Arabia Saudita, le ambizioni missilistiche di Riyad. Prosegue l’escalation negli armamenti

Di Annalisa Triggiano

Riyad. I Sauditi sono davvero sul punto di produrre missili balistici? Le foto alimentano i sospetti:

Il sospetto che l’Arabia Saudita abbia costruito la sua prima fabbrica nota di missili balistici

Le immagini via satellite qui riprodotte e ancora inedite in Italia sembrano avallare il sospetto che l’Arabia Saudita abbia costruito la sua prima fabbrica nota di missili balistici secondo alcuni analisti di immagine ed esperti di armi che hanno esaminato la foto.

Se confermata, la notizia, battuta in questi ultimi giorni da molte Agenzie stampa statunitensi1, non sorprenderebbe chi, come la sottoscritta, ha più volte sottolineato che le ambizioni del Principe ereditario saudita sono, in materia di armamenti, più che smodate.

Se operativa, la sospetta base di Al Watah, a Sud Ovest di Riyad, permetterebbe ai Sauditi di produrre in proprio missili balistici, alimentando i timori di una gara al riarmo con i nemici dell’Iran.

Al momento, i Sauditi non dispongono ufficialmente di armi nucleari, così qualsiasi missile prodotto dovrebbe essere con molta probabilità armato in modo convenzionale. Ma una struttura di produzione missilistica diventerebbe facilmente un componente critico di qualsiasi programma di armi nucleari, dando ipoteticamente al Regno la capacità di produrre in proprio i sistemi di erogazione preferita per le testate nucleari.

Quanto alla possibilità che i Sauditi possano costruire missili a lungo raggio e procurarsi armi nucleari, non riteniamo sia possibile. Ma forse sottovalutiamo le loro capacità e la loro smania di potenza”, ha dichiarato alla stampa americana Jeffrey Lewis, esperto di armi nucleari al Middlebury Institute of International Studies di Monterey, che ha scoperto l’insediamento con il suo team a fine gennaio analizzando immagini via satellite della regione, ancora inedite in Italia.

Altri due esperti di missili che hanno visionato le immagini via satellite per il Washington Post, Michael Elleman (IISS) e Joseph S. Bermudez Jr. (CSIS) sono stati concordi nell’affermare che le fotografie ad alta risoluzione del sito di al Watah sembrano ritrarre in effetti una struttura di produzione e collaudo di razzi a motore alimentata probabilmente da combustibile solido.

Dalle immagini satellitari non è chiaro se la struttura sia stata completata e, dunque, sia in grado di funzionare per assemblare missili. Comunque la costruzione di un complesso del genere ben si sposerebbe con le idee di Salman Jr, che ha programmato entro il 2030 di rendere competitiva e autosufficiente una industria nazionale della Difesa, iniziando a questo punto dalla produzione dei missili, dopo aver speso somme ingenti per acquistarli altrove.

E l’attendibilità della notizia trova ancora più conferma nelle dichiarazioni recenti del Principe, il quale, anche da ministro della Difesa dal 2015, ha più volte dichiarato alla stampa che se l’Iran sviluppasse un ordigno nucleare, i Sauditi sarebbero pronti a fare altrettanto.

D’altronde, le trattative tra USA e Arabia Saudita sulla costruzione di reattori nucleari (eventualmente in grado anche di produrre carburante nucleare) sono ben documentabili2 e negli ambienti militari statunitensi la preoccupazione destata da tutto ciò non è poca, considerando che il Regno potrebbe nascondere altre ambizioni dietro la cortina degli usi “civili” dell’energia atomica. E non solo: in seno al Congresso l’opposizione all’affare nucleare si è fatta più dura, dopo l’omicidio dello scorso ottobre di Jamal Khashoggi.

La necessità, comunque, di dotarsi di una fabbrica di missili balistici troverebbe una sua giustificazione nelle molte minacce confinanti con il territorio saudita.

Il Regno Saudita da un lato fronteggia la posizione dello Stato di Israele, dotatosi di un sofisticato programma missilistico e nucleare e, dall’altro, deve guardarsi dall’Iran, che ha continuato a perfezionare le proprie attività industriali di assemblaggio missili balistici. E se l’Iran si ritirasse dall’accordo nucleare del 2015, si ritiene molto probabile che potrebbe assemblare testate nucleari in al massimo un anno.

L’Amministrazione Trump, dal canto suo, si è ritirata dall’Iran Deall3.

Ad ogni buon conto, una fabbrica di missili funzionante permetterebbe all’Arabia Saudita di iniziare a colmare le distanze con l’Iran quanto alle capacità di produzione domestica di missili che questo Paese stesso ha sviluppato negli anni anche per rifornire di armi i ribelli Houthi stanziati in Yemen contro l’avanguardia saudita.

In realtà, l’esistenza di un sito strategico militare sospetto basato ad al Watah divenne per la prima volta pubblica quando, nel 20134, alcuni analisti di Jane’s Defense pubblicarono questa immagine satellitare. Si sospettava che il sito ospitasse missili balistici acquistati dalla Cina

Un sito strategico militare sospetto basato ad al Watah

Ma quando Lewis e i suoi colleghi, David Schmerler e Fabian Hinz, hanno guardato attentamente le ultime immagini di al Watah pubblicate da Planet Labs a novembre scorso, si sono ricreduti e hanno così ipotizzato che alcuni nuovi edifici avessero tutta l’apparenza di essere potenziali siti di produzione di missili balistici. Vi sono infatti edifici multipiano, di notevole altezza, che Lewis riterrebbe più che idonei ad ospitare motori di missili alzati in senso verticale per essere riempiti di carburante.

Altro indizio nuovo è la presenza di una grossa barriera intorno una delle strutture (probabilmente per proteggere dalle esplosioni). Lewis ha poi ipotizzato che lo sviluppo particolare del sito lascerebbe propendere per il fatto che la fabbrica fosse stata fin dall’origine progettata per la produzione di proiettili a carburante solido, più che liquido.

I missili a carburante solido tendono a essere più ricercati in quanto sono più facili da nascondere, possono essere lanciati più rapidamente e possono essere tenuti fermi per più tempo, il che li rende più adatti ad operazioni belliche di lunga durata.

Come poi i Sauditi abbiano ottenuto la expertise tecnologica per arrivare alla costruzione della fabbrica non è chiaro agli analisti. Ma un potenziale fornitore potrebbe essere la Cina.

Jeffrey Lewis ha, infatti, ipotizzato che l’edificio per il test dei motori abbia un aspetto e un assetto particolarmente cinese. Mentre molti Paesi effettuano test dei motori all’aperto, ha sottolineato Lewis, la Cina copre in parte le fiamme provenienti dal motore e poi provvede a raffreddare il test building con acqua ghiacciata in modo che non penda fuoco.

Questo tipo di assetto sembra essere stato replicato nella fabbrica saudita, con una fossa per l’acqua vicina all’edificio e una specie di canaletto per far scorrere l’acqua stessa.

La Cina, in passato, ha venduto ai Sauditi in gran segreto (ma con la mediazione della CIA) missili balistici a medio raggio5 di tipo DF 21, a carburante solido.

Il missile cinese DF 21

E non solo: i Cinesi hanno anche prestato supporto ad altri Paesi intenzionati a incrementare la propria capacità missilistica. Negli anni Novanta, secondo fonti di intelligence statunitensi6, il Pakistan ha costruito silenziosamente una fabbrica per missili a medio raggio, usando materiali e tecnologie fornite dalla Cina. E il sito produttivo pakistano ha per lungo tempo attirato l’attenzione di alti ufficiali sauditi.

Ma allo stato, non è chiaro se vi sia – e in caso affermativo, in che misura – un effettivo coinvolgimento della Cina e del Pakistan nella costruzione del sito produttivo. E nemmeno è chiaro quali tipologie di missili balistici l’Arabia Saudita stia costruendo (o stia preparandosi a costruire).

Gli analisti Lewis, Elleman e Bermudez hanno infine notato che la centrale produttiva ha dimensioni inferiori a quelle di altri Paesi, suggerendo così che essa potrebbe avere capacità limitate. In più, come si può osservare, le foto recenti del satellite non mostrano la presenza di autovetture nei parcheggi circostanti, avallando così l’idea che la fabbrica non sia ancora del tutto produttiva. Vi sono – secondo gli Analisti citati – barriere protettive troppo ridotte rispetto a quelle adoperate prudenzialmente in altri siti produttivi.

Come si muoverà la diplomazia USA se la scoperta si dimostrasse, ad ulteriori analisi, fondata? Tradizionalmente, gli Stati Uniti sono sempre stati ostili alla proliferazione di tecnologie missilistiche. Basti ricordare come, negli anni Novanta, Washington sanzionò la Cina per aver consegnato lanciatori di missili e componenti missilistiche al Pakistan7.

Ciò lascerebbe pensare – ma mancano dichiarazioni ufficiali al riguardo – che il Pentagono non vedrebbe di buon occhio le potenzialità nucleari del sito produttivo saudita. 

Gli Stati Uniti si sono impegnati, come parte promotrice, a impedire la diffusione di tecnologie su droni e missili attraverso il MISSILE TECHNOLOGY CONTROL REGIME (MTCR)8.

Si tratta di un patto informale multinazionale teso, tra l’altro, a prevenire il trasferimento di alcune determinate tecnologie missilistiche. La Cina non è partner dell’iniziativa ma ha accettato di sottostare ad alcuni accordi.

E, come sappiamo, sebbene gli Stati Uniti siano primo esportatore mondiale di armi verso l’Arabia Saudita, non hanno mai venduto missili balistici a Riad, in parte perché, tradizionalmente, queste forniture militari sono sempre state considerate come un fattore di potenziale destabilizzazione per la Regione.

In passato i Sauditi si sono rivolti alla Cina per alcune richieste di armi, a seguito di rifiuti americani. I Sauditi da anni reclamano l’acquisto di droni di categoria 1 americani (compresi Predators e Reapers), banditi di fatto dalle norme MTCR, che pure Trump vorrebbe modificare9.

Un Reaper francese in volo

Così, Re Salman si è rivolto alla Cina, prima acquistando alcuni droni e poi addirittura strappando ai cinesi nel 2017 un affare nell’ambito del quale la Cina dovrebbe costruire in Medio Oriente una fabbrica – la prima al mondo in Medio Oriente – di droni copia (CH-4 UAV) del killer drone americano MQ 1 Predator10.

La spregiudicatezza commerciale e tattica dei Sauditi permette loro di guardare con interesse, insomma, all’occasione, anche alle Partnerships strategiche con la “One Belt, one Road” cinese.

 

1 https://www.cnbc.com/2019/02/01/middle-east-arms-race-fears-spike-over-alleged-saudi-arabia-missiles.html

2 https://www.reuters.com/article/us-usa-saudi-nuclear/u-s-stresses-safety-in-talks-on-nuclear-power-with-saudi-arabia-perry-idUSKCN1M707W

3 https://www.nytimes.com/2018/05/08/world/middleeast/trump-iran-nuclear-deal.html

4 https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/saudiarabia/10172463/Saudi-Arabia-targeting-Iran-and-Israel-with-ballistic-missiles.html

5 https://thediplomat.com/2014/01/china-secretly-sold-saudi-arabia-df-21-missiles-with-cia-approval/

6 https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1996/08/25/china-linked-to-pakistani-missile-plant/5559b95e-bc99-4f25-92be-eceab627a6d7/?utm_term=.91f895183ac3

7 I fatti si riferiscono a quanto ben descritto qui: https://fas.org/nuke/guide/pakistan/missile/hatf-3.htm

8 http://mtcr.info/partners/

9 https://www.reuters.com/article/us-usa-arms-drones-exclusive/exclusive-trump-to-boost-exports-of-lethal-drones-to-more-u-s-allies-sources-idUSKBN1GW12D

10 https://www.scmp.com/news/china/diplomacy-defence/article/2081869/chinese-drone-factory-saudi-arabia-first-middle-east

 

*Docente a contratto Università degli Studi Roma Tre, ex Ricercatrice CEMISS

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