Gaza: il popolo palestinese merita di essere liberato dalla tirannia di Hamas

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV (nostro servizio particolare). Nel marzo scorso, la Striscia di Gaza è stata scossa da un evento senza precedenti: migliaia di palestinesi sono scesi in strada per protestare contro Hamas, il gruppo islamista che controlla militarmente e politicamente l’enclave dal 2007.

Manifestazioni a Beit Lahia, Jabalia, Khan Yunis e Gaza City hanno risuonato di slogan come “Hamas fuori!” e “Vogliamo vivere”, gridati con coraggio da una popolazione stremata.

Un’immagine propagandistica di Hamas

 

Questo grido collettivo, forte e disperato, ha infranto anni di silenzio imposto con la paura e la repressione.

È la voce di un popolo che, dopo decenni di occupazioni, conflitti e isolamento, rivendica la dignità di vivere libero anche dal dominio interno di chi, pur proclamandosi difensore della causa palestinese, ha di fatto trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto.

Le proteste sono scoppiate a seguito di un ulteriore peggioramento delle condizioni umanitarie: scarsità cronica di cibo e acqua potabile, mancanza di cure mediche, sfollamenti forzati e continue violazioni dei diritti civili.

Ma ciò che ha fatto traboccare il vaso è stata l’accusa, sempre più diffusa tra la popolazione, che Hamas stia gestendo in modo clientelare gli aiuti umanitari, arrivando perfino a venderli invece di distribuirli gratuitamente.

Sebbene le Nazioni Unite abbiano dichiarato di non disporre di prove concrete di una sistematica sottrazione degli aiuti da parte del gruppo al potere, resta evidente che esiste una frattura profonda tra Hamas e la popolazione che dovrebbe rappresentare e proteggere.

Chi oggi parla a Gaza non chiede armi, né vendetta, né martirio.

Forze di terra israeliane operanti nella Striscia di Gaza

Chiede semplicemente libertà, pane, scuola, lavoro, cure mediche, una casa sicura.

Chiede, in altre parole, ciò che ogni essere umano dovrebbe poter rivendicare come diritto e non come favore concesso da un gruppo armato.

Hamas, invece, continua a imporsi come un’autorità che usa la paura, la repressione e il controllo economico per mantenere il proprio potere, anche a costo di sacrificare la propria gente sull’altare della propaganda e dello scontro permanente.

Sul piano geopolitico, la situazione si è ulteriormente complicata: Israele, nel tentativo di indebolire Hamas, ha ammesso di aver fornito armi a clan locali e gruppi armati rivali, come le “Popular Forces” guidate da Yasser Abu Shabab.

Yasser Abu Shabab

Alcuni di questi gruppi, già implicati in attività criminali, sono stati accusati di aver saccheggiato gli stessi aiuti umanitari, con la tacita approvazione delle forze militari israeliane.

Questo quadro caotico, in cui le milizie si moltiplicano e la popolazione resta in balia delle lotte di potere, dimostra quanto poco il popolo palestinese sia al centro dell’agenda politica, sia da parte dei suoi “rappresentanti” interni, sia da parte degli attori esterni.

Sostenere la popolazione di Gaza oggi significa una cosa chiara: aiutare i civili a liberarsi da Hamas.

Intervento della Mezzaluna Rossa a Gaza

Non si tratta di scegliere da che parte stare nel conflitto israelo-palestinese, ma di dare voce a chi è ostaggio di un gruppo che reprime ogni forma di dissenso, censura l’informazione, utilizza infrastrutture civili per fini militari, arruola i giovani in una spirale di odio e impedisce ogni forma di pluralismo politico. Hamas non è un movimento di liberazione, ma una forza vessatoria che tiene il proprio popolo in ostaggio, piegandolo alla logica della guerra perpetua, dove ogni vita vale solo se sacrificata.

La comunità internazionale, troppo spesso concentrata sul dualismo Israele-Hamas, deve invece iniziare a riconoscere la terza, vera parte lesa: la popolazione civile palestinese.

È questa popolazione che merita sostegno, protezione, sviluppo e libertà.

È questa popolazione che può essere protagonista di un cambiamento, se messa in condizione di esprimersi, organizzarsi e decidere del proprio futuro.

Per farlo, però, occorre rompere il muro del silenzio e dell’ambiguità, sostenendo apertamente chi ha il coraggio di alzare la voce contro Hamas e di chiedere un’alternativa di vita, non di morte.

In un contesto tanto complesso, nessuna soluzione sarà semplice.

Ma un principio deve restare saldo: non si può restare indifferenti davanti a una popolazione che chiede di essere liberata da chi la opprime in nome della sua stessa causa.

Non ci può essere giustizia per i palestinesi senza la fine della tirannia di Hamas.

Solo allora si potrà parlare davvero di autodeterminazione.

Solo allora, la libertà avrà lo stesso significato anche a Gaza.

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