Di Pierpaolo Piras
Londra. Boris Johnson, primo ministro inglese, ha debuttato al summit dei capi di Stato (G7) tenutosi nei giorni scorsi a Biarritz, nel Sud-Ovest della Francia.
L’occasione era ghiotta per dirimere i dubbi e le intenzioni britanniche sul patente tema della “Brexit”.
A tal proposito, Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, come altre volte in passato, ha sottolineato di essere “disposto ad ascoltare idee che siano operative, realistiche ed accettabili per tutti gli Stati membri della UE, compresa l’Irlanda, se è quando il Governo britannico sarà pronto”.
Uno stuolo di funzionari dell’Unione ha avuto l’incarico d’incontrare i consiglieri di Johnson.
Al termine di tale incontro , i funzionari europei hanno dichiarato che “ non c’erano elementi sostanziali da nessuna parte” e, ovviamente, non dalla parte del Regno Unito.
Nella stessa occasione, anche Boris Johnson non ha affermato alcuna novità.
Nel corso della conferenza stampa a conclusione del meeting, su sollecitazione dei giornalisti, Johnson ha chiarito che la Gran Bretagna ha numerosi interessi in comune con la gran parte dei Paesi europei ed intende mantenerli. Ha poi accusato che la “Brexit con accordo” non si è ancora realizzata a causa dell’ostinata chiusura dei ”nostri amici europei”.
Contravvenendo al suo personaggio un po’ istrionico, famoso per le “gaffe” e le esibizioni da barzellettiere, stavolta il suo aplomb è stato quasi impeccabile. Lo è stato anche quando in una seduta comune ha osteggiato il desiderio di Donald Trump di approvare il rientro della Russia nell’ambito del G7.
Al suo rientro a Londra, il premier inglese ha affermato di essere “leggermente ottimista” su un prossimo accordo con l’UE sulla Brexit.
Non è tardata a giungere la risposta di Jeremy Corbin, leader del Partito Laburista, che si oppone vivamente all’intenzione di una “Brexit no deal” perché lascerebbe il Regno Unito in balia degli USA.
Sulla tormentata vicenda dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, Corbin , pur fra qualche contraddizione, ha sempre cercato una comune intesa con altre forze politiche alla Camera dei Comuni, assumendo il ruolo di equilibrato custode degli interessi nazionali e delle classi meno abbienti, con la palese ambizione politica di raggiungere nelle prossime elezioni il n°10 di Downing Street.
Boris è ostinato nel ripetere che l’Inghilterra “può facilmente far fronte alla fuoriuscita senza accordo”.
Ma, queste parole sono clamorosamente smentite da un preciso documento governativo (Rapporto Yellowhammer) dal quale risultano tutte le conseguenze negative di una dipartita “no deal” dalla UE, come ad esempio:
- i forti ritardi nel transito delle merci e persone attraverso i principali valichi alla frontiera con la Francia , compromettendo alcuni alimenti freschi come le carni ed i prodotti agricoli ed ancor di più, i medicinali su base biologica come l’ormone insulina
- i ritardi potrebbero durare fino a due giorni e mezzo per i mezzi pesanti e fino a tre mesi, in altre occasioni
L’esportazione dei prodotti petroliferi verso la UE sarebbe meno competitiva e verrebbe ripristinato il controllo fisico alla frontiera tra le due Irlande, del Sud e del Nord.
Viene “apertis verbis” paventato un peggioramento dell’ordine pubblico con violente manifestazioni di piazza.
A Biarritz, una certa tensione si è creata allorquando Johnson ha comunicato che in caso di “no deal” , non avrebbe versato i 39 miliardi di euro presenti nella transazione finanziaria concordata, a suo tempo, da Theresa May con l’Unione.
E che tale enorme somma sarebbe stata utilizzata per le priorità del Regno Unito e per stringere migliori relazioni commerciali con i Paesi del G27.
La risposta di Bruxelles è stata immediata e minacciosa di sospendere ogni accordo commerciale con il Regno Unito precisando che le problematiche finanziarie, quelle che riguardano i diritti dei cittadini ed il back stop al confine irlandese saranno la “conditio sine qua non” per l’apertura proficua di ogni negoziato sul commercio.
Data la sperimentata volubilità delle forze politiche a Westmister, Boris Johnson ha proposto di superare furbescamente il 31 ottobre, giorno di passaggio, previsto ed effettivo, della fuoriuscita dall’UE, chiudendo la House of Commons nello stesso periodo, per 5 settimane.
Autorevoli giuristi hanno squalificato questa tattica definendola come un grave abuso di potere ed un attacco alle libertà e principi costituzionali.
Ciò di cui si parla poco nel Regno Unito è la possibilità per le grandi società americane di acquisire consistenti fette del Servizio Sanitario inglese (NHS) e dell’industria siderurgica.
La confusione regna anche perché i deputati conservatori che sono contro la Brexit, insieme ai parlamentari liberali, il partito SNP, ed i laburisti, hanno trovato molto difficile trovare una strategia politica attorno alla quale unirsi.
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