Di Pierpaolo Piras
Londra. Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur. Con questa famosa frase, lo storico Tito Livio significava la perdita di tempo in chiacchiere nelle sedute del Senato romano mentre Sagunto (città spagnola contesa con i Cartaginesi nella Seconda guerra punica) veniva espugnata con grande violenza dall’esercito di Annibale.
C’è una similitudine con la vicenda inglese della “Brexit”, sempre più e travagliata e contraddittoria.
Ultimamente, si è aggiunta l’autorevole voce di Mark Joseph Carney, economista, nominato nel 2012 (sino al 2020) come Governatore della Banca d’Inghilterra da George Osborne, cancelliere dello Scacchiere (equivalente al nostro ministro delle Finanze) . Oltre a tale incarico, è presidente del “Financial Stability Board” per il controllo del sistema finanziario internazionale, G20 compreso.
Autorevolmente, Carney ritiene che l’economia britannica non sia in alcun modo pronta ad affrontare le negatività che deriveranno dalla fuoriuscita dell‘Inghilterra dalla Comunità Europea, prevista per il 29 marzo prossimo. Ha ammonito il Governo britannico che la Nazione ha la necessità di un lungo periodo di transizione per adattarsi a qualsiasi forma di fuoriuscita del Regno Unito dal sistema dell’Euro e dell’EU.
Altre valutazioni governative pongono al 3,9% le perdite dell’economa nazionale rispetto alla eventuale permanenza nella UE.
A fronte di ciò ed a meno di cento giorni dal termine sancito per la fuoriuscita effettiva dalla UE, Theresa May, capo del Governo britannico, replica vantando l’accordo per la “Brexit” per la salvaguardia dei posti di lavoro e dell’economia nazionale.
La May ha dato , poi, disposizioni per l’assunzione di circa 10 mila dipendenti pubblici ed ordinato la preparazione di 3.500 militari da stanziare alle frontiere – in attesa di non si sa che cosa – ipotizzando un parziale ripristino ufficiale del contestato confine tra le due Irlande.
Le affermazioni e gli atteggiamenti, tattici o meno poco importa, del Governo May sembrano sempre più un bluff al quale pochi credono ancora. Il suo Esecutivo è già andato in minoranza per ben tre volte alla Camera dei Comuni, la Commissione Europea ha rifiutato l’accordo per la fuoriuscita dalla Comunità Europea, presentata dal suo Governo.
La “Bank of England” e le rappresentanze delle imprese e dei lavoratori sono unanimi nel reputare disastrosa la fuoriuscita del Regno Unito dalla UE senza accordo (no-deal).
Le conseguenze immediate sarebbero l’incremento delle procedure amministrative alle dogane; le licenze commerciali a lunga scadenza rilasciate in Inghilterra non sarebbero più applicabili nel resto del Continente europeo. La commercializzazione subirebbe un rallentamento del trasporto e distribuzione delle derrate alimentari. Ancora, la sterlina subirebbe un ulteriore deprezzamento rispetto all’euro ed al dollaro, oltre a quello già subito negli ultimi due anni.
Non sono da escludere gli ostacoli che la Polizia britannica potrebbe incontrare nell’accesso alle informazioni più utili nella lotta alla grande criminalità internazionale.
A fronte di queste prossime e sventurate prospettive, il Governo inglese non ha formulato, finora, alcuna soluzione su come intende fronteggiare le crisi.
A tale proposito, il mondo delle imprese critica aspramente l’inettitudine della May, incolpandola di aver grandemente trascurato le legittime esigenze di una società evoluta e produttiva come quella del Regno Unito, laddove occorrono tempi ben definiti di preparazione alla eventuale fuoriuscita, sia per gli aspetti tecnici che amministrativi.
La segretezza inspiegabilmente cinta intorno ai recenti negoziati (falliti) con Jean Claude Junker, presidente della Commissione Europea, ha lasciato le aziende inglesi incapaci di prepararsi adeguatamente. E’ stato calcolato che in caso di fuoriuscita senza accordo (no-deal), il carico amministrativo per le commesse dell’industria salirebbe a circa 260 milioni di pratiche doganali da esaminare all’anno, rispetto ai 5 milioni attuali.
Tutti i soggetti politici chiedono che il Governo inglese abbandoni la politica del “bluff” per adottarne una più realistica e capace di dilazionare la scadenza di marzo prossimo , permettendo così di indire nuove elezioni e/o un secondo referendum, rendendo il popolo britannico più conscio e quindi più libero di uscire da tale groviglio inestricabile dove Theresa May ha dimostrato notevole inadeguatezza.
Insomma, Il tempo passa e mentre la società ed il mondo del lavoro inglesi languono, alla Camera dei Comuni non si fa altro che parlare inconcludentemente.
Proprio come, in passato, a danno di Sagunto….
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