Boris Johnson, le ore più convulse

Di Pierpaolo Piras 

Londra. Non c’è pace a Westminster. Martedì scorso, il Parlamento inglese ha dimostrato tutta la sua indifferenza verso la baldanza di Boris Johnson, nella sua prima seduta da Primo Ministro: una maggioranza di 328 deputati contro 301 , in opposizione alla sua politica per una Brexit anche senza accordo, ha approvato una mozione al fine di evitare che il Regno Unito si separi dalla Unione Europea senza un accordo.

Sono ben 21 i parlamentari Tories che hanno defezionato dal partito conservatore e che la notte stessa hanno appoggiato un ulteriore risoluzione per richiedere alla Unione Europea una proroga di ulteriori tre mesi dopo la data, ultima ed effettiva, del 31 ottobre, sempre che non si raggiunga prima un’intesa con Bruxelles.

Alla Camera dei Comuni continuano queste ripetute esibizioni di mediocrità politica, che dal 2016, data del referendum sulla Brexit, ha spaccato profondamente la società britannica compresi coloro che allora votarono per la fuoriuscita inglese dall’Europa.

Ancora una volta, il punto chiave è rappresentato dalle conseguenze negative, e persino violente, che potrebbero insorgere al ristabilimento di un confine fisico alla frontiera tra l’Irlanda e L’Irlanda del Nord.

In campagna elettorale nel suo partito, Johnson ha vantato le sue capacità decisionali e risolutive sulla “Brexit a tutti i costi”, utilizzando tutte le sue conoscenze legali e mezzi parlamentari per impedire altri rinvii oltre il prossimo 31 ottobre.

Il premier britannico Boris Johnson

In assenza di riscontri documentali , il Premier ha fatto intendere che, sotto sotto, si sarebbe raggiunto un accordo costringendo la Regina, Elisabetta II, a firmare un provvedimento di sospensione dell’attività parlamentare per cinque settimane. Il fine non era nobile ma inteso a sottrarre tempo parlamentare ai suoi oppositori.

Infine, ha minacciato di andare alle elezioni politiche anticipate per impedire le deliberazioni della Camera dei Comuni.

Ma, almeno in questo caso, la politica, a Westminster, ha dimostrato di possedere ben altro senso di responsabilità, ponendo il bene comune e gli interessi della nazione al di sopra degli interessi di partito: all’inizio di questa prima seduta dell’attuale parlamento, il deputato conservatore Philip Lee ne è stato un chiaro esempio passando spettacolarmente dagli scranni dei conservatori a quelli dell’opposizione liberal-democratica.

Nella stessa seduta parlamentare, l’umiliazione di Johnson è proseguita con il Tory Philip Hammond, già ministro degli affari economici, da sempre convinto avversario della Brexit. “Questo governo non ha un mandato, non ha morale e, ad oggi, non ha la maggioranza in questo Parlamento”, ha detto Hammond.

In effetti, malignando un po’, sembra che Boris Johnson stia elaborando strategie e passaggi giuridici di fatto inaccettabili sia per il diritto internazionale che per la Unione Europea, salvo poi attribuirgli la colpa di un eventuale fallimento.

Comunque vadano le cose, la Camera dei Comuni ha assestato un colpo vigoroso alla proterva strategia di Johnson a favore della Brexit.

La stessa popolazione del Regno Unito desidera che questo stato di costante tensione politica cessi al più presto : la sterlina è in continuo ribasso, i timori per una ripresa delle violenze e lutti in Irlanda come in passato, la riduzione dei servizi sanitari necessari agli ammalati e degli standard occupazionali e protezioni sociali, sono solo alcuni degli aspetti relativi ad una Brexit no-deal.

 

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