Brexit, la protervia di mister Boris Johnson. Il primo ministro invia una lettera alla UE. L’opposizione pensa ad un altro referendum

Di Pierpaolo Piras

Londra. La protervia di Boris Johnson, primo ministro del Regno Unito, sembra non riconoscere limiti.

Il capo del Governo britannico Boris Johnson

Sabato scorso, a Bruxelles, l’accordo da lui firmato per la fuoriuscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea ha subito un’umiliante sconfitta dalla maggioranza dei deputati (322 contro 306) della Camera dei Comuni.

Nonostante ciò, Johnson ha scritto una lettera all’Unione Europea, ribadendo la sua intenzione di attuare la Brexit senza accordo (no deal) nella data stabilita del 31 ottobre prossimo.

Ne ha poi inviato un’altra in chiave contradditoria alla prima, affermando che una dilazione di tale scadenza sarebbe stato un errore, non escludendo, quindi, la possibilità di dilazionare quest’ultima data di ulteriori tre mesi.

Ad unisono, giunge anche l’approvazione di Dominic Raab, ministro degli Esteri e Michael Gove, ministro dell’Ambiente, entrambi influenti componenti del Gabinetto Johnson.

Dopo la decisione di Westminster, Boris Johnson è stato costretto, per legge, a richiedere una terza proroga della Brexit per almeno altri tre mesi, ovvero sino al 31 gennaio prossimo.

Obtorto collo, Johnston l’ha fatto.

Lo schieramento interpartitico che ha bocciato la proposta governativa, capeggiato dal deputato indipendente Oliver Letwin, non ha emanato alcun provvedimento inteso a prevenire una futura Brexit no-deal e/o sulla eventuale esecuzione di un secondo referendum.

Donald Tusk, presidente del Consiglio d’Europa – organismo della UE che valuta l’indirizzo politico dell’Unione e composto dai capi di Stato o di Governo di ogni singolo Paese – ha dichiarato di aver ricevuto la comunicazione del Governo inglese e che il contenuto sarebbe stato valutato in sede comunitaria.

Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk

Keir Starmer, uno dei più importanti esponenti e ministro “ombra” degli Interni del Partito Laburista, va oltre le formali posizioni politiche, affermando la disponibilità del Labour Party a sostenere la Brexit secondo gli ultimi dettami definiti da Johnson, ma solo se contestualmente venisse accettata la esecuzione di un secondo referendum.

A tale scopo la Camera dei Comuni potrebbe essere convocata a Westminster con procedura urgente per sabato prossimo.

Inutile rilevare che questa tormentata vicenda della Brexit sta spossando sempre più la stima e pazienza del popolo inglese verso le proprie civilissime istituzioni.

In aggiunta, i Laburisti hanno vantato anche l’alternativa di sottoporre l’ultimo accordo Johnson-UE alla valutazione diretta del popolo, ma insieme ad altri caposaldi del proprio programma politico come la tutela dell’ambiente, gli investimenti, l’istruzione pubblica e il welfare.

La settimana prossima sarà decisiva per dirimere il caos politico, legislativo e procedurale in merito all’annosa vicenda della Brexit, con o senza accordo.

La parte più ostinata dei Conservatori (Tory) vuole ottenere a tutti i costi che il Regno Unito lasci l’Unione Europea il 31 ottobre prossimo: questa è stata la ripetuta ed urlata promessa di Boris Johnson ai elettori.

Boris sa bene nei prossimi mesi saranno in gioco sia la sua credibilità politica nelle Istituzioni europee che verso quei partiti inglesi, accesamente euroscettici, che lo hanno eletto al n° 10 di Downing Street.

Al momento, Johnson si presenta alla politica nazionale come l’unico che dal referendum del 2016 ad oggi sia riuscito a firmare un accordo con l’Unione Europea.

Se il conflitto dovesse continuare, l’argomento della Brexit continuerebbe a dominare ogni disputa politica, forzando un nuovo referendum, indebolendo la forza delle istituzioni nazionali e aggravando il già elevato livello di tensione nei rapporti sociali.

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