Cina: la “Grande muraglia sotterranea” e la custodia dell’integrità dell’arsenale nucleare strategico nel caso di un attacco atomico contro il Paese

Di Francesco Lorenzo Morandi 

PECHINO (nostro servizio particolare). Alcuni account sulla piattaforma X hanno pubblicato, recentemente, contenuti relativi alla cosiddetta “Grande muraglia sotterranea” (地下长城Dixia Changcheng).

Come riportato da Lorenzo Termine (EUI – European University Institute; Geopolitica.info), la struttura in questione è di fatto una gigantesca rete di tunnel la cui realizzazione è stata approvata nel 1979 dalla Commissione militare centrale – l’organo di comando supremo dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) – con lo scopo di preservare l’integrità dell’arsenale nucleare strategico cinese nel caso in cui fosse stato portato un attacco atomico – e più precisamente un first strike – ai danni della Repubblica popolare (Rpc).

Sistemi missilistici nucleari cinesi in parata

 

Prima di analizzare la fisionomia della dottrina nucleare cinese, è utile affrontare da un punto di vista più marcatamente teorico le caratteristiche delle diverse nuclear postures; a questo proposito, Termine compie una distinzione tra first strike posture ed una second strike posture.

La prima prevede la possibilità di un utilizzo preventivo di armi atomiche contro un potenziale avversario senza che questo abbia attaccato per primo; la seconda, per contro, implica un utilizzo del munizionamento atomico soltanto dopo avere subito uno strike nucleare da parte di una potenza attaccante.

Ai fini della messa in essere del secondo approccio è quindi necessaria la sopravvivenza della propria capacità di risposta nucleare, sulla base della quale un attore che esibisce questo tipo di postura modella la propria deterrenza.

Ancora, è possibile fare un’ulteriore distinzione riguardante gli obiettivi di un ipotetico attacco atomico.

In questo caso si hanno approcci countervalue, aventi come obiettivo la massimizzazione dei danni arrecati alla popolazione civile nemica, e counterforce, focalizzati invece sulla neutralizzazione delle capacità militari – dunque nucleari – avversarie.

L’introduzione di questo quadro di carattere teorico ci consente di comprendere meglio le caratteristiche della postura nucleare cinese. Come riporta Fravel nel suo Active Defense – China’s Military Strategy since 1949, essa è rimasta costantemente imperniata sul principio di “deterrenza tramite ritorsione assicurata”.

La postura in questione, una second strike posture, basata sul principio secondo cui un arsenale nucleare di dimensioni limitate avrebbe potuto essere sufficiente a dissuadere un potenziale nemico dal compiere un attacco atomico, si sembra essersi mantenuta costante con il susseguirsi di diverse generazioni di leader.

In ogni caso, al netto del fatto che non è ritenuto possibile uno stravolgimento totale della postura nucleare cinese, è comunque probabile che nel futuro si verifichino cambiamenti apprezzabili in merito alla stessa.

A questo proposito, il report Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, prodotto dal Dipartimento della Difesa statunitense (DoD), evidenzia come la Repubblica popolare cinese sia attualmente impegnata nell’ampliamento e nella modernizzazione del proprio arsenale nucleare, con lo scopo di incrementare il fattore di deterrenza.

Entrando nello specifico, il documento sottolinea come nel 2024 Pechino disponeva di 600 testate atomiche, numero che si stima supererà le 1.000 entro il 2030.

Ancora, la messa in essere di avanzati nuclear delivery systems possibilmente dotati di Hgv (Hypersonic Glide Vehicle), nonché di armi atomiche a basso potenziale – utilizzabili quindi a livello tattico – potrebbero portare a delle modificazioni alla componente countervalue su cui si è tradizionalmente basata la postura nucleare di Pechino.

Il Presidente cinese, Xi Jinping

Ulteriore punto di interesse potrebbe poi essere dato dall’implementazione, seppur parziale, di una postura launch on warning.

Sulla base di quest’ultima la risposta nucleare non si attiva successivamente all’”assorbimento” dell’attacco nemico, ma avviene a seguito dell’avvenuto allarme derivante da una potenziale offesa atomica, a beneficio della survivability della componente atomica. Ancora, possono essere fatte delle interessanti osservazioni sulla già citata Grande muraglia sotterranea.

Se è vero che essa incrementa la capacità di sopravvivenza delle capacità nucleari di Pechino, essa in realtà permette anche una risposta nucleare dilazionata nel tempo, e non necessariamente immediata.

È poi necessario fare alcune considerazioni sulla effettiva politica no first use cinese: come emerso in un recente articolo di Talmadge, Michelini e Narang, la credibilità di un no first use pledge– quale quello della Rpc – è solida unicamente quando le relazioni tra uno stato ed un suo potenziale avversario sono relativamente favorevoli, oppure quando il dispositivo militare di quello stato non è effettivamente in grado di compiere uno strike nucleare ai danni dell’avversario stesso.

In effetti, come messo in evidenza dagli autori, il peggioramento delle relazioni politiche tra Stati Uniti e Cina, insieme con l’incremento delle cosiddette first-use capacbilities cinesi, ha portato Washington a giudicare come non credibile il no first use pledge di Pechino.

In ogni caso, per concludere, ci sono tre aspetti che si ritiene rimarranno sostanzialmente invariati nella nuclear posture cinese, tutti e tre facenti riferimento alla survivability della componente atomica nazionale: dispersione delle forze nucleari sul territorio, focalizzazione sulla già citata “Grande muraglia sotterranea”, con tutto ciò che essa implica, e incremento della mobilità e della sofisticazione dei sistemi missilsitici nucleari cinesi.

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