Carabinieri: eseguite 9 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti presunti appartenenti e contigui a locale di ‘ndrangheta, operante ad Ivrea e nelle zone limitrofe

TORINO. All’alba di oggi, in Ivrea, Chivasso e Vibo Valentia, i militari del Comando Provinciale Carabinieri di Torino hanno tratto in arresto nove soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Torino su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, in quanto ritenuti gravemente indiziati a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, nonché truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso.

L’indagine, condotta a partire dal 2015 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – D.D.A. del capoluogo sabaudo, ha permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza in ordine all’operatività di una locale, struttura delocalizzata e territoriale della ‘ndrangheta, operante sul territorio di Ivrea e zone limitrofe, caratterizzata dalla presenza di soggetti ritenuti appartenenti a una cosca di Sinopoli (Reggio Calabria), con struttura organizzativa e ripartizione degli associati in ruoli di vertice e subordinati, associazione che si sarebbe avvalsa della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere, in particolare, delitti di estorsione, truffa e usura, con predisposizione dei mezzi necessari al raggiungimento degli obiettivi illeciti – luoghi di incontro, telefoni cellulari, utilizzo di autovetture – e con suddivisione dei ruoli.

L’esponente di spicco del sodalizio, già condannato per associazione di tipo mafioso, diretta emanazione del padre, vertice della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista, operante in Sinopoli.

I Carabinieri durante l’operazione

Le investigazioni hanno avuto inizio nel mese di novembre del 2015 da una costola delle indagini “Carni i Cani” e “Big Bang” con l’obiettivo di analizzare i contatti tra il clan, che quest’ultima operazione della Polizia Giudiziaria aveva evidenziato.

Le indagini, fin dalle prime battute, hanno evidenziato in ipotesi di accusa la presenza di due ambienti criminali distinti, entrambi di matrice ‘ndraghetista: da un lato un’organizzazione dedita a un vasto traffico di sostanze stupefacenti su scala internazionale con base in Torino, dall’altro un’organizzazione dedita alla commissione di vari reati contro il patrimonio sul territorio italiano ed estero.

La prima è stata censita con l’indagine “Cerbero”, del Nucleo Investigativo di Torino che, nel novembre 2019, ha portato all’arresto di 71 persone per associazione di tipo mafioso ‘nadranghtista, associazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti e altri reati.

La seconda, invece, è stata approfondita con l’indagine che ha portato alle misure cautelari di questa mattina, denominata convenzionalmente “Cagliostro”, in cui è emerso come sarebbe strutturata una stabile articolazione di tipo mafioso ‘ndranghetista radicata sul territorio di Ivrea e zone limitrofe e collegata alla rete unitaria della ‘ndrangheta piemontese.

Oltre al reato associativo, sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di una serie di reati scopo, in particolare truffe commesse in concorso con altri indagati non appartenenti all’associazione, perpetrate ai danni di imprenditori operanti nella provincia di Torino e compiute nella seguente modalità: gli indagati, secondo l’ipotesi accusatoria, si accreditavano espressamente come persone legate a “famiglie” criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro “sporco” corrispondendo in cambio somme di denaro significativamente inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli, che diventava il provento del raggiro. Una volta scoperte le truffe, gli indagati avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per intimidire le vittime e farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto.

Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600 mila euro.

Inoltre, sono stati raccolti elementi indiziari circa la commissione di due estorsioni condotte in danno di un broker finanziario, duramente minacciato dai membri dell’associazione mafiosa, dal quale si sarebbero fatti consegnare la somma di 85 mila euro, incassati mediante l’intermediazione di alcune società fittizie e in danno di alcuni imprenditori operanti nel mercato ittico.

I sodali, forti della loro nota appartenenza a famiglie malavitose, avrebbero anche costretto un imprenditore edile in difficoltà economiche ad effettuare dei lavori presso l’abitazione di uno degli indagati senza corrispondere alcun prezzo, per poi indurlo ad accettare un prestito a tasso usuraio.

I Carabinieri in azione

L’indagine ha anche consentito di raccogliere elementi per dimostrare in ipotesi di accusa il ruolo di esponenti di un secondo clan, i quali avrebbero estorto del denaro a due degli indagati di oggi in un contesto di intimidazione mafiosa che ha, di fatto, rivelato la caratura criminale dei rappresentanti della famiglia, riconosciuta anche dagli esponenti della cosca sopra citata.

In particolare, i componenti di quest’ulteriore cosca si sarebbero proposti quali alternativi ai componenti dell’altra, esercitando un potere di rivalsa nei confronti di alcuni indagati.

Infatti, in primo momento, avrebbero preteso la restituzione del denaro alla vittima, salvo successivamente estorcere denaro agli indagati, quale dazio per aver compiuto azioni criminali all’interno del territorio di influenza.

I nove indagati, alcuni dei quali già gravati da diversi precedenti penali e condanne per reati associativi e afferenti agli stupefacenti, sono stati condotti presso diverse carceri situate in regioni limitrofe al Piemonte in attesa dell’interrogatorio di garanzia davanti al GIP.

Il procedimento penale è al momento nella fase delle indagini preliminari e gli indagati sono da considerare non colpevoli fino a sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

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