Area MENA: convegno della NATO Defense College Foundation. Va ripensato il ruolo dell’Alleanza atlantica

Roma. “The Middle East: What kind of future?” è stato il titolo della conferenza organizzata, nei giorni scorsi, dalla NATO Defense College Foundation, in collaborazione con il Policy Center for the New South, la NATO Political Affairs and Security Policy Division e il NATO Defense College.

Un momento del convegno

L’iniziativa è stata il primo evento di carattere istituzionale a svolgersi dal vivo in Italia e in Europa dopo la pandemia e si è tenuta nel pieno rispetto delle normative di sicurezza regionali relative al COVID-19.

E’ stato il sesto appuntamento della serie Arab Geopolitics, creata dalla Fondazione nel 2011, che ha riunito 15 oratori esperti del settore e più di 250 partecipanti (fisici e virtuali) con lo scopo di discutere l’attuale instabilità che coinvolge tanto i governi quanto le società civili della regione MENA, mappare gli attori e gli interessi in gioco nell’area, e indicare possibili soluzioni per superare le crisi regionali.

Nel suo intervento Alessandro Minuto-Rizzo, presidente del NATO Defense College Foundation di Roma, ha evidenziato come i governi nazionali non siano “più gli unici attori sulla scena: assistiamo sempre più all’emergenza e all’influenza di entità non statali, e la regione araba non fa eccezione”.

L’intervento Alessandro Minuto-Rizzo, presidente del NATO Defense College Foundation di Roma

 

“Viviamo in un mondo frammentato e complesso – ha aggiunto – e una simile realtà richiede un grande sforzo da parte nostra.”

Per Gilles Kepel, direttore scientifico del Middle East Mediterranean Freethinking Platform, Università della Svizzera italiana di Lugano “è il momento di ripensare il ruolo della NATO in Medio Oriente e Nord Africa. Al tempo stesso, però, noi europei – in quanto membri dell’Alleanza Atlantica, ma anche dell’Unione Europea – non possiamo più esimerci dal definire una politica di difesa e sicurezza che sia risoluta e propria dell’Unione, specialmente nella regione. Che poi sia funzionale, complementare o parallela a quella della NATO è certamente una questione da discutere a dovere”.

“Le cattive acque in cui ci troviamo oggi – ha proseguito il docente – sono anche dovute all’incertezza legata al futuro della politica americana nell’area. Ciò che all’ultima Munich Security Conference è stato definito come l’avvento della Westlessness è non a caso qualcosa che ha già mutato molte dinamiche regionali dalla fine dalla Guerra Fredda. Se l’interesse degli Stati Uniti per quanto accade in Medio Oriente diminuisce, altri attori prenderanno il loro posto.”

Nel suo intervento Giovanni Romani, responsabile della Sezione Medio Oriente e Nord Africa del Political Affairs and Security Policy Division, NATO HQ, Bruxelles ha sostenuto che “una delle tre missioni fondamentali della NATO è la sicurezza cooperativa e l’Alleanza condivide con i suoi partner nella regione non solo una vicinanza geografica, ma anche sfide simili a livello di sicurezza: con l’aumento dell’instabilità regionale, questi partenariati sono oggi più importanti che mai”.

L’area medio orientale e africana all’esame degli esperti al convegno della NATO Defense College Foundation

“Nonostante i grandi cambiamenti politici avvenuti nell’area MENA negli ultimi anni, la struttura dei partenariati NATO si è dimostrata alquanto resiliente – ha ancora sostenuto -. Oltre ai rapporti tra i singoli partner, essi hanno infatti assicurato gli strumenti e gli spazi utili a individuare, discutere e affrontare le sfide comuni, spesso fornendo le condizioni grazie alle quali i partner hanno potuto superare le loro posizioni divergenti. Si pensi al caso di Israele e dei sei paesi arabi del Mediterranean Dialogue, così come ai quattro Paesi del Golfo che sono rimasti sotto l’ombrello dell’Istanbul Cooperation Initiative anche durante la crisi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.”

Secondo l’Osservatore Permanente alle Nazioni Unite a New York, della Lega Araba, Maged Abdelaziz  “il multilateralismo e il regionalismo sono attualmente in crisi. Nella regione MENA, le rivolte del 2011 – con le loro diverse motivazioni e dinamiche – hanno avuto tutta una serie di ripercussioni sugli equilibri interni alle società arabe e hanno portato alcuni paesi arabi a competere per un ruolo egemonico che non corrisponde alle loro capacità e va contro il volere degli altri attori regionali”.

“Tutto questo – per ha creato per Maged Abdelaziz -una frattura tra gruppi di stati e singoli paesi dell’area, che ha a sua volta compromesso la capacità della Lega degli Stati Arabi di intraprendere delle iniziative di carattere collettivo, specialmente per quanto riguarda la sicurezza e la stabilità regionali. Questa difficoltà è inoltre aggravata della debole struttura finanziaria della Lega e dalla mancanza di una volontà politica comune, che insieme non permettono all’organizzazione di giocare il suo ruolo, al di sopra della sovranità dei propri stati membri.”

“L’Iraq è tra i migliori esempi di un Paese arabo che può contare su una società civile informale, talvolta disorganizzata, e tuttavia ben funzionante- ha sostenuto nel suo focus Sofia Barbarani , giornalista freelance . Soprattutto a partire da ottobre 2019, l’Iraq ha usato le organizzazioni della sua società civile per promuovere un cambiamento politico reale, laddove la situazione politica nazionale è rimasta stagnante per fin troppo tempo”.

“Ho visto una società civile che non hai mai smesso di lottare – ha proseguito – e ha continuato a evolvere piuttosto che essere silenziata. È necessario che il governo riconosca questi giovani uomini e donne, instaurando con loro un dialogo reale. È inoltre altrettanto cruciale che, nel momento in cui ha a che fare con Baghdad, la comunità internazionale ricordi al governo il ruolo fondamentale delle organizzazioni della società civile”.

Nel suo discorso Brahim Oumasour, ricercatore del Center for Studies and Research on the Arab and Mediterranean World di Ginevra e ricercatore, dell’Institute for International and Strategic Affairs di Parigi ha detto che “negli ultimi due decenni, il Medio Oriente e il Nord Africa hanno assistito alla proliferazione di attori non statali con un’influenza sempre maggiore e il cui peso politico minaccia la stabilità dell’intera regione e non solo. Dietro la loro ascesa ci sono numerosi fattori: dall’instabilità politica dell’area (innescata principalmente dalle rivolte del 2011 e dalla seconda ondata di proteste del 2019) alla fragilità degli Stati, dalle crisi economiche e ambientali alle tensioni inter- e intra- statali, continuamente aggravate da attori stranieri”.

E tra le diverse entità non statali in gioco ci sono gruppi ribelli, milizie civili, forze di difesa civili e autonome, terroristi, organizzazioni criminali e mercenari.

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