Roma. Oggi ricorrono i 78 anni quando il 7 ottobre 1943 circa 2.500 Carabinieri romani furono catturati dai nazisti e deportati.
In questa intervista con il Generale di Brigata Antonino Neosi, Direttore dei Beni Storici e Documentali e del Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri, vogliamo ricordare quei momenti, insieme ai tanti fatti eroici che hanno visto i militari protagonisti della Resistenza e della Guerra di Liberazione.
Generale, il 7 ottobre 1943, a Roma, i nazisti catturarono alcuni Carabinieri e li deportarono? Come si arrivò a questa decisione da parte dell’occupante germanico?
Sono trascorsi 78 anni dalla deportazione subita dai Carabinieri romani, rimasta per molto tempo un episodio semisconosciuto della Resistenza, un evento che il tempo aveva quasi cancellato e che nessuno ricordava più.
Con l’armistizio dell’8 settembre, mentre tutto il Regio Esercito si era disciolto, i Carabinieri erano rimasti al loro posto per continuare a svolgere i compiti di polizia a favore della popolazione, così come previsto dalle convenzioni internazionali in caso di occupazione.
Tuttavia, pur essendo formalmente transitati alle dipendenze degli occupanti tedeschi, tramite il Comando delle Forze di Polizia della Città Aperta di Roma, i militari dell’Arma avevano subito cominciato a dare filo da torcere ai nazisti, sabotandone gli ordini, nascondendo le armi o rendendole inservibili, avvertendo chi stava per essere arrestato e aiutando chi veniva rastrellato a fuggire.
Erano quindi ritenuti inaffidabili e “pericolosi”.
Rispetto ai circa 11 mila Carabinieri presenti nella Capitale e nella provincia al momento dell’armistizio, alla data del 7 ottobre ne erano rimasti in attività circa 8 mila che, su quelle premesse di “inaffidabilità”, costituivano certo un rilevante ostacolo per gli obiettivi dei nazifascisti, che da subito dimostrarono scarsa considerazione per lo status di Roma Città Aperta.
Non stupisce, quindi, la decisione di procedere al loro disarmo.
L’ordine fu impartito, il 6 ottobre 1943, direttamente dal Maresciallo Graziani, che per costringere gli stessi Ufficiali dei Carabinieri ad eseguirlo, aveva minacciato di passare per le armi i disobbedienti e di effettuare rappresaglie sulle loro famiglie, che in gran parte abitavano negli alloggi delle caserme.
Ovviamente il Maresciallo d’Italia agì d’intesa con il Comando tedesco, ma non fu chiaro se fu il suggeritore o lo strumento di questa soluzione.
D’altra parte, Kappler conosceva molto bene la realtà italiana, essendo stato inviato nel nostro Paese già prima della guerra per attivare rapporti di collaborazione tra le SS e le forze di polizia italiane.
Di conseguenza, non poteva essergli sfuggito il particolare rapporto di fiducia che intercorreva tra i Carabinieri e la popolazione, il loro forte radicamento nel territorio e, non ultima, la fedeltà del Corpo al sovrano, cui veniva fatta risalire la responsabilità del “tradimento” italiano.
Tuttavia, nonostante le minacce, il piano di disarmo ordito da Graziani e dai Tedeschi non fu coronato da pieno successo: i tre quarti dei Carabinieri ebbe sentore di quello che stava accadendo e scelsero la clandestinità.
Tutti i Carabinieri presenti in servizio invece furono trattenuti per la notte nelle caserme e indotti a depositare le armi, che saranno poi consegnate al comando germanico, mentre reparti di SS e di paracadutisti tedeschi, armati di mitragliatrici, circondavano l’indomani mattina le sedi dei principali reparti dell’Arma, dove avrebbero dovuto essere concentrati anche tutti i militari delle Stazioni.
Molti Carabinieri, compreso il tradimento, riuscirono a consegnare armi rese inservibili, altri a comunicare con l’esterno, consentendo alla maggioranza dei colleghi che rientravano in caserma al mattino di evitare la cattura.
Vi fu poi una grande gara di solidarietà e di sostegno ai militari dell’Arma da parte della popolazione che cercò di trasmettere i messaggi ricevuti dai militari bloccati in caserma, aiutando gli scampati a nascondersi e a cambiarsi d’abito, con gravi rischi personali.
Dei Carabinieri in servizio nella Capitale, circa 2.500 purtroppo furono catturati.
Tra la tarda sera dello stesso 7 ottobre e l’indomani, i Carabinieri furono condotti a bordo di camion alle stazioni ferroviarie Ostiense e Trastevere, dove furono fatti salire su treni merci diretti in Austria e in Germania.
Qui i Carabinieri seguirono per quasi 20 mesi la stessa sorte penosa delle migliaia di altri militari italiani catturati su tutti i fronti dopo l’8 settembre: non furono considerati prigionieri di guerra, tutelati dalle convenzioni internazionali, ma fu inventata per loro la speciale categoria degli “Internati Militari Italiani”, soggetti a un durissimo lavoro coatto, alla fame, a maltrattamenti fisici e morali e a stenti di ogni genere.
A più riprese fu offerto loro di arruolarsi nelle forze armate tedesche o della RSI, ma il loro rifiuto fu sempre corale.
Furono circa 600 i Carabinieri romani che non faranno ritorno.
Gli storici hanno sempre raccontato che, da questa deportazione, si arrivò poi a quella del Ghetto ebraico il 16 ottobre dello stesso anno. E’ stato veramente così? O c’è dell’altro?
Il Tenente Colonnello Kappler, Comandante della Gestapo a Roma, aveva un particolare interesse per l’allontanamento dei Carabinieri dalla Capitale, ritenendoli un possibile ostacolo in vista delle programmate attività persecutorie, prime tra tutte il rastrellamento del Ghetto, e temendo che avrebbero potuto innescare una rivolta popolare, così come avvenuto qualche giorno prima a Napoli, dove diversi Comandanti di Stazione avevano capeggiato la rivolta stessa.
Per questo motivo, tra la deportazione dei Carabinieri di Roma e il rastrellamento del Ghetto ebraico avvenuto pochi giorni dopo è assolutamente possibile ipotizzare un preciso collegamento.
Si è trattato della più grande deportazione di uomini da Roma, quella avvenuta il 7 ottobre del 1943 e che ha anticipato di pochi giorni quella che il 16 ottobre colpì oltre 1.000 ebrei rastrellati nel Ghetto romano.
Furono circa 2.500, come detto, i Carabinieri catturati e deportati nei Lager, ma il numero complessivo, così come appurato nel corso negli anni, fu di molto superiore se si considera che ben 5 mila risulteranno i Carabinieri deportati nei lager nazisti al termine del conflitto.
I Carabinieri, il 25 luglio, arrestarono Benito Mussolini. Vogliano ricordare l’episodio ed i tre militari protagonisti?
L’arresto di Mussolini sicuramente contribuì ad accrescere il sospetto nutrito dai fascisti, che avevano sempre guardato con diffidenza i Carabinieri e che da quell’episodio li osteggiavano apertamente, ritenendoli corresponsabili del “colpo di Stato” e dell’arresto del duce.
Quel 25 luglio del 1943, all’indomani della seduta del Gran Consiglio del Fascismo che aveva avviato la caduta di quella dittatura, fedeli alla loro missione di Carabinieri Reali, alcuni ufficiali, il Tenente Colonnello Giovanni Frignani, il Capitano Raffaele Aversa, poi trucidati alle Fosse Ardeatine e il Capitano Paolo Vigneri, Comandanti dell’Arma territoriale della Capitale, avevano arrestato Benito Mussolini all’uscita di Villa Savoia, dopo un ultimo colloquio con il Re.
L’Arma è stata protagonista anche della Resistenza al nazi-fascismo. C’è una data storica da quando si può dare inizio a questa mobilitazione?
Dall’8 settembre 1943 all’aprile 1945 l’Arma dei Carabinieri visse uno dei periodi più difficili e al tempo stesso esaltanti della sua lunga storia.
Sebbene duramente provata su ogni fronte da quasi tre anni di guerra, trasse dalle sue antiche virtù militari l’energia organizzativa e la coesione morale per cimentarsi nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione.
Alla proclamazione dell’armistizio, la sera dell’8 settembre, i Carabinieri avevano reagito in tutta Italia all’occupazione tedesca, in molti casi respingendo e infliggendo perdite anche significative agli ex-alleati.
L’8 e il 9 settembre a Roma, un Battaglione di Allievi Carabinieri aveva efficacemente preso parte ai combattimenti della Magliana, per contrastare l’ingresso di due Divisioni tedesche in città, registrando l’eroico sacrificio del Capitano Orlando De Tommaso, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, e di altri giovani militari con lui.
A Monterotondo (Roma), i Carabinieri si erano distinti nella difesa del Quartier Generale dell’Esercito, e così avevano fatto i Carabinieri di molti altri reparti mobilitati, inquadrati all’interno delle Forze Armate, ma non minore era stata la reazione anche da parte dell’Arma territoriale.
A seguito del trasferimento del Re e del Governo legittimo del Paese, anche il Comando Generale dell’Arma, dal 12 settembre, si era ricostituito in Bari come Comando Carabinieri dell’Italia Meridionale che, dal successivo 15 novembre, assunse la denominazione di Comando dell’Arma dei Carabinieri dell’Italia Liberata dal quale dipendevano le Legioni di Bari, di Cagliari, di Catanzaro e di Napoli.
La ricostituzione in Roma del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri sarebbe avvenuta ufficialmente il 20 luglio 1944.
Nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione i Carabinieri riaffermarono quotidianamente spirito di abnegazione ed illimitata dedizione al dovere, fornendo un altissimo, generoso tributo di sangue.
Subito all’indomani dell’occupazione erano iniziate, in particolare nelle grandi città, i passaggi in clandestinità, via via più numerosi, specie a seguito della proclamazione della Repubblica Sociale il 23 settembre, man mano che i Carabinieri, rimasti al loro posto come forza di polizia a protezione della popolazione, come riconosciuto loro dalle norme del diritto internazionale, erano invece chiamati a collaborazioni ingrate con le forze nazifasciste, in perquisizioni e rastrellamenti, che palesemente boicottavano a costo di gravi rischi personali.
Sono molti i martiri dell’Arma. Quali sono gli episodi che possiamo far conoscere?
L’Arma contò 2.735 militari Caduti, 6.500 feriti ed oltre 5 mila deportati; un così alto tributo è stato riconosciuto con la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Bandiera, mentre a singoli sono stati conferiti 2 Ordini Militari d’Italia, 32 Medaglie d’Oro al Valor Militare, 122 d’Argento, 208 di Bronzo, 354 Croci di Guerra; la Bandiera ottenne anche una Medaglia d’Argento al Valor Militare per la resistenza operata dai Reparti Carabinieri nell’ambito della Divisione Italiana Partigiani “Garibaldi” nell’ex Jugoslavia.
Tantissimi furono gli episodi eroici. Pensiamo ai già citati combattimenti per la difesa di Roma, ai 12 militari dell’Arma fucilati alle Fosse Ardeatine, ai tre Carabinieri Martiri a Fiesole per salvare 10 ostaggi innocenti o alle attività dei Carabinieri di Napoli, già protagonisti di violenti scontri con i tedeschi nei giorni 10-12 settembre.
Proprio il 12 settembre le truppe tedesche attaccarono la Stazione Carabinieri di Napoli-Porto: i 14 Carabinieri che vi si trovavano, esaurite le munizioni dopo un’accanita resistenza, furono costretti ad arrendersi.
I militari furono dichiarati prigionieri di guerra e condotti a Teverola, in provincia di Caserta dove la mattina del 13 settembre, in località “Madama Vincenza”, furono fatti disporre su due file e trucidati con colpi di mitragliatrice.
Sempre i Carabinieri partenopei appoggiarono senza riserve l’insurrezione popolare che dal 27 al 30 settembre portò alla liberazione della città: il Comandante della Stazione Napoli Stella, il Maresciallo Maggiore Nicola D’Albis, con i suoi Carabinieri e alcuni insorti riuscì ad evitare, ben due volte, la distruzione del ponte della Sanità solo dopo una lotta cruenta che causò 18 morti e numerosi feriti al nemico tedesco, facendolo desistere definitamente dal tentativo.
A Capodimonte, il Maresciallo Maggiore Filippo Cucuzza, Comandante della Stazione, guidò i Carabinieri e i cittadini da lui armati all’attacco di un nucleo di genieri tedeschi che stavano cercando di minare l’acquedotto della città, riuscendo a averne ragione e a disinnescare le mine destinate alla distruzione degli impianti.
A Cercola, poco distante da Napoli, il Maresciallo Tommaso Esposito, Comandante della Stazione, insieme ai propri uomini occupò e organizzò la difesa di uno stabilimento per la produzione di proiettili che i tedeschi volevano far saltare in aria.
Di fronte alla resistenza dei Carabinieri, i Tedeschi furono costretti a rinunciare.
Tante e pregevoli le attività svolte da Carabinieri inquadrati nei “Gruppi di Combattimento” impegnati nella Guerra di Liberazione e nel Contingente “R” che concorse a porre termine all’occupazione di Roma.
Numerosissimi i militari che operarono nelle file della Resistenza.
Ma l’episodio più fulgido e più noto, che ha colpito le coscienze non solo dei militari ma di tutti gli Italiani, è stato il martirio del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto che, proprio il 23 settembre, a Torre di Palidoro, nei pressi di Roma, Comandante interinale della Stazione di Torrimpietra, si era assunto, pur innocente, la paternità di un presunto attentato contro i nazisti, offrendo la propria giovane vita pur di sottrarre alla rappresaglia nazista quella di 22 suoi concittadini, sommariamente rastrellati.
Il giovane militare, Medaglia d’Oro al Valor Militare per lo Stato e Servo di Dio per la Chiesa cattolica, rimarrà l’esempio più limpido del Carabiniere che rimane al suo posto, fermo, fedele e nobile a difendere la popolazione a lui affidata, fino alla morte.
Nel Nord Italia, nelle zone di competenza della RSI, qual era il ruolo dei Carabinieri?
Anche nel resto dell’Italia occupata il governo di Salò aveva previsto il formale scioglimento dell’Arma dei Carabinieri Reali e l’integrazione dei suoi Comandi nella nuova struttura della Guardia Nazionale Repubblicana, unitamente ai militi fascisti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e agli agenti della Polizia dell’Africa Italiana.
Inutile dire che il maldestro tentativo di coartare la natura e la volontà dei Carabinieri ebbe scarso successo tanto che i gerarchi della GNR e gli stessi giornali politici repubblichini si lamentarono apertamente dello scarso “spirito fascista” dei militari dell’Arma.
Continui provvedimenti tesi a limitarne l’azione, retate e soppressioni di stazioni si conclusero infine nella seconda metà del 1944, quando gli ultimi Carabinieri, rimasti a presidiare il territorio in difesa della popolazione, furono internati come era già accaduto ai loro colleghi romani il 7 ottobre 1943.
I Carabinieri che rimasero in servizio nell’Italia occupata rappresentarono spesso l’unico baluardo a difesa di una residua convivenza civile, a costo in molti casi di gravissimi rischi personali, sospesi in un equilibrio precario e pericoloso, come i Martiri della Stazione di Fiesole e i tanti altri rimasti sconosciuti.
L’eroismo di tutti i Carabinieri deportati, compresi quelli del Nord Italia, è rievocato anche nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare che fu concessa alla Bandiera dell’Arma per il contributo offerto da tutta l’Istituzione alla Guerra di Liberazione ed alla Resistenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA