ARGENTINA: “UNA CABEZA DE UN NOBLE POTRILLO”. STORIA DI SAVERIO APPENNINO IL GENDARME VITTIMA DELLA SUA GENEROSITÁ

Di Gerardo Severino*

BUENOS AIRES (nostro servizio particolare). Qualche settimana fa. su questa stesso stesso quotidiano, ho pubblicato un articolo in onore del Generale Andrés Severino, attuale Direttore Generale nonché Comandante Generale della gloriosa Gendarmeria Nazionale Argentina, il quale è stato recentemente insignito, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, della Medaglia d’Oro al Merito della Guardia di Finanza.

Un reparto della Gendarmeria a cavallo impegnato in una operazione di pattugliamento.

Ebbene, nel tracciare la biografia del Generale ho ricordato come lo stesso fosse stato, durante la sua lunga e onorata carriera, anche istruttore delle reclute presso lo Squadrone di formazione per Gendarmi n. 1 “Gendarme Saverio Appennino”, reparto oggi soppresso.

Il dato mi colpì immediatamente, considerando il cognome del militare al quale era stata intitolata la celebre Scuola, tanto da richiedere al capo di Gabinetto dello stesso Generale Severino, il Comandante Principale Andrés Esteban Barrera, che ringrazio di vero cuore anche in questa circostanza, ogni utile notizia e/o documento storico che mi aiutasse a raccontare la vicenda umana e professionale di Saverio Appennino, il quale è stato uno dei primi caduti della Gendarmeria, Istituzione militare sorta, come si ricorderà, nel corso del 1938.

Prima di passare all’argomento affidato al saggio mi sia consentito motivare la scelta del titolo, il quale riporta la prima frase della notissima canzone che il grande Carlos Gardel immortalò, poco prima di morire tragicamente in un incidente di volo. “Por una cabeza de un noble potrillo”  (Per una testa di nobile puledro) .

Carlos Gardel

Essa è, infatti, la prima strofa di un popolarissimo tango argentino composto, nel 1935, dallo stesso Gardel e dal grande Alfredo Le Pera, il cui testo fa riferimento ad un irriducibile giocatore d’azzardo, frequentatore delle corse di cavalli, il quale immagina di comparare la sua dipendenza dal gioco con l’attrazione per le donne.

Ovviamente, in questo, non vi è alcun accostamento storico alla figura del nostro Gendarme. Il titolo vuole, invece, richiamare l’attenzione, prima della stessa narrazione dei fatti storici, riguardo alla generosità che il Gendarme italo-argentino seppe dimostrare nei confronti del proprio compagno di lavoro, un bel cavallo argentino con il quale condivideva i pesanti ed estenuanti turni di vigilanza alla frontiera.

Saverio Appennino, da emigrante a Gendarme argentino (1917 – 1941).

Il suo cognome parla chiaro, svelandoci immediatamente l’origine italiana del protagonista della vicenda, come del resto ci hanno confermato anche gli atti matricolari del militare in questione, recentemente trasmessi dall’Ufficio Storico della Gendarmeria.

Il Gendarme Saverio Appennino

Ebbene, Saverio Appennino nacque a Junín, una ricca cittadina situata sulle rive del fiume Salado del Sur, nel cuore della regione della Pampa umida, a 260 chilometri ad Ovest di Buenos Aires e a 210 chilometri a Sud di Rosario, il 18 gennaio del 1917,

Junin in una cartolina degli anni Venti

Il piccolo era l’ennesimo figliolo di Don Domenico Appennino, abile cuoco emigrato dall’Italia qualche anno prima, il quale era nato a Lanaro, una frazione del Comune di Pergola, in provincia di Pesaro e Urbino il 21 dicembre del 1872, e di Cristina Saboubal, nata, invece, a Buenos Aires il 25 ottobre del 1893.

Il giovane Saverio, dopo aver compiuto gli studi elementari, la cosiddetta  “Scuola Primaria”, sino alla 3^ classe, seguì il padre Domenico nella professione di “cocinero”.

Divenuto maggiorenne, Saverio fu chiamato ad assolvere gli obblighi del servizio militare, incorporato nell’Esercito, specialità Fanteria, prestando così servizio a Buenos Aires, presso il locale Arsenale di Guerra.

Terminato il periodo della leva, il giovane Saverio decise di arruolarsi volontario, con la ferma di 4 anni, nella Gendarmeria Nazionale Argentina, peraltro ad appena un anno dalla costituzione dello stesso Corpo di Polizia, il quale – lo ricordiamo – era allora inquadrato nell’ambito del Ministero della Guerra [1].

Sostenute le prove di arruolamento presso la cosiddetta  “2^ Oficina Enroladora” (ufficio immatricolazioni) operante nella stessa Junín, Saverio si avventurò alla volta di Buenos Aires [2].

Era il 7 agosto del 1939, ad un mese dallo scoppio, in Europa, della 2^ Guerra mondiale, quando Saverio Appennino mise piede presso la Scuola di Formazione dei Gendarmi di Buenos Aires, in quel frangente retta dal Sotto Ispettore Bernardo Weinstein, prestando immediatamente giuramento dinanzi alla gloriosa bandiera nazionale, come ci rivelano le fredde carte matricolari che lo riguardano [3].

Terminato il periodo di formazione, nei primi mesi del 1940, il neo Gendarme Appennino fu destinato allo Squadrone “Concepción”, in quel frangente posto agli ordini del Comandante Adolfo del Marmol Grandoli, che a sua volta lo assegnò al Distaccamento di San Javier, una località dell’omonimo Dipartimento, situato nel Sud-Est della provincia di Misiones, uno dei tanti posti di frontiera con il Brasile, che la Gendarmeria era chiamata vigilare, similmente a quanto faceva in Italia la Regia Guardia di Finanza.

Comprendiamo benissimo come Saverio Appennino avesse davanti a sé una vita decorosa e promettente, avendo finalmente coronato il suo sogno giovanile: quello di “vestire un’uniforme.

Non solo, ma l’arruolamento nella “Fuerza” gli avrebbe anche consentito anche di mettere su famiglia, come effettivamente fece l’11 settembre dello stesso anno, sposando la conterranea Catalina Rosa Cappio, anche lei figlia di italiani, nata nella stessa Junín il 31 luglio del 1918.

I due giovani si sistemarono in una piccola casa sita nella stessa San Javier, ove, molto probabilmente festeggiarono il loro primo Natale, magari in attesa di mettere su una bella nidiata di pargoletti.

Purtroppo tale desiderio non si verificherà in quanto il destino aveva già deciso diversamente.

L’estremo sacrificio di un generoso.

La breve esperienza di servizio nella Gendarmeria Nazionale Argentina si sarebbe conclusa, per il nostro protagonista, il 13 gennaio del 1941, a cinque giorni dal suo 24° compleanno.

Quella che segue è la cronaca di quanto accadde quell’infausto giorno, rigorosamente ricostruita secondo gli atti ufficiali forniti, come si ricordava prima, dalla stessa Gendarmeria Nazionale [4].

Il 13 gennaio, verso le 6 del mattino, dal Distaccamento San Javier partì a cavallo, come allora si faceva abitualmente, per la vigilanza del proprio tratto di frontiera, una pattuglia comandata dal Sovrintendente di 3^ classe Antonio Duhour e composta dai Gendarmi Saverio Appennino, Angel Russo, Agustin Torino, Fernando Millan e Saturnino D. Gonzales, ai quali fu affidata la vigilanza dell’area prossima al torrente “Guerrero”, un corso d’acqua che sfocia, a monte della stessa San Javier, nel poderoso fiume Uruguay, che ancora oggi rappresenta il confine naturale tra Argentina e Brasile.

San Javier in un tratto del Rio Uruguay

In serata, allorquando la pattuglia si stava finalmente approssimando a far rientro in caserma – erano pressappoco le ore 18,30 – nel raggiungere il citato torrente, nella località denominata “Puerto Paez“, i militari non trovarono nessun tipo di battello che gli consentisse di attraversarlo, ragion per cui il capo pattuglia ordinò che tale operazione fosse effettuata a nuoto, tanto che ciascuno dei Gendarmi dovette spogliarsi, onde  avere più libertà di movimento, marciando così o in coda o al fianco del proprio cavallo.

Le uniformi e gli equipaggiamenti furono, invece, riposti in una specie di zattera che era stata abbandonata sulla riva, la quale fu spinta a nuoto dal Gendarme Fernando Millan.

Il guado del fiume ebbe, quindi, inizio con l’attraversamento del Gendarme Russo, cui seguirono quelli dei Gendarmi Torino, Millan, Gonzales e Appennino e, infine, del Sovrintendente Duhour, il quale nuotò da solo perché il suo cavallo era già passato prima.

Sino a quel momento la traversata fu condotta senza inconvenienti, anche perché la distanza da percorrere era di appena 25 metri circa.

Ad un certo punto la fatalità volle che il Gendarme Appennino si accorse che il proprio cavallo stava perdendo l’equilibrio, spaventandosi irreparabilmente.

Il giovane tutore dell’ordine cercò, quindi, di aiutare il proprio “compagno di lavoro”, iniziando a tirare l’animale per le redini, che aveva precedentemente slegato.

Ma si trattò di una manovra che ben presto si rivelò fatale, in quanto il cavallo, spinto dalla fortissima corrente fluviale, s’inabissò, portando a fondo anche il generoso cavaliere, che, molto probabilmente, era rimasto impigliato anche lui tra le briglia.

Fu a quel punto che il Sovrintendente Duhour, che nuotava a circa quattro metri di distanza, raggiunse rapidamente il dipendente, cercando di afferrarlo con la mano destra.

Come spesso succede in queste circostanze, il Gendarme Appennino, nel vano tentativo di aver salva la vita, si aggroppò  violentemente al braccio sinistro del salvatore, ma tale gesto, nell’impedire al Duhour di nuotare, ne rischiò seriamente l’annegamento.

In tale situazione critica, il Sottufficiale fu, quindi, costretto a svincolarsi violentemente dalla vittima, evitando così di annegare insieme a lui.

Era, quello ormai, il segnale della fine per il povero Saverio Appennino, il quale, pur sapendo nuotare, come ci conferma il suo stato di servizio, ormai esausto e privo di forze, soccombette nella durissima lotta contro le forti correnti fluviali, le stesse che lo spinsero inesorabilmente verso il fondo limaccioso del torrente in piena.

Verificata, quindi, l’impossibilità materiale di fare altri tentativi, il Sovrintendente inviò al Distaccamento di San Javier il Gendarme Gonzales, con l’ordine di comunicare l’evento e chiedere soccorsi al Comandante del reparto, l’Ausiliare Don Alfredo D. San Roman, mentre lui e il resto del personale si tuffarono ripetutamente nel corso d’acqua, con l’obiettivo di recuperare il corpo del povero Saverio, operazione al quanto rischiosa per via del fatto che il letto del torrente era rigonfio di tronchi, arbusti e radici che li avrebbero potuti facilmente intrappolare.

Con l’arrivo sul posto del Comandante San Roman, le ricerche continuarono, tanto che gli stessi membri della sfortunata pattuglia, muniti di torce elettriche, girovagarono lungo le rive del torrente, nella speranza che affiorasse il cadavere del povero Appennino.

Contemporaneamente fu richiesta la collaborazione della Prefettura Marittima della zona, assieme alla quale continuarono le ricerche.

Fu solo due ore dopo l’incidente che il cadavere del cavallo annegato apparve galleggiare nello stesso punto in cui era affondato.

La carcassa fu immediatamente tirata fuori dall’acqua, e ciò consentì ai Gendarmi di verificare che erano state proprio le redini, impigliate in una delle zampe anteriori, all’altezza della brughiera fluviale, a provocarne l’affogamento.

Il cadavere del Gendarme Appennino fu, invece, recuperato intorno alle ore 23, dal personale della citata Prefettura Marittima.

Il cadavere, riconosciuto per quello del povero Saverio da parte del Dottor Julio I. Del Pino, Ufficiale Medico dello Squadrone, fu risparmiato dall’autopsia,  ritenendola, infatti, non necessaria in quanto la salma presentava essa stessa tutti i sintomi caratteristici del soffocamento per immersione, ma anche per via del fatto che all’assurda morte avevano assistito diversi testimoni.

La triste notizia della scomparsa del giovane Gendarme di origini italiane fu immediatamente comunicata, oltre che alla povera e giovanissima moglie, anche al Direttore Generale della Gendarmeria, Colonnello Juan José Palacios, con apposito radiomessaggio partito al primo mattino del giorno 14 gennaio.

Si trattava della stessa autorità che con successivo provvedimento del 13 marzo ’41 decretò che la morte del militare era avvenuta “per causa di servizio”, primo passo ufficiale affinché la povera vedova, Catalina Rosa potesse godere, di lì a qualche anno, di una modesta pensione statale.

Ciò si verificò solo nel corso del 1943, con un apposito Decreto del Ministero delle Finanze in data 14 aprile, provvedimento che diede diritto alla ragazza di ricevere, in verità, solo la 3^ parte dello stipendio che Saverio percepiva in vita [5].

I solenni funerali del Gendarme Appennino si svolsero nella stessa cittadina ove il giovane viveva da pochi mesi, celebrati nella chiesa di San Francisco Javier, alla presenza dell’intera comunità e dei tanti amici e colleghi dello Squadrone “Concepción”.

La chiesa di San Francisco Saverio a San Javier di Misiones

Mi piace pensare che la salma di Saverio sia tornata nella sua città natale, avvolta dalla biancoceleste bandiera argentina, accompagnata dalla povera Catalina Rosa, ancora incredula riguardo al fatto che il suo uomo era morto “Por una cabeza de un noble potrillo”.

NOTE

[1] Cfr. “Legajo Personal de Appennino Saverio”, matricola n. 2514, stilato in Buenos Aires il 28 giugno 1940, in Archivio Ufficio Storico della Gendarmeria Nazionale Argentina, f.lo “Gendarme Saverio Appennino”.

[2] Dal relativo verbale apprendiamo che il giovare era alto cm. 1,69, aveva capelli castani, occhi azzurri ed una circonferenza toracica di 88 cm, in Archivio Ufficio Storico della Gendarmeria Nazionale Argentina, f.lo “Gendarme Saverio Appennino”.

[3] Cfr. Gendarmeria Nacional, “Primer Contrato del Gendarme en comisión Appennino Saverio”,” stilato in Buenos Aires il 7 agosto 1939, in Archivio Ufficio Storico della Gendarmeria Nazionale Argentina, f.lo “Gendarme Saverio Appennino”.

[4] Cfr. Relazione n. 427 indirizzata al Direttore Generale della Gendarmeria Nazionale Argentina in data 11 marzo 1941, a firma del Capo Ufficio Legale della stessa Gendarmeria, Col. Humberto P.J. Bernardi, in Archivio Ufficio Storico della Gendarmeria Nazionale Argentina, f.lo “Gendarme Saverio Appennino”.

[5] Cfr. Memoria de la Contaduria General de la Nación, Buenos Aires, 1943, pagine 63 e 64.

*Colonnello (Aus) della Guardia di Finanza – Storico Militare

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