Di Matteo Frigoli
Washington. La competizione tra superpotenze è tornata al centro dello scenario internazionale e, con essa, la centralità degli armamenti nucleari. Infatti, le armi nucleari, oltre a costituire un formidabile strumento di offesa, rappresentano una potente arma politica.

La firma del Trattato INF
Il linguaggio e la logica della politica delle armi nucleari sono rimasti inalterati, contraddistinti come sempre da una caratteristica peculiare, quella di arrivare fin solo alla soglia di uno scontro nucleare per indurre l’avversario a recedere, dissuadendolo e costringendolo infine a un compromesso politico favorevole.
Per quali ragioni le relazioni fra le potenze nucleari sono ritornate in questa dimensione? L’origine del “Balance of Terror”.
Per mezzo secolo, durante la Guerra Fredda, le armi nucleari furono strumenti fondamentali nella logica della competizione bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La corsa agli armamenti nucleari tra le due potenze produsse i due più vasti arsenali nucleari che il mondo avesse mai visto, mettendo a repentaglio non solo la loro sopravvivenza ma anche quella dell’intero genere umano.
Conseguentemente, al fine di evitare un’ecatombe nucleare, gli apparati politico-militari delle due superpotenze discussero al fine di adottare una strategia nucleare basata sul rispetto di alcuni principi teorici, ne scaturì il concetto di Stabilità Strategica, concetto che poi evolse negli anni sessanta nel Mutual Assured Destruction (MAD), per cui la stabilità sarebbe stata assicurata dalla consapevolezza che, a un eventuale attacco nucleare, sarebbe seguita un’analoga risposta, con la conseguente reciproca distruzione. In pratica, l’assunto di base era che nessuna delle due superpotenze avrebbe potuto mai vincere una guerra nucleare.
Per giungere a tale obiettivo era necessario che:
-
nessuna delle due parti, attaccando per prima, possedesse la capacità di distruggere tutte o la maggior parte delle testate nucleari avversarie;
-
le difese di nessuna delle due parti fossero in grado di annullare la capacità offensive nucleari dell’avversario;
-
nessuna delle parti avesse incentivi per sviluppare una o più tipologie di armi strategiche, dando luogo ad una corsa agli armamenti con la parte avversaria che avrebbe aggravato i rischi di una guerra;
-
ognuna delle parti percepisse di non essere sotto un imminente attacco nucleare, così da non avere alcuna ragione per allertare le proprie forze nucleari.
Il ruolo della psicologia umana nell’ambito della percezione della minaccia era centrale proprio perché la sola paura di essere oggetto di un attacco nucleare imminente avrebbe potuto generare una tale pressione sui rispettivi organi decisionali da indurre l’altro a lanciare un attacco per primo.
La Stabilità Strategica e l’ultimo trattato sulla limitazione degli armamenti nucleari
I principi politici su cui si reggeva la Stabilità Strategica vennero tradotti in norme e disposizioni giuridiche, finalizzate in accordi bilaterali che assicurassero in modo più incisivo l’equilibrio nucleare. In sostanza, si accettò di ridurre il numero di testate nucleari a disposizione e di missili in grado di trasportare testate nucleari, definendone la gittata e il posizionamento. Ma venne convenuto anche di ridurre le difese antimissile sui due fronti, stabilendone persino il luogo di schieramento. Il tutto sottoposto a un regime di controllo del rispetto degli accordi, basato su reciproche attività ispettive.
L’assetto giuridico sul controllo degli armamenti nucleari tra USA e Russia si reggeva fino al febbraio del 2019 sul Trattato INF (Intermediate-range Nuclear Forces) e sul New START (New Strategic Arms Reduction Treaty). Quest’ultimo, l’unico ancora in vigore, sarà da rinnovare il 5 febbraio 2021.
Al momento, intorno al rinnovo del New Start esistono incertezze. Certo è che senza di esso cesseranno di esistere limiti e informazioni su grandezza, composizione, schieramento e tipologia degli arsenali nucleari delle due potenze.
I mattoni della stabilità nucleare: i Trattati sulla limitazione degli armamenti tra USA e URSS/Russia
Vediamo ora l’evoluzione del sistema messo su dai due contendenti.
Dopo alcuni incontri informali iniziati già negli anni ’50, nel 1963 USA e URSS si accordarono per stabilire tra i due esecutivi una linea di comunicazione diretta (cosiddetta “hotline”) per fare in modo di entrare prontamente in contatto durante eventuali momenti di crisi e di maggiore tensione, allo scopo di ridurre i rischi di una deflagrazione nucleare. Successivamente, partendo dalla fine degli anni ’60, Washington e Mosca, come anticipato sopra, concludevano o cercavano di concludere una serie di accordi. In particolare:
- Il trattato ABM (Anti-Ballistic Missile Treaty) sulla limitazione dei sistemi antimissili balistici, con annesso un accordo ad interim sulla limitazione delle armi strategiche offensive (quest’ultimo anche conosciuto come SALT I – Strategic Arms Limitation Talks), stipulato nel 1972;
-
Il trattato sulla limitazione degli armamenti strategici (il “SALT II”, stipulato nel 1979), il quale non entrò mai in vigore a causa dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica, atto che spinse gli Stati Uniti a non ratificare l’accordo, sebbene entrambe poi si sarebbero impegnate solo informalmente a un suo rispetto;
-
L’INF, sulle forze nucleari a raggio intermedio, firmato nel 1984;
-
Lo START I, del 1991 e valido sino al 2009;
-
Lo START II (del 1992) sulla riduzione delle armi strategiche. Lo START II venne ratificato dagli USA nel 1996 e dalla Russia nel 2000. Ma terminò nel 2002, in quanto gli USA sospesero il trattato ABM che la Russia considerava come condizione fondamentale per la sua adesione allo START II. Seguirono, nel 1997, le negoziazioni sullo START III, le quali si interruppero senza alcun risultato;
-
Il SORT (Strategic Offensive Reduction Treaty) sulla riduzione degli armamenti strategici, entrato in vigore nel 2003 a integrazione dello START I, sostituito quindi dal Trattato New START.
Finalmente, infatti, l’8 aprile 2010, Stati Uniti e Russia firmarono il New START che, come detto, con lo scopo di sostituire tutti i precedenti accordi START, è il solo accordo bilaterale sulla limitazione degli armamenti nucleari rimasto in vigore. Esso limita ciascuna parte a 1550 testate nucleari strategiche dispiegate su un massimo di 700 vettori strategici.
Venendo ai giorni nostri, nel febbraio 2019, gli Stati Uniti hanno comunicato alla Russia il ritiro dal Trattato INF, costringendo di fatto la Russia a fare altrettanto.
Il Trattato INF proibiva di sviluppare, testare e disporre sistemi missilistici basati a terra con una gittata compresa tra i 500 km e i 5.500 km, con conseguente obbligo di distruggere i sistemi che esorbitassero da tali limiti.
Le ragioni alla base di questo trattato sono da ricondurre al confronto NATO-URSS nel contesto europeo. Infatti, nel 1976 l’URSS iniziò a schierare a ridosso dei monti Urali e a nord-est di Mosca i nuovi missili SS-20 (missili a raggio intermedio basati a terra).
Tali missili rappresentavano una diretta minaccia per la NATO. Infatti, come evidenziò l’allora cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, quelle armi erano gravemente destabilizzanti poiché l’Europa non possedeva sistemi missilistici equivalenti e quelli sovietici minacciavano solo il territorio europeo, non gli Stati Uniti.
Il concetto di risposta flessibile, su cui si basava (e si basa ancora) la deterrenza nucleare della NATO perdeva pertanto di significato. Arrivarono gli americani a risolvere il problema. La soluzione? Lo schieramento di 108 Pershing II e di 464 GLCM (Ground-Launched Cruise Missiles) in Gran Bretagna, Italia e Germania Federale.

Un GLCM (Ground-Launched Cruise Missiles)
L’installazione fu avviata nel 1983 tra le vivaci contestazioni dei movimenti pacifisti europei e la dura reazione dei sovietici, i quali per protesta abbandonarono i negoziati Start sugli armamenti in corso a Ginevra. Così, per disinnescare una pericolosa corsa agli armamenti in territorio europeo, dal 1981 USA e URSS intrapresero le negoziazioni che terminarono appunto con la stipula del Trattato INF.
Attualmente, con la decadenza dell’INF, gli USA e la Russia hanno ripreso i test per lo sviluppo di sistemi missilistici a raggio intermedio basati a terra. Oltre alle considerazioni di tipo militare, dal punto di vista politico è cruciale il fatto che, come anticipato, il solo trattato che attualmente regola l’arsenale strategico dei due è il New START Treaty.
A fare da cornice a tutti questi accordi e basilare a livello internazionale è il Non-Proliferation Treaty (NPT – Trattato di non Proliferazione Nucleare), entrato in vigore nel 1970 (1).
Tale trattato poggia su tre “pilastri”:
-
disarmo nucleare (eliminazione armamenti nucleari degli Stati possessori di tali dispositivi);
-
non-proliferazione, cioè impedire l’acquisizione di tali armamenti da parte di altri paesi in aggiunta a quelli che ne sono già in possesso;
-
cooperazione internazionale per l’uso pacifico dell’energia nucleare (incoraggiare l’uso dell’energia nucleare per soli scopi pacifici).
L’NPT, infatti, divide gli Stati in due gruppi: quelli possessori di armi nucleari (USA, Francia, Russia, Regno Unito, Cina) e quelli non in possesso di tali armamenti.
Accordo importante ma che, tuttavia, non è riuscito a impedire l’acquisizione di armi nucleari da parti di altri stati, ossia India, Pakistan e Corea del Nord, e, probabilmente, in un futuro forse non troppo lontano, anche da parte dell’Iran.
Una nota a parte vale per lo Stato di Israele, il quale, non avendolo mai nemmeno solo firmato, come del resto India e Pakistan, non è legalmente tenuto ad osservarne le norme e, pur non avendo mai ufficializzato la sua posizione, è ritenuto uno stato possessore di armamenti nucleari (2).
Gli stati del primo gruppo, i possessori di armi nucleari, hanno sempre teso a enfatizzare solamente il pilastro della non-proliferazione dimenticandosi della parte “disarmo” che più direttamente li avrebbe riguardati.
Perché è difficile raggiungere gli obiettivi dell’NPT? I critici del Trattato puntano il dito sulla vaghezza delle norme in materia di disarmo, troppo esposte a interpretazioni arbitrarie (3), e per la reale mancanza di un sistema di sanzioni sufficientemente efficace per costringere gli stati al rispetto delle sue norme.
Crisi del sistema di controllo degli armamenti nucleari: avvento della Seconda Era Nucleare
Con il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 e l’inizio della fase “unipolare” americana, l’intero sistema di paradigmi e logiche politico-militari su cui si basava l’esistenza e la funzione degli arsenali nucleari perse gran parte della propria ragion d’essere.
Nel quarto di secolo tra il 1989 e il 2014 molti osservatori ritennero persino che le armi nucleari fossero altro che relitti della Guerra Fredda e che l’abolizione totale degli armamenti nucleari potesse essere un obiettivo raggiungibile.
In questo periodo gli Stati Uniti riservarono molta più attenzione tanto nel sostenere le autorità russe nel mantenere il controllo del loro arsenale quanto nell’attività di contrasto ai tentativi da parte di nazioni “ostili” e di attori non statali di dotarsi di tali capacità. La deterrenza nucleare, pertanto, sembrava prendersi una pausa.
In effetti, risultava fin troppo evidente che gli Stati Uniti non avessero più alcun potenziale “avversario” che potesse costituire per loro e per la NATO una vera minaccia. E quelli che gli USA e i loro alleati hanno poi dovuto e voluto affrontare – Serbia, Afghanistan, Iraq e Al Qaeda – non possedevano un potenziale nucleare e pertanto l’arsenale statunitense non era direttamente rilevante per le sfide alla sicurezza nazionale e a quella degli alleati.
Tuttavia, con lo scoppio della guerra in Ucraina, e con l’appoggio russo ai separatisti del Donbass, Mosca indirizzò delle minacce neanche tanto velate. Nel 2015, infatti, l’ambasciatore russo in Svezia ebbe modo di riportare le parole di Putin, per cui, nell’eventualità di un’adesione svedese alla NATO “… Russia will have to resort to a response of the military kind and re-orientate our troops and missiles …”. In quello stesso anno, anche l’ambasciatore di Mosca a Copenaghen dichiarò “… I don’t think that Danes fully understand the consequence if Denmark joins the American-led missile defense shield. If they do, then Danish warships will be targets for Russian nuclear missiles …”.
Qualcosa quindi stava cambiando nel quadrante europeo e ci avrebbe portato ai giorni di oggi con la rinuncia da parte di entrambi al trattato INF.
E in oriente? La Cina è costantemente divenuta sempre più aggressiva anche militarmente, rivendicando significative porzioni di territorio ai danni di paesi alleati o tradizionalmente vicini agli Stati Uniti.
Forse per questo, secondo alcuni analisti, gli Stati Uniti hanno denunciato, uscendone, il trattato INF. In sostanza, Washington avrebbe bisogno di schierare nell’estremo oriente quei missili proprio per contrastare in quel segmento il vantaggio geo-strategico cinese.
Insomma, in caso di un conflitto armato con la Cina, il rischio di impiego di armamenti nucleari sarebbe molto alto. Senza contare che la Corea del Nord, da sempre più vicina alla Cina, ha intensificato i test nucleari e missilistici, divenendo di fatto anch’essa una pericolosa potenza nucleare. Ma la febbre nucleare non ha abbandonato altri due tradizionali nemici, India e Pakistan, che hanno ampliato e modernizzato i propri arsenali. In attesa dell’Iran.
Siamo pertanto di fronte a una nuova Era Nucleare, caratterizzata da due grandi elementi:
-
la crescita del numero di stati nucleari, che potrebbe significare il deciso passaggio da un ordine mondiale unipolare a uno multipolare, magari a blocchi, in cui i soli accordi bilaterali per garantire una stabilità strategica non sarebbero più sufficienti;
-
l’emergere di nuove tecnologie militari, diciamo convenzionali, che possono destabilizzare i rapporti di forza, soprattutto tra le principali potenze nucleari. Parliamo di armi anti-satellite, difese missilistiche sempre più avanzate, missili ipersonici e nuove capacità cibernetiche.
Il fatto che armamenti “non-nucleari” rappresentino sempre più una diretta minaccia per gli assetti “dual use” (convenzionale/nucleare) di comando, controllo, comunicazioni e di intelligence, anche basati nello spazio o comunque anche lontani da un probabile teatro di guerra, aumenta il rischio di una risposta e di una escalation nucleare (4).
I teorici della materia lo chiamano Entanglement, una situazione per cui, ad esempio, un attacco convenzionale limitato, cinetico o no, ma volto a compromettere il sistema di early-warning, genererebbe una pressione tale nell’avversario da indurlo a credere in un potenziale attacco distruttivo e così da portarlo a rispondere con un contrattacco nucleare, una pre-emption nucleare per dirla per i palati più fini. Insomma, un qualcosa che con le passate capacità convenzionali non era stato mai possibile.
Pertanto, oggi la gestione della sicurezza internazionale è divenuta una materia particolarmente complessa. L’intreccio tra armamenti “non-nucleari” e armamenti nucleari, infatti, induce a orientare gli arsenali nucleari a dissuadere persino l’impiego di armi convenzionali. Così facendo si è abbassata inevitabilmente la soglia di utilizzo di quelle nucleari. In particolare, tale situazione di fatto ha assunto connotazioni politiche cruciali con l’avvento dei sistemi missilistici statunitensi di nuova generazione del programma Conventional Prompt Global Strike (CPGS). Tale programma mira a creare la capacità di colpire con un’elevata precisione qualsiasi parte del globo in meno di un’ora con missili ipersonici dotati di testata convenzionale. Ma anche i russi hanno già messo in campo, pare, il loro Avangard (hypersonic glide vehicle).
Quali le implicazioni più importanti? Tanto per iniziare, la dottrina militare russa del 2014 considera come “minacce militari” direttamente rilevanti per le forze nucleari il dispiegamento di “armi convenzionali strategiche di precisione”. Non solo, ma anche la Cina percepisce come una seria minaccia alla sua sicurezza lo sviluppo di sistemi missilistici di precisione e, inoltre, ritiene che l’elevato grado di accuratezza con cui questi sistemi possono arrivare al bersaglio possa rendere più facile l’utilizzo di armi nucleari a bassa potenza. Concetto questo che anche gli americani hanno sviluppato nella loro recente Nuclear Posture Review (NPR).
Conseguentemente, anche Pechino potrebbe abbassare la soglia per l’utilizzo delle sue armi nucleari.
In conclusione, in attesa di sapere cosa ne sarà del New Strat, è indubbio che l’ingresso del mondo in una nuova era nucleare è iniziato. E l’Entanglement (letteralmente “intreccio”) tra armi “non-nucleari” e armi nucleari potrebbe riorientare il ruolo di queste verso una vera e propria capacità di combattimento “tattica”, facendo loro perdere la funzione strategica di deterrenza/dissuasione a cui ci eravamo tanto abituati.
Non necessariamente un bene!
NOTE
1 Non trattiamo in questa sede l’Outer Space Treaty, il Comprehensive Nuclear-Test–Ban Treaty (CTBT) e il Partial Test Ban Treaty (PTBT) che, sebbene fondamentali a livello internazionale, esulano dalla trattazione specifica.
2 La Defense Intelligence Agency (USA) stimava l’esistenza di 60-80 testate nucleari in possesso di Israele. Si veda “Nuclear Weapons”, disponibile al sito web: https://fas.org/nuke/guide/israel/nuke/
3 L’articolo VI del Non-Proliferation Treaty, il fulcro per giungere all’obiettivo del Disarmo totale, non dispone che gli Stati debbano giungere all’eliminazione totale delle armi nucleari.
Prevede invece che gli Stati possessori di armi nucleari debbano solo intraprendere negoziazioni a tal fine. Il requisito delle “negoziazioni” non ha molto significato: queste possono essere intraprese come possono non esserlo affatto. Soprattutto, se avviate, non è detto che giungano ad un risultato in linea con quello del disarmo totale. Si veda Kjølv Egeland et al. “The nuclear weapons ban treaty and the non-proliferation regime” in Medicine, Conflict and Survival, vol. 34(2), 2018, p. 10.
4 James Acton, Escalation through Entanglement, in International Security, vol. 43 (n.1), 2018, pp. 61-66.
© RIPRODUZIONE RISERVATA