Cipro, sarà la nuova Danzica?

Di Andrea Gaspardo

Nicosia. Tra tutte le dispute, quella cipriota é una fra le più pericolose perché, una volta considerati gli interessi e gli attori coinvolti, avrebbe il potere di causare l’implosione sia della NATO che dell’Unione Europea. Ed esiste una possibilità niente affatto remota che il tutto possa accadere presto, molto presto.

Soldati turchi

La crisi di Cipro è vecchia quanto l’omonima Repubblica moderna. Proclamata il 16 agosto 1960, e riconosciuta internazionalmente il 1° ottobre dello stesso anno, dopo la conclusione degli accordi di Londra e Zurigo del 1959, a coronazione di una lotta per l’indipendenza durata dieci anni e guidata dall’arcivescovo e primate della Chiesa Autocefala di Ciprio, Makarios III, la Repubblica di Cipro ha avuto una vita travagliatissima sin dal principio.

Continua la querelle tra greco-ciprioti e turco-ciprioti

Ad indipendenza ottenuta, Makarios III, già “Etnarca” (capo politico-religioso) dei greco-ciprioti, divenne anche Presidente della Repubblica presiedendo su un macchinoso sistema di organi politici collegiali ideato per mantenere la pace tra le diverse comunità viventi sull’isola.

La sua storia, fatta di invasioni e dominazioni straniere, e la sua invidiabile posizione geografica, a cavallo delle principali rotte commerciali, hanno fatto di Cipro il luogo ideale per l’incontro e la convivenza di popoli diversi. La composizione etnica del periodo vedeva la presenza di un 77% di greco-ciprioti, 18% di turco-ciprioti e un 5% di “altri” (tra cui spiccavano gli influentissimi armeni e maroniti).

L’estrema litigiosità tra le due principali comunità, nonché l’impossibilità da parte della tre “potenze garanti” (Grecia, Turchia e Gran Bretagna, quest’ultima detentrice inoltre del possesso perpetuo delle basi di Akrotiri e Dhekelia) di far funzionare i preesistenti accordi di pace, hanno fatto sì che, già nel 1963, l’isola sprofondasse in una sorta di guerra civile strisciante. Una guerra che terminò solamente nel 1974 quando, a seguito di un colpo di Stato istigato a Cipro dal regime militare della Grecia, la Turchia portò a termine un’operazione militare in grande stile denominata “Operazione Atilla” (Operazione per la Pace) che ebbe come esito finale l’occupazione di un terzo dell’isola e la sua divisione in due entità distinte e rivali: a sud e ad ovest.

In un territorio comprendente il 59% dell’isola, continuò ad esistere la Repubblica di Cipro, mentre al nord e ad est, si costituì la Repubblica turco-cipriota (poi dichiarata unilateralmente indipendente nel 1983) in un territorio comprendente circa il 36% dell’isola.

Le due Repubbliche nemiche sono separate da una zona cuscinetto controllata dall’ONU e pari al 4% della superficie del Paese. La guerra civile strisciante e l’invasione turca (con la successiva breve ma intensa campagna militare) ha lasciato una pesante eredità di distruzione e di odio reciproco che il tempo é riuscito a placare solo debolmente.

Dal 1974 ad oggi, le iniziative diplomatiche finalizzate al ripristino dell’unità dell’isola e al ritiro delle truppe turche, sia da parte degli attori locali che da parte degli organismi internazionali, si sono moltiplicate senza che mai si giungesse ad alcun tipo di soluzione negoziata. Gli ostacoli principali sui quali si scontrano i contendenti, le tre “potenze garanti” e gli organismi internazionali preposti a dirimere la contesa sono essenzialmente tre;

L’organizzazione politica di cui si deve dotare l’isola

Sebbene in termini di principio diplomatico, sia i greco-ciprioti che i turco-ciprioti siano d’accordo sulla possibilità di riunificare l’isola, le loro posizioni divergono su quale dovrebbe essere la futura ripartizione dei poteri. Mentre i greco-ciprioti favoriscono un ritorno all’organizzazione vigente nel 1960, i turco-ciprioti respingono decisamente tale evenienza, perché già dimostratasi storicamente fallimentare, optando invece per la creazione di uno stato federale bi-nazionale;

La permanenza delle truppe turche nell’isola

Le autorità greco-cipriote hanno sempre mantenuto fermo il punto che, qualsiasi organizzazione politico-amministrativa avrebbe raggiunto l’isola al termine dei colloqui di pace, le truppe turche presenti sul territorio nazionale avrebbero dovuto andarsene perché considerate truppe straniere d’occupazione;

Il destino dei “coloni turchi”

A partire dal 1974, la Turchia ha favorito una costante migrazione di gruppi di “coloni”, per di più originari dalle zone più povere dell’Anatolia, verso la Repubblica turco-cipriota al fine sia di sfruttarne economicamente il territorio che di aumentare il potere contrattuale dei turco-ciprioti in sede negoziale mediante l’aumento della popolazione turca sull’isola.

E’ impossibile conoscere con certezza il numero dei cosiddetti “coloni” ma, da numerosi indizi, sembra ormai acclarato che, a fronte di una popolazione di 120-150 mila turco-ciprioti, vi siano ben 450 mila “coloni”. Sebbene l’ONU e i vari altri attori internazionali attivi nel processo di mediazione abbiano sempre cercato di accogliere i “desiderata” degli attori locali, sia la permanenza delle truppe turche che lo stanziamento massivo di coloni anatolici ha guadagnato alla Turchia l’unanime condanna internazionale.

Tra le innumerevoli iniziative che la diplomazia internazionale é riuscita a partorire nel corso degli anni, una menzione d’onore spetta al cosiddetto “Piano Annan”, dal nome dell’ex-Segretario generale dell’ONU Kofi Annan, che, accogliendo praticamente in toto le richieste turche, prospettava la riunificazione totale dell’isola in uno stato bi-nazionale garantendo ai turco-ciprioti delle leve di potere notevoli. Frutto della cosiddetta “diplomazia segreta” tra le parti e ignorando quasi completamente le sensibilità dei greco-ciprioti, il “Piano Annan” venne letteralmente “silurato” nel celebre referendum del 2004.

Mentre infatti, con una partecipazione dell’87% i turco-ciprioti approvarono il piano con il 65% dei consensi, i greco-ciprioti, con una partecipazione dell’89% lo respinsero con il 76% dei voti. Curiosamente, nonostante il piano fosse stato rigettato con un margine così ampio, esso rimase la base di ogni successiva tornata negoziale, inclusa l’ultima, iniziata nel 2014 e drammaticamente conclusasi il 7 luglio di quest’anno.

Il palcoscenico dell’ennesima “tragedia cipriota” è stata la località svizzera di Crans-Montana dove, alla presenza del Segretario dell’ONU, António Guterres, le delegazioni greca, turca, greco-cipriota e turco-cipriota si sono misurate in quello che, secondo la stampa dell’isola, doveva essere il colloquio risolutivo.

Sorprendendo tutti, e contro il parere sia del suo popolo che del suo stesso partito, il presidente della Repubblica di Cipro, Nicos Anastasiades, annunciò alle sue controparti che la Repubblica di Cipro era pronta ad accettare il “Piano Annan” nella sua versione definitiva (la quinta) e senza ulteriori modifiche.

Tuttavia l’apertura di Anastasiades venne accolta con scetticismo dal ministro degli Esteri della Turchia, Mevlüt Çavuşoğlu, che, secondo la testimonianza data ai giornalisti dal ministro degli Esteri greco Nikolaos Kotzias, avrebbe affermato che il signor Anastasiades poteva parlare al massimo come “rappresentante della comunità etnica greca di Cipro” ma non certo come leader di uno Stato – la Turchia non è intenzionata a riconoscerlo – e che, al di là di quello che vogliono i greci, la Turchia non rinuncerà mai né ai suoi diritti su Cipro né a mantenere una robusta presenza militare laggiù.

Successivamente, in un breve comunicato stampa, lo stesso Çavuşoğlu ha rimarcato che: “alla luce del fallimento delle trattative, la Turchia avrebbe d’ora in poi intrapreso la sua strada per la risoluzione del conflitto di Cipro seguendo i suoi piani B e C”.

Sorge spontaneo il sospetto che lo schianto della trattativa sia stato in realtà pianificato da tempo dall’élite di Ankara, in particolare dal presidente Recep Tayyip Erdoğan – che a gennaio di quest’anno aveva per altro promesso al suo elettorato che le truppe turche sarebbero rimasta a Cipro “per sempre” – per poter procedere con i suoi piani di espansione territoriale.

Diversi osservatori, tra i quali l’autore del presente articolo, già da diversi anni stanno denunciando la drammatica virata che la Turchia ha imboccato verso una politica estera aggressiva e, potenzialmente, fuori controllo. Basti ricordare la facilità con la quale Erdoğan ha coinvolto il suo Paese pressoché in tutte le crisi che hanno sconvolto il mondo arabo dalla fine del 2010 ad oggi o il braccio di ferro ingaggiato con Israele in relazione al conflitto israelo-palestinese (in particolare sul fronte di Gaza), per finire con il plateale appoggio fornito a movimenti efferati come Ahrar al-Sham, Jabhat al-Nusra o persino lo stesso ISIS nei conflitti di Siria ed Iraq. Sebbene sino ad ora le puntate offensive del “Sultano” in terra siriana e mesopotamica siano state stroncate sia dall’inaspettata resilienza dei Governi siriano ed iracheno che dal provvidenziale intervento iraniano e russo nella complicata partita mediorientale, non bisogna affatto credere che Erdoğan abbia rinunciato alle sue pretese.

Negli ultimi anni infatti, la scena politica turca é stata a più riprese agitata da un fantasma che in molti ritenevano morto e sepolto: il “Misak-ı Millî”. Con tale nome si intende il cosiddetto “Patto Nazionale” adottato dal padre della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, tra la fine della Prima Guerra Mondiale e lo scoppio della Guerra d’Indipendenza Turca, e con il quale l’ultimo Parlamento ottomano – e primo Parlamento della nuova Turchia repubblicana – dichiarava quali fossero i territori che spettavano di diritto al popolo turco e che la Turchia non era minimamente disposta a barattare. Nonostante Cipro fosse già da tempo una colonia britannica, il suo territorio venne menzionato nella stessa dichiarazione.

L’ossessivo riferimento da parte di Erdoğan e di gran parte dei politici turchi (non solo militanti nel suo stesso partito) al Misak-ı Millî deve essere preso tremendamente sul serio da tutti i decisori politici e dai militari in Europa come nel resto dell’Occidente, in Russia, in Israele, nel Medio Oriente ed altrove. Quella che, apparentemente, sembra una fantasia derubricabile a trovata ad uso e consumo interno rappresenta in realtà una dichiarazione coerente di espansione territoriale paragonabile al “Lebensraum” di hitleriana memoria ed Erdoğan non vi rinuncerà mai (anche se le sconfitte in Siria ed Iraq lo hanno costretto a campiare temporaneamente le priorità strategiche).

La questione cipriota rappresenta, infatti, un’eccellente palestra per il “Sultano” sia per unificare il Paese attorno ad una questione che sta veramente a cuore a tutti i turchi, sia per testare la vera tenuta dell’Unione Europea.

In prospettiva, la Ue potrebbe ritrovarsi tra le mani la peggiore crisi della sua storia, e questa volta sarà una crisi politico-diplomatica e militare in piena regola. Dopo il fallimento definitivo dei colloqui di pace, la Turchia può ora comodamente addossare tutta la colpa del fiasco all’intransigenza pregressa di greci e creco-ciprioti ed organizzare un referendum per l’indipendenza della Repubblica turco-cipriota e la sua successiva annessione alla Turchia.

Sia la Repubblica di Cipro che la Grecia interpreteranno giustamente tale mossa come una dichiarazione di guerra e saranno poste di fronte alla drammatica scelta se rispondere con le armi oppure rinunciare alla riunificazione dell’isola. In realtà però, questa scelta è solamente fittizia.

Anche nel caso greci e greco-ciprioti decidessero di ingoiare il rospo e non fare nulla, l’annessione della Repubblica turco- cipriota sarà solamente il primo passo per una conquista totale dell’isola da parte dei turchi. Il valore intrinseco di Cipro sta nei giganteschi giacimenti di gas e petrolio situati sul versante marino greco-cipriota, nella pescosità dei mari prospicienti l’isola e, soprattutto, nella sua posizione geografica, che permetterebbe ai turchi di rafforzare la pressione verso il Levante e di guadagnare un’inestimabile trampolino di lancio verso il mare aperto ed il Canale di Suez, in poche parole, la “profondità strategica” che la Turchia ha perso quando ha cessato di essere un impero e che deve assolutamente riguadagnare qualora lo volesse ridiventare. Dato che non esiste assolutamente alcun modo per ottenere tutto ciò in maniera pacifica, é per questo motivo che Erdoğan non può fermarsi e “deve” creare il “casus belli”.

E’ opinione squisitamente personale dell’autore che, in un arco temporale compreso tra il 2018 ed il 2023, Cipro si trasformerà in una “nuova Danzica” ed i Paesi dell’Unione Europea dovrebbero incominciare a prestare seriamente attenzione al fatto che, se fallissimo nell’opera di proteggere l’integrità territoriale e la salvezza di Cipro e della stessa Grecia, allora l’Unione ne risulterebbe a tal punto screditata da perdere la sua stessa ragione d’esistere.

Inoltre, una Turchia rafforzata e proiettata verso una vera e propria espansione navale rappresenterebbe una minaccia strategica tale per il continente europeo e, a maggior ragione, per l’Italia da non poterci permettere di dormire sugli allori nemmeno per un minuto. Del resto, fu proprio sopra ai cieli di Cipro che, secondo il mito greco, venne combattuta la battaglia finale della Titanomachia, la lotta che oppose i Titani e gli Olimpici per il dominio del modo da loro stessi creato.

 

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