Covid-19: il post lockdown richiede profonde riforme della Sanità civile e militare

Di Sara Palermo*

Torino. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce la sicurezza sanitaria globale come le “attività necessarie […] per ridurre in tutto il mondo la vulnerabilità rispetto a rischi per la salute nuovi, acuti o in rapida diffusione, in particolare quelli che minacciano di attraversare i confini internazionali”. 

La sede dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)

La sicurezza nazionale non riguarda pertanto solo il complesso di azioni tese a garantire la sovranità, l’integrità, la sicurezza e l’interesse nazionale, ma comprende anche la protezione ed il contrasto delle situazioni di rischio sanitario che possono minacciare la tenuta del sistema Paese, la vitalità economica della Nazione e il suo stesso stile di vita.

Salute pubblica e preparazione alle emergenze sono concetti centrali per l’attuazione di politiche ed interventi a livello locale, nazionale e globale volti a contrastare l’attuale situazione di crisi. Una pronta risposta alle emergenze si sviluppa attraverso interventi interdisciplinari di valutazione, formazione e addestramento, promulgazione di linee guida e processi, sviluppo di infrastrutture e tecnologie, rapida e agile attuazione delle migliori pratiche emergenti per fornire un’assistenza sanitaria efficace ed efficiente, sfruttando il corpo di conoscenze e capacità di ogni agente della nazione, compreso quello delle Forze Armate.

Non a caso, a partire dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte del 31 gennaio scorso, i presidenti delle Regioni e i sindaci hanno chiesto il supporto dell’Esercito per promuovere la risposta interna al Coronavirus, auspicando che le Forze Armate mettessero a disposizione risorse e asset aggiuntivi, effettuassero i controlli nelle città e supportassero la sanità pubblica attraverso il Corpo sanitario della stessa Forza Armata. 

Rispondendo alle richieste pervenute dall’Unità di crisi piemontese, l’Esercito ha inizialmente messo a disposizione mezzi, infrastrutture, personale per il controllo del territorio e l’applicazione delle misure di contrasto e contenimento dell’epidemia.

Assetti sanitari dell’Esercito

La Forza Armata e le Forze dell’Ordine collaborano a Torino dall’inizio dell’emergenza. Ma non vi è solo il presidio delle strade.

Le numerose infrastrutture militari costituiscono in questa fase emergenziale un valore sociale e sanitario di notevole importanza per la città.

Si pensi solo che uno dei luoghi scelti dall’Unità di crisi per l’isolamento fiduciario è proprio un immobile della Difesa.

La quarantena dei primi civili in una struttura militare torinese è cominciata nel mese di febbraio presso il polo alloggiativo della Scuola di Applicazione militare, sito alla caserma Riberi, nel quartiere Santa Rita.

La storia della struttura risale al 1904, data in cui, fra la Città di Torino e l’Amministrazione della Guerra, fu prevista la costruzione di un ospedale militare divisionale nella zona della nuova Piazza d’Armi, allora destinata ai raduni e allo sfilamento delle truppe.

La struttura venne intitolata ad Alessandro Riberi (1794-1861), senatore, professore, cavaliere, chirurgo.

Membro della Commissione per l’esame del progetto di legge sulla pubblica igiene e sull’esercizio delle professioni sanitarie, Riberi fu un innovatore nel settore della medicina, dell’Università e delle strutture sanitarie, sia militari sia civili.

L’impegno è pertanto anche in corsia. Il 22 marzo, 4 ufficiali medici del team sanitario interforze hanno preso servizio presso l’azienda ospedaliero-universitaria di Novara.

L’Unità di crisi piemontese ha preso contatti con il Comando Operativo dell’Esercito, facendo richiesta urgente di dispiegare ulteriori medici ed infermieri.

Per ora sono 45 unità. Quattro sono a Torino (2 all’ospedale San Giovanni Bosco di Piazza del Donatore di Sangue e 2 all’ospedale Martini di via Tofane).

Il resto degli operatori verrà impiegato presso gli ospedali di Alessandria, Pinerolo (Torino), Rivoli (Torino), Vercelli, Cuneo, Saluzzo (Cuneo) e Verduno (Cuneo).

Non si tratta di piccolo numeri. Proprio come il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) anche la Sanità militare ha subito importanti tagli.

Basti pensare che ad oggi, su 9 ospedali militari distribuiti, dal 2010, in tutto il Paese resta attivo solo il Policlinico del Celio, a Roma.

Una delle corsie del Policlinico militare del Celio

Il taglio dell’organico ha limitato le attività a quelle relative ad aspetti burocratici e di medicina legale, ovvero al sostegno dei reparti impiegati nelle missioni militari all’estero.

L’emergenza da Covid-19 ha messo in luce due importanti aspetti: infrastrutture, strumenti, mezzi, competenza e tecnica di livello; depauperamento estremo delle risorse umane.

Tutto questo ha portato il Governo ad assumere un’iniziativa inaspettata: il bando di un concorso per il reclutamento in ferma breve di un anno di 120 ufficiali medici e di 200 assistenti. In poco tempo le candidature hanno superato ogni attesa, indizio che esiste un bacino inespresso di risorse umane specializzate necessarie, disponibili e sottoutilizzate.

Una volta superata l’attuale situazione emergenziale, il SSN e la Sanità militare dovranno pensare ad una profonda riforma che permetta loro una fattiva collaborazione strutturale.

Come ha sottolineato il Generale Vincenzo Camporini – già capo di Stato Maggiore della Difesa, Consigliere Scientifico e membro del Comitato direttivo dello IAI – alla Sanità militare spetta un compito difficile quello di “convincersi che le strutture e le capacità potenzialmente esprimibili non devono essere gelosamente custodite all’interno del mondo della Difesa e che allo stesso tempo le peculiarità che caratterizzano il mondo militare sono un assetto prezioso, da preservare e alimentare con cura anche in tempi normali”.

Camporini indica tre principi in grado di ispirare il dopo emergenza:

  • integrazione in senso interforze

  • potenziamento e salvaguardia delle peculiari funzioni e capacità della Sanità militare

  • osmosi proattiva tra questa e il servizio sanitario nazionale.

Nella sua tragica manifestazione, Covid-19 è la migliore chance per attuare queste necessarie riforme.

Dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York del 2001 e la crisi finanziaria del 2008, l’attuale pandemia è il terzo evento del “nulla sarà più come prima” e del “non si tornerà più indietro”.

L’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001

Dalla normalità che conoscevamo alla nuova normalità dell’anormale.

Walter Scheidel, nel suo saggio dal titolo “La grande livellatrice. Violenza e disuguaglianza dalla preistoria a oggi, ricorda come le epidemie siano tra gli eventi con maggiore potenza di trasformazione della storia umana.

Preparazione e capacità di risposta alle emergenze future dipendono anche dalle riforme che saremo in grado di mettere in atto a partire dal post lockdown.

Covid-19 ha fatto emergere tutte le falle del sistema ma ha anche ricordato alla società il valore del nostro sistema sanitario come bene comune che tutto il mondo ci invidia.

*M. Sc. in Clinical Psychology and Ph.D. in Experimental Neuroscience
PostDoctoral Research Fellow
Assistant Specialty Chief Editor for Frontiers in Psychology – Neuropsychology

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