Di Marco Petrelli
ROMA (nostro servizio particolare). “Mattarella non è il mio Presidente. Non l’ho eletto”. E’ stata questa la frase che ha fatto il giro di tutti gli organi di stampa, suscitando sdegno e condanna.
A pronunciarla non è stato un cittadino qualunque, ma un servitore dello Stato, un Carabiniere in servizio nel corso di una manifestazione pro Palestina, nei giorni scorsi.
Esiste un limite alla libertà d’espressione. Quel limite è il posto di lavoro, specie quando, sul posto di lavoro, si rappresentano le Istituzioni.
Certo, un limite un po’ troppo spesso travalicato in alcuni ambienti statali (Scuola, Università) dove nessuno si sognerebbe di prendere per un orecchio un insegnante per aver fatto politica davanti agli studenti in orario di lezione.
Due pesi e due misure Il principale ostacolo al rispetto delle leggi in questo Paese è la tendenza alla loro libera interpretazione: non ciò che la legge dice ma quello che sembra “giusto”.
Condizionare, dunque, gli studenti sui banchi di scuola con il proprio pensiero viene sovente spacciato per “educazione delle libere menti”, mentre un Carabiniere che dice la sua è inopportuno e va punito.
Eppure, insegnante e Carabiniere sono entrambi servitori dello Stato. In modo diverso, certo, ma ambedue svolgono pubblici servizi di primaria importanta: educazione e sicurezza.
Dunque, le regole dovrebbero valere per entrambi.
Non va martirizzato Il Carabiniere ha sbagliato: il Presidente della Repubblica, oltre a non averlo votato (il presidenzialismo è ancora lontano) è il capo dello Stato ed il Comandante in Capo di tutte le Forze Armate, dunque poche storie.
Cose che non si dicono, per giunta con in servizio e con l’uniforme addosso.
L’eco mediatica del fatto ha condizionato (e forse aggravato) la punizione ricevuta dal militare al quale, probabilmente, in un clima di maggiore serenità avrebbe visto riconoscersi alcune attenuanti: lo stress, l’adrenalina, la paura, le provocazioni.
Per quanto addestrato, infatti, il personale dei Reparti di Pubblica sicurezza è pur sempre fatto da esseri umani.
La manifestazione, inoltre, non era autorizzata…
Ancora doppiopesismo. Quella domenica in piazza c’erano pacifisti, antifascisti e nazisti.
No, nessun infiltrato con la testa rasata. La stessa gente che inneggiava alla resistenza palestinese e che accusava il capo del Governo israeliano Nethanyau di fascismo, lanciava infatti slogan da Kristallnacht.
Nazismo che, in questi quasi quattro mesi di guerra, le frange filo-palestinesi più radicali sembrano aver sdoganato.
E non in Palestina, in Occidente! I fischi al cartello “Free Gaza from Hamas”, la negazione delle violenze del 7 ottobre, la convinzione che le donne ostaggio dei miliziani siano state trattate da “regine”, quel “Israele deve sparire” di una signora velata sono indice della crescente e preoccupante ondata di nazismo che, a questo giro, trae la sua linfa da quegli ambienti che lo hanno sempre aborrito.
D’altronde, se tali parole fossero uscite di bocca a un avversario politico, l’Italia democratica ed antifascista avrebbe gridato al nazifascismo. E invece, niente.
Ancora una volta, due pesi e due misure.
I comportamenti sbagliati vanno corretti. E questo vale per tutti i cittadini, tutori dell’ordine e non.
Domandiamoci però se sia lecito che un Carabiniere affronti un calvario per una frase di cui si è subito pentito, mentre Camicie brune dell’estrema sinistra possono permettersi di offendere quegli stessi ebrei che sempre hanno “usato” per colpire gli avversari, monopolizzando la memoria e sfruttando le tragedie del XX Secolo per fini meramente ideologici.
La punizione al Carabiniere rischia quindi di assestare un nuovo colpo alle Istituzioni dello Stato: fra stampa schierata e martellante, diatribe politiche e scambiare l’ articolo 21 della Costituzione per “ho il diritto di fare e dire quel che voglio senza conseguenze”, il ruolo e la funzione delle Forze dell’Ordine subiscono uno svilimento grave, inaccettabile e pericoloso.
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