominato da colossi centenari.
La competizione internazionale nel mercato degli armamenti è serrata: imporsi con prodotti sauditi richiederà eccellenza progettuale, certificazioni di qualità e affidabilità sul campo.
Al-Muhid dovrà assicurare che i prodotti usciti dalle linee saudite siano all’altezza degli standard globali – una sfida non solo tecnica ma anche culturale, di infondere un ethos di qualità totale in un’organizzazione ancora giovane.
Inoltre, mantenere profittabilità o almeno sostenibilità finanziaria sarà cruciale: sebbene SAMI goda del supporto del fondo sovrano PIF, nel lungo termine l’industria dovrà reggersi sulle proprie gambe, vendendo non solo alle forze armate nazionali ma possibilmente anche a clienti esteri. Aprirsi uno spazio nell’export però significa affrontare barriere politiche (autorizzazioni all’esportazione, relazioni diplomatiche da curare per non violare equilibri) e commerciali (concorrenza sul prezzo e sull’affidabilità).
Un ulteriore banco di prova sarà la gestione delle partnership internazionali. Se da un lato queste sono fondamentali, dall’altro vanno orchestrate con attenzione: condividere progetti con molteplici partner implica evitare sovrapposizioni, proteggere la proprietà intellettuale che man mano SAMI svilupperà, e navigare eventuali contrasti geopolitici tra i vari paesi fornitori.
Ad esempio, bilanciare rapporti con aziende statunitensi e al contempo con società di Paesi come la Cina o la Russia (qualora SAMI vi cercasse collaborazioni future) richiederà tatto per non finire coinvolti in rivalità altrui. Al-Muhid dovrà dotarsi di una solida diplomazia industriale, oltre che di capacità negoziali, per tenere insieme il mosaico internazionale che SAMI andrà componendo.
Da non sottovalutare infine è la sfida interna di governance: SAMI, fondata solo nel 2017, ha già visto avvicendarsi tre amministratori delegati in meno di otto anni.
Assicurare continuità di leadership e stabilità manageriale sarà fondamentale per dare credibilità al progetto. Al-Muhid dovrà probabilmente consolidare il team dirigente, trattenere i migliori talenti ed evitare dispersioni dettate da eventuali riorganizzazioni politiche.
La presenza del Principe Khalid bin Salman come presidente del board garantisce un patrocinio di alto livello, ma comporta anche aspettative elevatissime su risultati tangibili in tempi brevi.
Navigare queste pressioni politiche interne, tenendo informata e soddisfatta la leadership saudita dei progressi di SAMI, sarà parte integrante del ruolo di Al-Muhid.
Uno sguardo finale
L’arrivo di Thamer Al-Muhid alla guida di Saudi Arabian Military Industries segna un momento di svolta per l’industria della difesa saudita. Si affida a un uomo di industria la missione di tradurre in realtà l’ambizione di autosufficienza militare del Regno, in un contesto regionale e globale in rapida evoluzione. Il suo background poliedrico – dal chimico al farmaceutico, dall’agroalimentare alla pubblica amministrazione – potrebbe rivelarsi un vantaggio nell’affrontare una sfida che non è solo tecnica, ma anche manageriale e geopolitica.
Se Al-Muhid riuscirà a trasformare SAMI in un attore di primo piano, l’Arabia Saudita non solo avrà compiuto un passo decisivo verso l’indipendenza dalle forniture straniere, ma avrà guadagnato un nuovo strumento di influenza internazionale.
Un’industria bellica nazionale fiorente potrà dare a Riyadh maggiore voce nei tavoli diplomatici, permettendole di sostenere Paesi amici, partecipare a programmi multinazionali da pari a pari e persino contribuire alla sicurezza regionale con propri mezzi.
In caso contrario, se le difficoltà dovessero rallentare eccessivamente i progressi, il Regno rischierebbe di trovarsi a metà del guado: con ingenti investimenti fatti ma ancora dipendente dall’esterno, in una posizione di vulnerabilità tanto economica quanto strategica.
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