Di Pierpaolo Piras
Londra. Si, anzi no. A Westminster, continua l’incredibile altalena di voci, posizioni contradditorie e cambiamenti di fronte tra i protagonisti della politica inglese.

Theresa May in un dibattito al Parlamento
Mancano soltanto cinque giorni alla scadenza dei termini per la realizzazione della “Brexit”. Se le istituzioni europee non concederanno ulteriori dilazioni, venerdì prossimo avverrà una separazione senza accordo del Regno Unito dall’Unione europea.
Negli ultimi tempi, Theresa May, primo ministro britannico, è stata sconfitta dal voto dei parlamentari per ben tre volte, sulla sua proposta di accordo di ritiro dalla UE. Adesso va provando la stessa esperienza politica.
Alla fine del mese scorso, ha chiesto a Bruxelles una proroga dell’articolo 50 (che esprime le procedure da seguire per la eventuale fuoriuscita di uno Stato membro) fino al 30 giugno. La risposta è stata negativa, ma è giunta l’offerta di due possibilità che, invece, sarebbero state accettate dall’Unione: 12 aprile senza un accordo oppure 22 maggio con l’accordo approvato.
Sabato sera, in un’accorata richiesta televisiva di sostegno, rivolta ai parlamentari di Westminster, la May ha paventato il pericolo reale che la Brexit possa “scivolare dalle mani”, lasciando il Regno Unito senza un accordo e di fronte alla scelta netta di ” lasciare l’Unione Europea con un accordo o non andarsene affatto”.

Sostenitori della Brexit
Per la prima volta in questa sconcertante ed annosa vicenda politica, la premier esprime la chiara possibilità che si possa rimanere nell’Unione Europea!
L’inquilina di N°10 di Downing Street, più debole che mai, deve fronteggiare anche l’opposizione crescente dei parlamentari conservatori più rigidi, sulla possibilità che il Regno Unito debba prendere parte alle elezioni europee previste per la fine di maggio prossimo e ad estendere l’adesione alla UE oltre la fine di giugno.
A Westminster, non regna l’ottimismo di fronte alla più grande crisi politica e costituzionale che il Regno Unito abbia vissuto da un secolo a questa parte.
Entrambe le parti sono consapevoli del fatto che, da un lato Bruxelles ha respinto più volte l’accordo inglese privo di un consenso politico a maggioranza, dall’altro che la May ha dovuto rivolgersi, indebolendo il suo ruolo, all’unica risorsa rappresentata da una proposta risolutiva comune, concordata con Jeremy Corbin, capo dell’opposizione laburista.
Finora, le principali divergenze tra i laburisti ed i conservatori hanno riguardato importanti aspetti relativi non solo al “remain” nell’Unione Europea, ma anche all’allineamento del mercato interno con quello continentale, la perequazione delle regole sul diritto del lavoro britannico con quello europeo e le spinose e complesse questioni relative al consumo e tutela ambientale.
I parlamentari “brexiters” più convinti già preannunciano una dura opposizione alla Unione Europea, esagerando che, “se siamo costretti a rimanere nella UE, saremo il membro più difficile”.
I 27 decideranno la risposta da dare a Theresa May, mercoledì, in un consiglio straordinario a Bruxelles.
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