Di Giuseppe Gagliano*
WASHINGTON D.C. La visita del capo del Comando Sud degli Stati Uniti, l’Ammiraglio Alvin Holsey, in Guyana segna un passaggio strategico nella ridefinizione degli equilibri dell’emisfero occidentale.

È avvenuta poche ore dopo il sorvolo di due bombardieri strategici B-52H sulla costa venezuelana: un gesto simbolico e operativo che trasmette un messaggio inequivocabile a Caracas e ai suoi alleati.
Washington intende riaffermare la propria centralità militare nei Caraibi, in un momento in cui le tensioni energetiche e territoriali con il Venezuela di Nicolás Maduro tornano a salire.

L’ombra dell’Essequibo
La Guyana, piccolo Stato con una grande importanza geoeconomica, è divenuta il nuovo punto focale della strategia americana nel Sud America.

La disputa sull’Essequibo – una regione ricca di petrolio contesa da Georgetown e Caracas – si è trasformata in un banco di prova per la deterrenza statunitense.
Holsey ha incontrato i vertici politici e militari guyanesi, ribadendo il sostegno di Washington all’integrità territoriale del Paese.
Dietro il linguaggio diplomatico si cela una realtà più profonda: difendere la Guyana significa proteggere l’accesso statunitense alle nuove risorse energetiche della regione e contenere la proiezione d’influenza russa, cinese e iraniana nel continente.
Il ritorno del SOUTHCOM come strumento politico
Il Comando Sud, spesso rimasto in secondo piano rispetto ai teatri mediorientali o asiatici, è tornato ad assumere un ruolo chiave nella dottrina strategica americana.
Le recenti operazioni navali e aeree – dagli attacchi contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico al largo del Venezuela fino ai pattugliamenti nel Mar dei Caraibi – mostrano un chiaro intento di proiezione militare. Gli Stati Uniti vogliono impedire che il vuoto lasciato dalla loro distrazione asiatica venga riempito da potenze rivali.
Il sostegno alla Guyana, così come i contatti con il Suriname e Grenada, rientra in una più ampia architettura di sicurezza regionale.
La diplomazia del deterrente
Holsey ha parlato con il primo ministro guyanese Mark Phillips e con il capo di Stato Maggiore Omar Khan di “alleanza difensiva” e “coordinamento marittimo”, ma il significato politico è più netto: creare una cintura di Paesi amici intorno al Venezuela.

Washington costruisce così una rete di cooperazione a geometria variabile, dove esercitazioni, forniture di radar, addestramenti e accordi logistici servono a consolidare una presenza costante senza necessità di basi permanenti. È la nuova forma di proiezione americana: flessibile, economica e politicamente accettabile.
La neutralità difficile dei piccoli Stati
Non tutti, tuttavia, accettano questa strategia.
Se il Suriname ha accolto positivamente il dialogo con Holsey, Antigua e Barbuda hanno respinto qualsiasi proposta di installazione militare, dichiarando la propria neutralità.
È un segnale che nel mosaico caraibico persistono Stati decisi a non essere trascinati nel confronto tra Washington e Caracas.
La pressione americana, se non accompagnata da reali investimenti civili, rischia di trasformarsi in un nuovo tipo di dipendenza geopolitica, dove la sicurezza sostituisce la cooperazione economica.
Geoeconomia dell’energia e del controllo marittimo
Sul piano economico, la Guyana rappresenta una pedina strategica per la sicurezza energetica occidentale.
Le scoperte petrolifere nell’Atlantico del Sud, gestite da consorzi a guida statunitense, hanno reso il Paese un alleato naturale di Washington.
Difendere la sua integrità significa difendere la continuità di approvvigionamento verso il mercato americano.
In questo senso, il conflitto con il Venezuela non è solo territoriale ma sistemico: riguarda il controllo delle risorse e delle rotte.
Fine di un ciclo militare
L’annuncio del pensionamento dell’ammiraglio Holsey, dopo 37 anni di servizio, chiude simbolicamente una fase ma apre un interrogativo: quale sarà il futuro del SOUTHCOM sotto la nuova Amministrazione Trump?
Tutto lascia pensare a un rafforzamento del dispositivo militare nel continente, non più solo per contrastare il narcotraffico ma per presidiare i fronti geopolitici emergenti tra Caraibi, Amazzonia e Atlantico meridionale.
Conclusione: il ritorno dell’America Latina nel radar strategico USA
La visita in Guyana non è un episodio isolato, ma l’ultimo segnale di un ritorno americano in grande stile.
Washington intende recuperare l’influenza perduta in quella che per decenni ha definito la propria “sfera naturale”.
Dietro la narrativa della cooperazione regionale si delinea una realtà di potenza: contenere il Venezuela, limitare la penetrazione cinese e garantire il controllo sulle nuove rotte dell’energia.
I Caraibi tornano così a essere il laboratorio della geopolitica americana – uno spazio in cui diplomazia e forza tornano a fondersi, come nei tempi della Guerra Fredda.
*Presidente Centro studi strategici (Cestudec)
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