Di Giuseppe Gagliano*
BANGKOK. La Thailandia si prepara ad aggiornare le proprie capacità di difesa antiaerea scegliendo la strada del pragmatismo economico e geopolitico.
Secondo quanto emerso da fonti militari locali, Bangkok è pronta ad acquistare i missili terra-aria portatili FN-6 di produzione cinese, preferendoli ai sistemi concorrenti di provenienza europea.

Una decisione che conferma la crescente influenza della Cina nel Sud-Est asiatico anche nel campo della cooperazione militare e della difesa.
Il sistema FN-6, sviluppato dalla China Aerospace Science and Technology Corporation, è progettato per fornire una difesa a corto raggio contro bersagli aerei come elicotteri e velivoli a bassa quota.
Si tratta di un sistema portatile, a spalla, già esportato con successo in diversi Paesi, tra cui Bangladesh, Sudan e Cambogia.
Il suo punto di forza risiede nei costi contenuti e nella semplicità di impiego, elementi che lo rendono particolarmente adatto alle forze armate con budget limitati e in cerca di soluzioni operative immediate.
Per la Thailandia, questa scelta non è solo una questione di convenienza economica.
L’acquisto dei missili FN-6 rientra in un processo più ampio di avvicinamento progressivo a Pechino, già avviato da tempo attraverso esercitazioni congiunte, cooperazione nel settore navale e acquisti strategici di equipaggiamento militare cinese, tra cui carri armati VT-4 e veicoli corazzati a ruote.

L’orientamento verso la Cina rappresenta anche un segnale chiaro alla comunità internazionale: Bangkok è intenzionata a mantenere una linea di autonomia strategica, bilanciando le tradizionali relazioni con Washington con una maggiore apertura verso Pechino.
La crescente incertezza sul ruolo degli Stati Uniti nella regione – acuita da ritardi nella consegna di armamenti e da tensioni politiche – ha spinto molti Paesi ASEAN a diversificare le proprie partnership in campo militare.
Dal punto di vista tecnico, i missili FN-6 offrono una copertura efficace fino a circa 6 km di distanza e 3,5 km di altitudine, con un sistema di guida a infrarossi di tipo “fire and forget”.
Sebbene meno avanzati rispetto ai sistemi europei o statunitensi come il Mistral o lo Stinger, si pongono come compromesso accettabile tra efficacia e costi, rispondendo a esigenze operative più tattiche che strategiche.

La decisione thailandese potrebbe aprire la strada ad altri contratti simili nell’area, dove diversi Paesi osservano con attenzione le offerte della Cina, sempre più competitiva nel comparto difesa.
Pechino, da parte sua, utilizza le esportazioni militari non solo per rafforzare il proprio peso economico, ma anche per costruire una rete di alleanze flessibili e pragmatiche, capaci di contrastare l’influenza occidentale senza dover ricorrere a formali alleanze politico-militari.
La corsa al riarmo nel sud-est asiatico, alimentata dalle tensioni nel Mar Cinese Meridionale e dall’incertezza globale, prosegue così su un doppio binario: da un lato, la modernizzazione delle capacità militari nazionali; dall’altro, una lenta ma costante ricalibratura delle alleanze regionali.
E la Thailandia, come dimostra la scelta degli FN-6, intende giocare su entrambi i tavoli.

