Di Pierpaolo Piras
Copenaghen. Il “Blocco Rosso”, capitanato dai socialdemocratici (S&D), vince le elezioni politiche nazionali di mercoledì scorso, in Danimarca.
L’attuale primo ministro. il liberale Lars Lokke Rasmussen, ha già riconosciuto la vittoria avversaria ed annuncia rapide dimissioni.
Il nuovo schieramento di centro-sinistra raggiunge la maggioranza di 91 deputati su 179 al Parlamento di Copenaghen, costituito (dal 1953) da una sola Camera: il Volketing.
Il Partito socialdemocratico, da sempre maggioritario nell’area della sinistra danese, sale al lusinghiero 25%, guidando, insieme alle altre quattro forze politiche di sinistra (socialisti, socialisti-liberali, gli ambientalisti di Alleanza rosso-verde ed i Verdi di Alternative) la maggioranza assoluta a Palazzo di Christiansborg.
La sua esponente di punta, Mette Frederiksen, 41 anni, di estrazione sindacale, abile e stringente dialetticamente, determinata nell’agone della politica e strenua sostenitrice della parità di genere, si appresta a diventare il primo ministro danese, più giovane di sempre.
Il “Blocco Blu”, come viene denominato lo schieramento conservatore, a capo del Governo uscente, composto da ben otto forze politiche, tre delle quali concorrenti ultimamente a queste elezioni, è stata sconfitto e ottiene il 41% dei suffragi.
Ne fa parte anche il Partito del Popolo Danese (DPP), populista, distintosi per le sue posizioni radicali contro l’immigrazione incontrollata, il quale risulta più che dimezzato, passando dal 21% al 8,7% e perdendo oltre la metà dei suoi seggi, con fosche prospettive per la sua sopravvivenza in parlamento.
Gli attuali interrogativi vertono ora su quali saranno le future scelte politiche e con quali forze politiche si formerà un governo maggioritario al “Volketing”.
Alcuni interrogativi nascono per il fatto che, nello schieramento della sinistra, i socialdemocratici rimangono stabili, guadagnando un solo seggio in più, mentre crescono vistosamente almeno altri due partiti della sinistra radicale, ancora ideologicamente ispirati alle antiche quanto superate idee terzomondiste.
La somma di questi ultimi è pari a quella totale del S&D, e potranno quindi ostacolare la politica dei socialdemocratici in parlamento.
“Non è più il momento di fare esperimenti”, cosi ha detto Mette Frederiksen nel suo primo discorso post-elettorale, aggiungendo che avrebbe formato un governo di minoranza per la realizzazione di un programma condiviso da un ampio fronte politico.
I problemi chiave rimangono la difesa del generoso sistema di assistenza sociale e scolastico, il mantenimento di adeguati livelli di assistenza sanitaria in una popolazione sempre più vecchia.
I tema dell’ambiente ha gratificati notevolmente i “Verdi”, specie nella larga fascia dei giovani con età compresa tra i 18 e 35 anni
Ma, l’argomento più calorosamente trattato è stato, e rimarrà, quello legato alla immigrazione, più o meno controllata.
In campagna elettorale, la Frederiksen ha manifestato un grande abilità e fruttuoso opportunismo sostenendo sia i desideri della società relativi alla tutela ambientale e del benessere socioassistenziale che il contenimento della immigrazione illegale.
L’alleato ottimale potrebbe essere il Partito Radicale Liberale, che raddoppia i consensi e fa contenti un po’ tutti: è liberista in economia ma assume i concetti programmatici più graditi e rilevanti delle altre forze politiche.
In politica estera, i liberali hanno insistito per un rapporto “giusto ed equo” con gli altri Paesi, dal momento che i conflitti attuali, si combattono meno con missili e cannoni e più con parametri economici numerici come i deficit, gli spread, i PIL e le allarmanti cifre che identificano le crescenti disuguaglianze, aggravate da un 20% di europei considerati a rischio di povertà.
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