Difesa, F35 STOVL: diamo alla Marina quello che è della Marina

Di Vincenzo Santo*

Roma. Ma che cosa sta accadendo alla nostra Difesa? Oltre a giocare con improbabili concetti quali il “dual use” o la “resilience”, ora si litiga anche sugli aerei? Segno di confusione che emerge soprattutto laddove regni arroganza, presunzione e, ahimè, grande ignoranza.

In un recente pezzo (https://www.sassate.it/difesa-f35-trenta/), dove si lamentava che l’Aeronautica avesse “scippato” alla Marina gli F-35 a decollo verticale, è emersa una storia che lascia perplessi ma che fornisce un quadro chiaro di come nell’ambiente ci siano difficoltà di orientamento.

F-35 in volo

E a poco vale la decisione in “zona Cesarini” del ministro della Difesa di metterci una pezza. Almeno per un secondo velivolo assegnato alla Difesa. Ma non basta evidentemente. La decisione è stata poco gradita all’Aeronautica, tanto da animare i tifosi dell’Arma azzurra, come un ex capo di Stato Maggiore della nostra Aeronautica che, in un suo articolo (https://www.huffingtonpost.it/leonardo-tricarico/f-35b-alla-marina-un-errore-di-trenta_a_23713911/), tira in ballo le varie ragioni che vedrebbero un’assegnazione per l’Arma aerea in linea prioritaria.

Tra le varie ragioni, anche l’esperienza della prima guerra del Golfo, quando i nostri Tornado erano costretti a effettuare tre rifornimenti in volo, non avendo trovato una più vicina pista “lunga” praticabile. Ma quello del rifornimento in volo è una possibilità che esiste da sempre e per un qualsiasi intervento.

Mentre la tempestività, importantissima soprattutto all’esordio di un qualsiasi intervento, la può garantire solo un sistema aeronavale e meglio di chiunque altro, e anche se dotassimo l’Aeronautica di velivoli a decollo verticale, per la loro complessità e per l’indotto tecnico-logistico che richiedono a terra, non verrebbe garantita.

Se in quella guerra avessimo potuto disporre di Nave “Garibaldi” con i suoi Harrier II forse la questione non sarebbe venuta fuori, cioè il concetto di un’aviazione imbarcata sarebbe già stato una realtà.

Vediamo però di capirci veramente qualcosa. Ed è necessario partire dall’inizio.

Nel lontano 1998, in ragione dell’innegabile necessità di ammodernare le flotte aeree dell’Aeronautica Militare e dell’Aviazione Navale della Marina Militare, si decise di aderire al programma internazionale a guida statunitense denominato Joint Strike Fighter (JSF), un acronimo che in italiano potrebbe suonare più o meno così: cacciabombardiere per esigenze congiunte.

Per inquadrare meglio la tipologia di velivolo, si precisa che ci si riferisce, pertanto, al netto delle capacità multiruolo, ad un velivolo per attacco al suolo, piuttosto che ad un caccia da superiorità aerea, come potrebbero invece essere lo statunitense F-22 Raptor, o l’Eurofighter. Anche se per quest’ultimo, a quanto pare diversamente da altri, non si è mai considerato un ruolo diverso da quello aria-aria.

Una coppia di Eurofighter in azione

Gli americani, c’era allora Bill Clinton, volevano una soluzione tecnologica unica, un aereo di ultima generazione (la quinta), in grado di coniugare in una sola piattaforma le esigenze operative dei tre “services”. Fu pertanto avviato il programma JAST (Joint Advance Strike Tecnology), in seguito rinominato per l’appunto JFS.

Soltanto Boeing e Lockheed Martin presentarono al committente i prototipi che incarnavano due differenti visioni del concetto JSF.

Boeing aveva deciso col suo X-32 di guardare ad una configurazione con ala a “delta”, storicamente poco amata dalle Forze aeree statunitensi per le insite problematiche di stabilità aerodinamica.

Lockheed Martin, invece, aveva determinato per il proprio X-35 una soluzione più tradizionale basata su un’ala a “freccia”. Messi meticolosamente a confronto per circa un anno, alla fine la spuntò il prototipo di Lockheed Martin, che ha poi assunto la denominazione definitiva di “F-35 Lightning II”.

L’F-35 rappresenta la benchmark della tecnologia aeronautica occidentale. Dotato di capacità multiruolo, la fusoliera, costruita secondo la tecnologia stealth, dispone di una bay ventrale per l’alloggiamento dell’armamento da lancio, a tutto vantaggio della riduzione della probabilità di scoperta radar e dell’efficienza aerodinamica.

Il velivolo è, inoltre, dotato di sistemi d’arma, sensori e sistema di “fusione dati” allo stato dell’arte. Dotato di un sottosistema di guerra elettronica, si avvale di un’estrema capacità di connettività (network-centric) che ne consentono l’impiego anche in ruoli di ricognizione e di intelligence data collection. L’apparato propulsivo, gli conferisce inoltre elevate capacità manovriere.

Ora viene il difficile.

Apparve, infatti, chiaro fin dalle origini del programma che non sarebbe stato possibile costruire un solo velivolo in grado di rispondere efficacemente alle diverse e variegate esigenze operative di tutte le Forze Armate. Pertanto, ancorché in fase di definizione concettuale il velivolo dovesse sostanziarsi in una piattaforma unica con un forte connotato di interscambiabilità, nella realtà dei fatti, sono stati sviluppati tre velivoli significativamente diversi. Ciò in ragione delle differenti esigenze che ne sottendono lo specifico concetto d’impiego.

Di F-35 esistono infatti ben tre varianti, dotate di caratteristiche tecnico-operative e capacità sostanzialmente differenti.

La versione “A”, anche nota come CTOL (Conventional Take Off and Landing) è giustappunto quella convenzionale, quella che necessita cioè di operare dalla pista di un aeroporto. C’è poi la versione “B”, nota come Short Takeoff Vertical Landing (STOVL), concepita per operare da portaerei “leggere” o “portaelicotteri”(1) che si distingue dalla altre in maniera più significativa, in ragione di uno specifico apparato propulsivo, oltre che di una serie di sistemi attagliati all’esigenza d’impiego da bordo di scafi non equipaggiati con catapulte di lancio come invece nella “C”.

Questa, identificata con l’acronimo CATOBAR (Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery), è equipaggiata infatti con le indispensabili predisposizioni per operare con catapulte e cavi d’arresto dai ponti di volo delle portaerei della US Navy.

Gli F35C della Marina Usa sono pronti al combattimento

Nel corso della sua evoluzione più che ventennale, il progetto ha vissuto diverse vicissitudini che hanno comportato significativi ritardi ed incrementi degli oneri associati. In particolare, la versione “B”, la STOVL, di gran lunga quella tecnologicamente più complessa, è stata soggetta a diverse problematiche, di volta in volta superate, come per altri progetti in passato, lungo il naturale processo di maturazione del programma.

Veniamo a noi. L’esigenza fu inizialmente identificata in 131 velivolo complessivi – sarebbe interessante conoscerne il perché -suddivisi come segue: 69 nella versione “A” (convenzionale), più 40 velivoli nella versione “B” (STOVL) che, nel loro complesso, avrebbero dovuto rimpiazzare le linee di volo dei cacciabombardieri AMX e Tornado dell’Aeronautica.

E perché mai? Per quanto invece riguarda la Marina, erano stati invece ordinati 22 STOVL, numero appena sufficiente a soddisfare, senza alcuna ridondanza, le esigenze della Forza Armata per il rinnovamento della linea Harrier –AV-8B+ per l’impiego a bordo della portaerei “Cavour”.

Il contratto di acquisizione dei suddetti aerei prevedeva anche l’istituzione presso il sedime di Cameri (Novara) della cosiddetta FACO (Final Assembly and Check Out).

Una vera e propria fabbrica dove, oltre alla costruzione degli aerei italiani, si sarebbe anche istituito il centro regionale europeo, un unico hub continentale quindi, che avrebbe dovuto fornire tutti i servizi di manutenzione ai partner europei dell’F-35, ai clienti dell’F-35 all’interno del programma americano di forniture militari all’estero (Foreign Military Sales), nonché agli F-35 americani schierati in Europa.

Tuttavia, la ‘spending review’ del Governo Monti, oltre ad apportare una drastica decurtazione degli ordinativi, dalle iniziali 131 macchine alle attuali 90, ha anche comportato la revisione da parte degli USA del “livello d’ambizione” della citata FACO, che oggi vede fiorire la concorrenza di altri hub manutentivi in Germania e in Gran Bretagna tanto per cominciare.

Non solo, ma è tuttavia interessante osservare la conseguente suddivisione in ambito Forze Armate che ne è derivata: 60 macchine del tipo “A” per l’Aeronautica Militare, su soltanto 15 di tipo “B” per la Marina, e su ulteriori 15 del tipo “B” sempre per l’Aeronautica.

F35 a Cameri

Fin qui i fatti che vedono la Difesa nazionale continuare a partecipare, ancorché con prospettive più limitate, ad un progetto internazionale di respiro “mondiale”, il più ambizioso, sebbene non il più costoso, nella storia dell’Aviazione militare. Ma, anche, un programma che vive nell’incertezza di possibili ulteriori tagli che pare voglia operare il “governo del cambiamento”, che probabilmente non riesce a trovare un ragionevole giustificazione “dual use” per il velivolo.

E poi, perché si insiste tanto sul dover dotare l’Aeronautica della versione “B” e non si ipotizza di soddisfare appieno le esigenze operative della Marina?

Ora, ferme restando l’opportunità e la saggezza d’interrogarsi sulle reali esigenze operative – e sul perché per esempio non ci si accontenti dell’EFA – e sul loro impatto sul livello di partecipazione nazionale, si ritiene auspicabile, per non dire urgentemente necessario, aprire un focus dedicato sulla ripartizione dei velivoli tipo “B”, i cosiddetti STOVL che sostanziano il sistema d’arma principale della Cavour, un assetto strategico che, se non dotata immediatamente e in primo luogo di tali assetti, verrebbe di fatto destituita di ogni valenza operativa, palesando un grave gap capacitivo e di mancanza di interoperabilità con gli alleati nonché di credibilità e affidabilità in ambito internazionale.

Di contro, per quanto invece riguarda l’Aeronautica, che vanta grandi disponibilità di basi aeree in Italia e in giro per il mondo, dove basterebbe rischierare il suo velivolo “A”, mi appare quanto meno di “difficile lettura” l’esigenza di dotarsi di F-35B, tanto più che “l’Arma Azzurra” non ha mai avuto in linea, prima d’ora, velivoli del tipo STOVL e così accade per quando mi pare di sapere per tutte le altre Aeronautiche del mondo. Perché proprio noi?

Forse che l’Aeronautica ha delle certezze che derivino da ipotesi di impiego che postulino esigenze operative che nessun altro e nessun altro tipo di velivolo possa soddisfare? Quali? Ma davvero tutti gli aeroporti disponibili al mondo sarebbero inidonei al rischieramento della versione “A”? Se così fosse, mi verrebbe da chiedermi, quali requisiti operativi sono stati pensati per questa versione prima del suo sviluppo, inquadrabili per esempio nel “nostro” Mediterraneo allargato? Chi ha sbagliato?

Non prendiamoci in giro, il raffronto dello STOVL con la versione convenzionale CTOL è decisamente impietoso. Il primo, infatti, per prestazioni inferiori e costi significativamente superiori, risulta assolutamente non costo-efficace, a meno che non venga messo a sistema con l’imbarco su un’unità navale in grado di spostarsi in mare anche prima che una crisi si disveli nella sua massima intensità, senza destare interrogativi particolari, potendolo fare anche per solo addestramento oppure per programmi di “visita”. Ben altra cosa che rischierare operativamente dei bombardieri su basi lontane dalla madrepatria che ovviamente farebbero sorgere delle domande.

Ecco che, la versione “B”, pur più complessa, meno performante, e decisamente più costosa della versione convenzionale, è in grado di offrire con il sistema navale con cui si completa la più immediata copertura aerea e immediatezza di riposta, assieme readiness e responsiveness, il massimo!

Senza considerare che, tecnicamente, le operazioni da siti “austeri” esporrebbero questo velivolo ad un elevato rischio di FOD (Foreign Object Damage) causato da eventuali corpi estranei (pietrisco, detriti, ecc.) sollevati dal flusso motore che, inghiottiti dall’intake di aspirazione dei turboreattori, potrebbero causare gravi danni alla turbina.

La storia ci insegna che mentre gli STOVL per eccellenza, gli Harriers, siano stati impiegati con successo da unità mercantili tipo porta-container – in guerra si fa di necessità virtù, e così fecero gli inglesi durante il conflitto delle Falkland, con lo scopo di integrare le capacità dell’unica portaerei disponibile in area d’operazione, la HMS “Invicible” – di contro, non sono mai stati effettivamente impiegati da siti che non fossero degli aeroporti. Lo conferma il fatto che i più recenti schieramenti in teatri ‘terrestri’ degli assetti STOVL dei Marines, li hanno visti operare unicamente da siti dotati di piste di adeguata lunghezza.

La portaerei italiana Cavour

Va, inoltre, aggiunto, che proprio in ragione dell’elevatissimo livello tecnologico, gli F-35 possono di massima operare solo da basi aeree dotate di elevati requisiti di sicurezza (quella che nell’idioma anglosassone si chiama security) e di connettività anche per osservare i requisiti relativi all’ALIS (Autonomic Logistics Information System), nodo nevralgico del sistema dell’F-35.

Si potrebbe però obbiettare che in assenza di studi approfonditi, quelle sopra riportate potrebbero essere delle mere illazioni, visto che gli F-35B non sono ancora stati operativamente impiegati in contesti caratterizzati dalla particolare “rusticità”.

Ma anche in questo caso, sono state già acclarate una serie di risposte che lasciano ben pochi dubbi. Si pensi, infatti, che è stata la stessa USAF (l’aviazione statunitense) a domandarsi perché non dovesse acquisire gli STOVL (Why the USAF should not purchase the STOVL JSF?).

In sintesi, gli americani lo escludono, intanto per ragioni di carattere tattico, in quanto il suo raggio d’azione è inferiore del 20% (circa 130 miglia), il carico bellico del 30% (- 2.100 chili), le capacità “stealth” e di segnatura infrarossa sono meno efficienti.

Minore è l’autonomia e, pertanto, anche la disponibilità on station. Inoltre, per motivi di carattere tecnico-logistico, per via della sua complessità tecnica, con riflessi negativi sull’efficienza e sulla disponibilità operativa, della minore maneggevolezza in ragione delle diverse dimensioni delle ali e del turbofan di coda e, infine, delle problematiche sinergie logistiche fra le due linee, in relazione al fatto che sistemi propulsivi, ali, fusoliera e carrello, impiantistica e gran parte dei pezzi di rispetto sono sostanzialmente diversi.

Gli esiti emersi dallo studio americano asseriscono che l’USAF può comprare l’F-35A, ma non l’F-35B.

Conclusioni che sono in linea con le scelte di tutte le aeronautiche dei paesi partner, che escludono nella maniera più assoluta l’ipotesi di acquisire lo STOVL per un impiego “terrestre”. Con la sola eccezione, appunto, dell’Aeronautica Militare Italiana.

Ma allora, perché dotarsi dei costosi e meno performanti STOVL, laddove l’Aeronautica potrebbe altresì impiegare i meno costosi e più performanti CTOL?

La risposta, a voler pensar male, e la vita mi ha insegnato che vale la pena farlo in questi campi, non ha nulla di tecnico né di operativo e potrebbe tristemente soggiacere a un vecchio adagio aeronautico secondo cui “tutto quello che vola deve essere dell’Aeronautica”! In tale ottica, la piccola Aviazione di Marina potrebbe, effettivamente, dar fastidio.

Pertanto, l’adagio potrebbe essere che “… se li compra la Marina, devo averceli anche io …” anzi “… devo averne possibilmente di più, e tutti sotto il mio comando …”. Certo, poco edificante! E del resto, le ragioni riportate dal Tricarico in quel suo articolo mi paiono poco convincenti, anzi, molto partigiane. E così non si fa un bel servizio alla Nazione.

In conclusione, c’è un solid ground per affermare che l’impiego degli F-35B STOVL abbia un valore operativo solo ed esclusivamente laddove venga impiegato da bordo di portaerei leggere di limitate dimensioni, sprovviste di catapulta, e dotate di ski-jump (che sono poi, di massima, le caratteristiche di Nave “Cavour”). Ogni altro impiego secondo me è uno spreco di risorse.

Quindi, riduciamo sì gli F-35, non tocchiamo, se proprio dobbiamo, quelli convenzionali dei quali l’Aeronautica dice di aver realmente bisogno. Pensiamo invece di ridurre i 30 F-35B, contraendone i numeri ai soli 22 velivoli chiesti dalla Marina e assegniamoli subito e tutti alla Marina. Inutile aspettare oltre.

Così facendo, ancor più che risparmiare diverse centinaia di milioni per la mancata acquisizione degli 8 in meno, eviteremmo di prenderne 15 inutili!

E se la Trenta, una volta tanto, decidesse in tal senso, farebbe solo che del bene, checché ne dica Tricarico.

(1) LHD (Landing Helicopter Dock) ed LHA (Landing Helicopter Assault)

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

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