Di Giuseppe Santomartino*
Washington. Il triste Ventennale dell’11 settembre sarà certamente ricordato in varie forme ed approcci, qui voglio ricordarlo ponendo una domanda forse un po’ provocatoria: abbiamo capito dopo tanti anni qual è il vero ‘motore primo’ che ha generato questo evento e, più in generale, il fenomeno Jihadista?

Un’immagine dell’attentato dell’11 settembre al Pentagono, diffusa dall’FBI.
Alcuni dati forse rafforzeranno la drammatica “attualità” di questa domanda: secondo alcune fonti dall’ 11 settembre ad oggi abbiamo avuto oltre 30 mila attacchi di matrice jihadista; nel decennio 2010 – 2019 il Jihadismo avrebbe causato circa 170 mila vittime (numero quasi triplicato rispetto al decennio dopo l’11 settembre).
Recentissimi rapporti ONU hanno valutato il fenomeno jihadista ancora in “broad continuity” ed “emerging” in particolare in Asia ed Africa ( di fronte casa nostra, dove il fenomeno ha avuto una forte espansione negli ultimi anni tanto da identificare il Sahel quale “nuovo epicentro del Jihad globale”).
Oggi più che mai ha quindi senso chiederci quale sia stato il vero “motore primo” che ha generato l’11 settembre, al-Qa’ida, i Talebani, l’ISIS poi diventato Islamic State – Califfato con almeno una dozzina di Wilayat ( province affiliate) nel mondo dal Sahel alle Filippine, fra cui l’IS-Khorasan di cui si parla molto in questi giorni, al-Shabaab in Somalia, Boko Haram e tutta la complessa galassia jihadista che ancora nel 2020 ha prodotto circa 2 mila attentati in oltre 50 Paesi, provocando circa 10 mila vittime.

Miliziani di Boko Haram
In questi venti anni migliaia di articoli, analisi, talk-show, Report anche da fonti istituzionali o di autorevoli Think-tank ci hanno raccontato il fenomeno Jihadismo-terrorismo di matrice islamica ma ed è questo il punto critico, focalizzando per lo più se non quasi esclusivamente i suoi più “evidenti” profili evenemenziali ed epifenomenici (profili indotti, secondari, seppure drammatici e gravissimi, quali gli attentati, le loro dinamiche, i Foreign Fighters, violenti proclami antioccidentali, violenze sulle donne etc) ovvero temi ‘evergreen’ (Chi procura le armi, chi supporta politicamente , chi finanzia il Jihadismo?).
Sono tutti temi, intendiamoci, rilevanti, significativi, spesso eclatanti e su cui è giusto dedicare ampie trattazioni, ma forse nel fare ciò si è dedicato poco ed inadeguato spazio a quello che è invece il vero “motore primo” dell’intero fenomeno jihadista – terrorismo di matrice islamico: l’ideologia.
L’ideologia associata al Jihadismo è infatti la principale risorsa del fenomeno, che consente al Jihadismo di esprimere un forte potere identitario, mobilitante ed eversivo che spiega ( purtroppo) i tragici eventi, l’ affermazione di gruppi jihadisti ed i drammatici ed eclatanti ‘epifenomeni’ sopra citati, fra cui le migliaia di attentati e l’epifenomeno dei cd ‘Foreign Fighters’, tutte cose che, senza questo ‘”motore primo” ideologico, semplicemente non sarebbero mai esistite ovvero sarebbero esistite in forme meno drammatiche.
Ma vediamo su quali basi si può sostenere l’ affermazione di questo ruolo fondamentale e assolutamente centrale dell’ ideologia.
Nel 2004 viene pubblicato il “Final Report” della Commissione USA sull’11 settembre.
Si trattava di un documento di circa 600 pagine a cui avevano lavorato numerosi esperti che avevano prodotto un’analisi che è andata ben oltre il mero evento terroristico.
Eco alcuni stralci:
“La minaccia in questo momento è costituita dal terrorismo islamista, dalla rete di al Qaeda, i suoi affiliat

Militanti di Al Qaeda
i, la sua ideologia…[che si basa] su una lunga tradizione di estrema intolleranza cha va almeno da Ibn Taymiyya [XIV secolo], attraverso i fondatori del Wahabbismo, i Fratelli Musulmani a Sayyid Qutb (considerato, insieme a A. ‘ Azzam, il maitre^a^penser del Jihadismo contemporaneo]. Questa corrente ideologica …non distingue la politica dalla religione…Il nostro nemico ha un duplice profilo: al-Qaeda…; e un movimento ideologico radicale solo in parte ispirato da al-Qaeda; … pertanto la nostra strategia dovrà avere due direzioni: smantellare la rete di al-Qaeda e prevalere nel più lungo periodo sull’ ideologia che fa di base al terrorismo islamista. L’ Islam non è il nemico. L’Islam non è sinonimo di terrore”
Il Final Report continua evidenziando che la strategia da adottare potrebbe richiedere “decenni, non anni” e che essa dovrà essere “qualcosa di più di una guerra al terrorismo”.
Nello stesso anno il Nixon Center pubblicava uno studio in cui si legge: “Il terrorismo di per sé è solo uno strumento…la punta di un iceberg…nella più ampia war of ideas contro l’ Occidente per avere successo dobbiamo capire le radici di questa ideologia”.
Più recentemente, nel 2014, il Generale USA M. K. Nagata, Comandante delle Forze Speciali in Medio Oriente, ammettendo difficoltà nel capire l’ ideologia dell’ ISIS ebbe a dire: “We do not understand the movement , and until we do, we are not going to defeat it….We have not defeated the idea. We do not even understand the idea.”
Nel 2019, B. Chellaney sul prestigioso Foreign Policy scriveva: “The Global War On Terrorism è fallita…attaccare i terroristi ed i loro networks può portare solo successi temporanei, ma la strategia di lungo periodo deve basarsi sul discredito dell’ ideologia che attira i terroristi”.
Muhammad Hanif, ricercatore musulmano e docente di relazioni internazionali in Singapore nel suo testo fondamentale “The Father of Jihad”, evidenzia “la centralità dell’ ideologia” nei vari gruppi jihadisti e quindi l’ esigenza di adottare una appropriata strategia di “counter-ideology” (cosa diversa dalle semplici iniziative di de-radicalizzazione).
Da queste poche ma autorevoli citazioni possiamo trarre un ammaestramento assolutamente fondamentale ma che forse è stato trascurato o poco recepito in questi Venti anni: una valida e credibile strategia di analisi, di prevenzione e di lotta al Jihadismo ed alle sue devianze terroristiche non può prescindere da una ampia e profonda comprensione e contrasto del suo principale elemento di forza: l’ideologia.
Lo strumento militare può essere valido supporto in tale strategia, ma non può costituire la strategia prioritaria.
L’IDEOLOGIA JIHADISTA – LE COSIDDETTE AZIONI ‘ SUICIDE’.
L’ ideologia jihadista è però materia molto complessa e non può quindi esaurirsi in una trattazione di poche pagine, ma già evidenziarne la centralità in tutto il fenomeno del Jihadismo costituisce un importante step conoscitivo.
Qui appare utile ricapitolare i suoi principali elementi: una rigida interpretazione della Shari’a; il concetto di Stato Islamico e di Califfato Universale, una visione deviante del Jihad ( erroneamente tradotto spesso quale ‘ guerra santa’) in chiave offensiva, il concetto di martirio-testimonianza.
Quasi tutti questi concetti nascono da interpretazioni devianti dell’Islam e non a caso hanno generato autorevoli, seppure poco note, condanne da parte di centinaia di autorità religiose musulmane.
I primi tre concetti sono già stati, seppure sinteticamente, trattati nell‘ articolo su Report Difesa dal titolo “Estremismo Islamico, chiavi interpretative” del 30 agosto scorso, sempre nel contesto del triste Ventennale (https://www.reportdifesa.it/estremismo-islamico-alcune-chiavi-interpretative-la-sharia-non-e-un-codice-ma-una-via-etica/)
Qui si tratterà l’ultimo elemento: la cosiddetta “azione-suicida”, poichè questo ha avuto la sua più drammatica espressione proprio nell’evento dell’11 settembre.
Va detto preliminarmente che, in un apparente paradosso, il suicidio, in quanto tale, è considerato peccato e quindi atto contrario all’Islam.
Gli atti, quali gli attentati dell’11 settembre, che noi percepiamo e definiamo quali “attentati suicidi” ( spesso anche con la definizione assolutamente impropria di “kamikaze” ) nell’ ideologia jihadista sono in realtà concepiti e definiti in tutt’altro modo.
Si tratta di “Operazioni di Testimonianza (in arabo “Amaliyat Istishhadiyah”).
L’ ideologia jihadista considera infatti queste azioni non quali suicidi, ancorché con finalità politiche, ma azioni di testimonianza di fede.
Il termine adoperato, infatti, in arabo deriva dalla radice sh, h , d , da cui il termine Shahid (martire o anche testimone dell’Islam o anche modello di vita).
No caso è il termine usato nel Corano per indicare i profeti.
Per capire l’ importanza islamologica di tale concetto, e quindi ( purtroppo) il suo forte potere mobilitante, va detto che dalla medesima radice sh,h,d deriva il termine Shahada che è la confessione di fede dell’Islam (Non c è altro Dio se non Allah e Maometto è il suo profeta, usata anche quale iscrizione nei vessilli jihadisti).
A questi Shahid sarebbero riservati una serie di privilegi dopo la morte.
Il teorico del Jihadismo che ha riesumato nel secolo scorso il concetto di Martirio – Testimonianza, facendolo diventare di fatto uno dei principali strumenti del terrorismo contemporaneo, è il palestinese Abdullah ‘Azzam (1941 – 1989), personaggio poco conosciuto in Occidente ma considerato il “vero ideologo di al-Qa’ida”. ‘
Azzam è stato tra l’ altro anche l’inventore del termine al-Qa’ida e la vera anima della resistenza antisovietica dei Mujahidiin in Afghanistan.
Egli ha anche teorizzato il concetto di “Fard Ayn” (obbligo individuale per ogni musulmano) del Jihad e delle “Sedici ragioni” a supporto del Jihad, che possono essere considerati, insieme al Martirio-Testimonianza, i più pericolosi elementi mobilitanti dell’ideologia jihadista contemporanea.
NOTA
Per eventuali approfondimenti sull’ ideologia jihadista si rimanda https://www.pandaedizioni.it/catalogo/saggistica/conoscere-e-contrastare-il-jihadismo/?fbclid=IwAR07ovNq0PdONY7ZWLxWc1DCKzlv6hRD3YRgHxIicB7B4OVkes7ZdyWruqo
*Generale di Divisione dell’Esercito (Aus). Dottore in Scienze Politiche a indirizzo Islamico presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli
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